A giudicare dalla festa (?) che è scoppiata ieri in tutta l’America si direbbe che si è chiusa un’epoca: l’epoca in questione è naturalmente il decennio che va dal 2001 al 2011, dalla tragedia del World Trade Center alla morte di quello che fu designato come l’esecutore materiale dell’attentato, Osama Bin Laden. Barack Obama ha detto, ”il mondo è un posto più sicuro”, ma andiamo a vedere se è vero attraversando i meandri del decennio.
11 Settembre 2001. Dicono sia una di quelle giornate indimenticabili per un occidentale medio. Di fronte a 3000 innocenti che muoiono atrocemente non potete fare i conti con le ideologie, con l’americanismo e l’anti-americanismo, è un’altra questione, siete voi in quanto esseri umani primitivi a restarne colpiti. Ah certo, erano in molti ad inneggiare all’attentato, a dire che l’America se l’era meritato tutto, ma forse non avevano visto quella povera gente che preferiva gettarsi direttamente nel vuoto piuttosto che lasciarsi ardere tra le fiamme, questo dramma privato di un innocente che era solo andato a lavorare di buon mattino, mica a fare il patriota americano. Ad ogni modo è questo l’evento di rottura del decennio, la chiave che ci vedrà impegnati ad attraversare 10 anni di cambiamenti epocali. Il giorno dopo il mondo si interrogava su chi fosse il reponsabile, e perchè.
L’immediatamente dopo. Ben presto il responsabile principe fu individuato in Osama Bin Laden, più in generale nel terrorismo islamico di Al Quaeda. In meno di un mese parte l’attacco all’Afghanistan, nel tentativo di scovare Bin Laden, che non era così scemo da rifugiarsi al centro di Kabul, ed era protetto dal regime talebano. Fino a questo punto al mondo sembrava coerente attaccare l’Afghanistan alla ricerca di Bin Laden, l’odore di morte si spandeva ancora dal World Trade Center, la gente era incazzata, e aveva paura, bisognava fermare i colpevoli, e i colpevoli erano stati individuati tra le montagne afghane dall’amministazione Bush junior. Bush era il peggior presidente che ci potesse capitare nel 2001, tuttavia bisogna immedesimarsi negli americani per comprendere certe cose, bisogna scavarne la paura avvilente che improvvisamente li ha colti, tutta l’insicurezza che portò ai peggiori rimedi in salsa conservatrice, tutta la retorica della sicurezza e del nemico da abbattere bushiana era una camomilla per gli americani. Il Patriot Act fu presentato dalla dottrina Bush come atto per proteggere i cittadini dal terrorismo, e nonostante infrangesse il concetto di privacy e in qualche caso quello di diritto (chiunque fosse accusato di essere un ‘terrorista’ poteva essere incarcerato brutalmente e senza supporto legale), nonostante costituisse un passo indietro nella storia dei diritti umani, fu accettato come una panacea dalla maggioranza degli americani.
La disputa intellettuale. Ovviamente il mondo delle idee si divise tra: chi vedeva nell’attentato alle Torre Gemelli la naturale evoluzione del karma, all’America tornava indietro quello che lei aveva fatto al mondo, era solo una risposta per il suo atteggiamento aggressivo, per la complicità coi peggiori regimi arabi, per lo sfruttamento del petrolio e blablabla; chi invece auspicava uno scontro di civiltà tra un Occidente libertino, ardente, laico, postmoderno eccetera, e un Medioriente arabo reazionario; e chi si affrettava a farsela un’idea con qualche stereotipo in voga allora. A quel tempo, insomma, fummo tutti colpevoli di pensare, di classificare il mondo, di avere un’idea, di reagire. Era il sentimento del tempo, che ci rafforzò e rimescolò nelle nostre posizioni, nonostante la gran confusione. Prendiamo ad esempio le posizioni di un progressista e di un conservatore medio dell’epoca: ora genericamente, un progressista dovrebbe essere un anti-tradizionalista innovativo, eppure spesso e volentieri in quell’epoca confusa il progressista si trovò a simpatizzare persino col regime fondamentalista talebano; tutto questo mentre i conservatori inneggiavano al diritto della donna di portare la minigonna.
