Sono passati a malapena due anni da The Year Of Hibernation, l’esordio dalle tinte lo-fi di Trevor Powers, giovane talento musicale dell’Idaho. Un periodo non troppo lungo ma senza dubbio sufficiente a far acquisire al problematico ed introverso ragazzino degli esordi una forte coscienza delle sue possibilità musicali e a fargli sedimentare a dovere il successo suscitato dalla sua opera prima nel mondo della musica. Tornato a registrare, Youth Lagoon ha scelto di mettere da parte un po’ di quella schiettezza e ruvidità che avevano caratterizzato i suoi inizi, di vestirsi di abiti più pomposi e di spingersi un po’ oltre la semplicità per sperimentare modalità nuove e ponderate. Il disco si può idealmente dividere in due parti: una prima parte idealmente votata ad un rinnovamento che può piacere o non piacere, ma che dal punto di vista tecnico è perfettamente riuscito, ed una seconda parte che tenta di rimanere più fedele allo stile degli inizi, pur senza celare una crescita musicale che c’è stata e che merita di essere menzionata e sottolineata.
Dopo Through Mind And Back, una breve intro ideata con l’intento di proiettare l’ascoltatore nel mood del disco, si parte subito bene con Mute, in cui la voce di Trevor si fa più forte e sicura rispetto ai sussurrati esordi e in cui risalta la matrice psichedelica ed il desiderio di creare un brano cangiante e multiforme, mai statico nelle sue variazioni caratterizzanti. Gli infantili organetti di Attic Doctor e la sua atmosfera da luna park o da OST per videogames oscillano costantemente tra efficacia e banalità rendendolo un brano decisamente controverso. The Bath, tonalità a parte, sembra un’evoluzione di Seventeen nella melodia di base; ma la distorsione della voce di Powers è eccessiva e penalizza il brano rendendolo lento, stancante e un tantino pretenzioso. A riportare vitalità nella tracklist arrivano le strutture oniriche di Pelican Man ed i suoi psichedelici girotondi di synth. Dopla, già in precedenza uscito come singolo, fa il suo lavoro dimostrandosi un pezzo di tutto rispetto, anche grazie alla sua struttura parabolica, nonché più vicino a The Year of Hibernation rispetto ai suoi predecessori. Sleep Paralysis (come dice il titolo) smorza un po’ i toni e, dopo una partenza in sordina, si sviluppa in modo inaspettato ma non del tutto riuscito, senza infamia né lode. Third Dystopia, una delle tracce più coinvolgenti, si muove su un’aurea di mesta tristezza e, per le scelte melodiche e per il cantato più pieno (e meno “truccato”) risulta il perfetto connubio tra il vecchio corso mutuato dal primo disco e il nuovo inaugurato con Wondrous Bughouse. Con Raspberry Cane la malinconia si spreca; il ritornello è un ricamo, e anche la leggerezza delle sue basi elettroniche la rende dolce ed intensa, facendone dimenticare la lunghezza. Infine chiude il disco Daisyphobia, uno zibaldone di suoni onirici ed alienanti in cui il nostro decide di lasciarsi andare senza limitazioni, per un risultato interessante e piacevole.
Con quest’album, in conclusione, Trevor Powers segna un nuovo passo, tutto sommato positivo, del suo percorso musicale. Non mancano alcuni momenti di perplessità, ma nel complesso Wondrous Bughouse è davvero un ottimo disco e le sue atmosfere psych dreamy convincono ancora una volta circa l’abilità di questa giovane promessa americana.
Fat Possum, 2013