Tenetevi pronti, pezza in mano, finito di ascoltare questo disco vi verrà una incontenibile voglia di andare a rispolverare un po’ di dischi di un ventennio fa, anno più anno meno.
Vi verrà voglia di riascoltare la Cat Power di What Would the Community Think e la PJ Harvey di Rid of me e Stories from the city, stories from the sea e ripenserete a quanto Waves di Patti Smith sia uno degli album più belli che abbiate mai ascoltato.
Katie Crutchfield è una ragazzetta dell’Alabama con un nome d’arte piuttosto improponibile, Waxahatchee, ex componente di un gruppetto punk, P.S. Eliot, che a quanto pare ha saputo raccogliere un discreto successo dall’altra parte dell’Atlantico, quasi certamente solo nei licei, per quello che ho potuto ascoltare.
La piccola Katie però una marcia in più se la sentiva dentro e così l’anno scorso ha tirato fuori un album dal gustoso sapore lo-fi, American weekend (ascoltatevi Grass Stain), seppur un po’ troppo lo-fi, perché sentirsi un intero album che sembra registrato con un cellulare di cinque anni fa, non è il massimo.
In un modo o nell’altro la piccola Katie finisce nelle mani di Butch Vig, che nella sua vita non ha fatto altro che tirare fuori talenti dai garage. Mr Vigorson gli mette in mano una chitarra elettrica come si deve, smussa gli angoli, ammorbidisce i suoni dove serve, valorizza la voce chiara ma allo stesso tempo graffiante e molto rock della novella song-writer e viene fuori Cerulean Salt.
Se siete cresciuti negli anni ’90 già guardando la copertina, tanto bella, vi ricorderete di quello che una voce ruvida e una chitarra vi hanno fatto passare nel grigio della vostra cameretta, quando eravate dei pulzelli in cerca di identità. La miscela è quella, pochi accordi, randellate di basso, batteria che fa 2+2, canzoni che scorrono rapide, voce appassionata, spirito libero e sofferto. E per chi con questo spirito ci è cresciuto, la nostalgia è sotto casa.
Si passa dagli arpeggi cadenzati e prepotenti di Dixie Cups and Jars alla delicata Blue pt. II, da canzoncine con i bermuda come Coast to coast alle vibranti e accattivanti linee di basso di Misery Over Dispute, che insieme all’introduttiva Hollow Bedroom rappresentano i momenti migliori dell’album.
La ragazza ha stile, l’album è piacevole e stimola canali musicali cerebrali sopiti da troppo tempo. Quello che le manca, ancora, è un po’ di personalità, molte canzoni passano senza lasciare traccia e in alcuni tratti sembra un semplice album tributo ai ‘90s, che ci fa tornare tanta voglia di dischi meravigliosi del passato ma che stenta nel raccontarci qualcosa per valorizzarsi da sé.
Degli anni ’90 non ci si stanca mai, Waxahatchee canta e suona come si faceva ai tempi in cui probabilmente al posto del microfono aveva ancora il biberon. Lo fa in maniera appassionata, con la voglia di farlo e col talento giusto per poterlo fare. La strada è promettente ma non è breve e soprattutto è piena di ostacoli, come l’hype feticcio tirato su dalle riviste d’oltreoceano, che ti fanno deviare verso derive fangose e stantie.
Ti aspetto, piccola Katie, fammi vedere chi sei, vieni fuori, raccontaci l’Alabama e gira il mondo con una chitarra. Io sono qui, ma mentre ti aspetto metto il repeat su Nude as the news.
Don Giovanni, 2013
Tracklist:
- Hollow Bedroom
- Dixie Cups and Jar
- Lips and Limbs
- Blue pt.II
- Brother Bryan
- Coast to Coast
- Tangled Envisioning
- Misery Over Dispute
- Lively
- Waiting
- Swan Dive
- Peace and Quiet
- You’re Damaged