Dottrina Bush. Nel 2002 nasce la Strategia di Sicurezza Nazionale degli States, più in generale la nuova politica di sicurezza dell’amministrazione Bush. Togliamoci subito il sassolino dalle scarpe e parliamo della guerra preventiva, il cuore della strategia conservatrice, un assurdo linguistico che si basa sul fatto di fare una guerra per prevenire una guerra, un attacco imminente o checchessia. Su queste basi si prepara l’attacco all’Iraq, accusato di detenere armi di distruzione di massa mai trovate in seguito. La guerra all’Iraq del 2003 è l’altro momento topico della situazione internazionale: si capisce subito che ci stiamo allontanando dal problema, Bin Laden non è in Iraq, e Saddam Hussein sarà pure un sanguinario ma al pari e – in certi casi – non al livello di tanti altri capetti arabi che foraggiano il terrorismo e trucidano il loro popolo, vedi Gheddafi. Tuttavia a Bush serviva una guerra veloce da vincere, un nemico da abbattere, e tornare alla guerra che il padre non aveva saputo concludere faceva comodo alla rielezione. In tutto questo non dimentichiamo l’apertura del carcere di Guantanamo, ancora oggi aperto nonostante l’ordine di chiusura di Obama, macigno storico che pesa sull’Occidente silenzioso.
L’Iraq. Mentre la ricerca di Bin Laden proseguiva senza risultati, il fronte iraqueno è caldo, e la caduta di Saddam Hussein si consuma in diretta tv il 9 aprile 2003 col simbolico abbattimento della statua del presidente. E’ la strategia della propaganda americana, vi abbattiamo Hussein, state tranquilli yankees, vinceremo anche stavolta, il terrorismo non vi colpirà più. Tuttavia i legami di Saddam con Al Quaeda non sono comprovati, mentre sul fronte afghano si combatte la jihad coi talebani. Su questa scia di violenza preventiva e non, l’America riconferma Bush come suo presidente, e lui nel 2006 la premia con l’impiccagione di Hussein, altra pietra miliare della barbaria occidentale del decennio. Un uomo spodestato e ormai innocuo, viene consegnato alla pena di morte dalla società democratica invasata di belle idee ma incapace di dare lezioni di stile. Tuttavia un passo avanti per la nostra storia (quella dell’umanità) viene fatto successivamente quando nel 2007 passa all’Onu la moratoria universale della pena di morte, e qui dobbiamo ringraziare i radicali (si ricordi che gli Stati Uniti in quel caso votarono contro).
Il Presidente nero. La scalata di Barack Obama alla presidenza Usa è la ventata di freschezza del decennio. Una cappa conservatrice ci aveva rapiti tutti, guerre preventive, discorsi intrisi di razzismo, soporiferie varie, lotte al nemico interno ed esterno, diritti umani calpestati, scontri di civiltà, lotte fratricide, ignoranza al potere. E’ ovvio che quando compare quest’uomo nero che parla di speranza, diritti e progresso, il mondo affamato di belle parole e libertà si accende. E poi è un outsider, da un lato c’è la favorita dei democratici che flirta col potere dalla nascita, Hillary Clinton, moglie di un presidente; dall’altro un repubblicano, per quanto atipico e fuori dai gangheri del bushianesimo classico, un repubblicano. Se W. Bush è il peggior presidente che ci poteva capitare nel 2001, Barack Obama è il miglior presidente che poteva capitare all’America (/al mondo) nel 2008. E tuttavia…
La crisi mondiale. Avremmo dovuto virare verso una nuova epoca dei diritti umani, verso la novità, verso il progresso, il futuro; avremmo dovuto superare il trauma dell’11 Settembre, la paura dell’altro che ci fa guardare con sospetto il pakistano in aereo e metropolitana; saremmo dovuti uscire insomma dalla cappa conservatrice, dalla morsa delle guerre, dalla fase Guantanamo, da quello che i peggiori complottisti chiamano l’ordine mondiale bushiano. Invece è esplosa la crisi mondiale, mentre il signor Bush era dedito alle guerre di prevenzione, l’economia liquida si faceva i cazzi suoi: all’inizio furono i subprime, parolone che si tradusse presto in perdita di casa per molti americani, poi furono bancarotte e fallimenti. Mr. Change si trovò a gestire le promesse della campagna elettorale in una situazione di merda totale, di collasso, di urgenze, con la critica feroce dei conservatori accesi che lo volevano morto, che lo accusavano di ‘socialismo’ e di essere complice del terrorismo perchè non usava la mano forte del suo predecessore. Il conservatorismo americano entrò nella testa idealista di Barack, e si attirò le critiche dei progressisti che lo vedevano troppo poco progressista (si, avrà anche varato la riforma sanitaria, ma è rimasto in Iraq e in Afghanistan, non ha annullato il Patriot Act ed è Nobel per la pace! – maledetti svedesi!); e le accuse dei conservatori che non ne vedevano un purosangue americano, ne mettevano in discussione le origini, tanto da sospettare una collusione con Osama Bin Laden.
L’accusa che possiamo fare a Barack Obama è di essere stato più immobile di quanto ci doveva, visto il progressismo dei suoi discorsi, vista la magia della sua campagna elettorale. Se facessimo un conto di quello che ha fatto Obama in questi primi 3 anni di presidenza, ne resterebbero bellissime parole non rintracciabili nei fatti. Arrivato alla Casa Bianca carico di idee, si è trovato di fronte la realtà dei grandi interessi americani, e se ne è lasciato trascinare. E’ anche per questo che è arrivata la notizia della morte di Bin Laden.
Bin Laden è morto. La narrazione delle notizie vuole che Bin Laden sia morto, per ordine di Barack Obama. Stanato in Pakistan, e giustiziato, gettato in mare il corpo, chiusa l’epoca del terrorismo. Sembra questo il messaggio, sembra questo il cuore dei festeggiamenti americani, sembra questo il senso del decennio. Obama chiude tutte le polemiche con le accuse del Tea Party, e si presenta per la nuova campagna elettorale come l’uomo pratico che ha ucciso il capo di Al Quaeda, che è riuscito in quello che Bush aveva fallito. Quello che si fa notare è il cambio di tono della retorica dei discorsi di Barack, che a caldo commenta l’uccisione di Bin Laden (ovvero, lo ricordiamo, una morte) come il ritorno della giustizia in terra, cadendo nella logica delle vecchie leggi del taglione, e presentandoci un mondo migliore e più sicuro. Ora, siccome noi non siamo nati ieri, credere che il mondo oggi sia più sicuro perchè è morto un vecchio bacucco che presumibilmente era il mandante dell’11 Settembre sarebbe da idioti: il terrorismo islamico non è Osama Bin Laden, non si chiude buttando il suo cadavere in mare, non c’è mica niente da festeggiare se un veterano di un’associazione terrorista come Al Quaeda crepa (prima o poi sarebbe comunque morto!), in particolare se spesso e volentieri questo veterano ha flirtato con gli Stati Uniti. Resta un complesso sistema di cose di fondo.
Simbolicamente, questa morte (vera, falsa, mezzavera) può essere un’occasione per il prossimo decennio, che sia meno triste e invasato, più libero e a portata d’uomo. Sono stati 10 anni pesanti, di terrore provocato, di prevenzione, di paure, di conservatorismo d’animo: la speranza è stata solo una bella parola da campagna elettorale. La libertà si è trovata ad attraversare un momento macabro, la libertà di prendere una metropolitana per un innocente artista del Bronx era – per esempio – sotto minaccia; la libertà di avere una casa, un lavoro, di fare un viaggio, e via dicendo.
Augurio per un prossimo decennio progressista.
La cosa più bella di questi anni fantasma sono state le rivolte arabe. Non erano religiose, non avevano niente a che fare con l’impazzimento collettivo che ci ha riguardato tutti in questi anni. La spontaneità di voler sovvertire un regime troppo invadente, la lotta in nome della libertà, la voglia di pane e soldi, l’Arabia che è ben lontana da Bin Laden, dai talebani, da Al Quaeda, dalla sharia, dalla jihad. La chiave per ripartire è assecondare questi movimenti di libertà, mandare a casa i regimi, i colonnelli con cui abbiamo stretto amicizia, uscire dal silenzio complice che poi ci rende nemici l’uno dell’altro. Ricostruire certi principi dei diritti umani, chiudere Guantanamo, ritirare gli atti patriottici, smetterla con la solfa dell’esportazione della democrazia, e assecondare la vera voglia di democrazia che pure hanno i giovani in queste terre. Perchè a forza di essere sottomessi alla fine hanno più interesse loro a pretendere libertà che noi per loro. Adesso, chiuso il decennio, caro Barack, facci vedere se sei un uomo con le palle che asseconderà i suoi stessi discorsi, se sei un progressista che tratterà a merdate in faccia questi uomini di regime, in qualunque parte del mondo essi siano, o ti sei fatto fottere il cervello dai repubblicani.