Ci fosse un misuratore di qualità cinematografica le opere di Terrence Malick in molti casi raggiungerebbero la punta massima; parliamo del regista de La Rabbia Giovane, I Giorni del Cielo, La Sottile Linea Rossa, The New World, e The Tree of Life, film che hanno sconvolto non poco il mondo della Settima Arte per l’eleganza stilistica, la sperimentazione visiva, la potenza fotografica e narrativa. Bene precisare che a mio parere non siamo di fronte a una filmografia fatta di capolavori assoluti da mettere sullo stesso piano, The New World è più di un mezzo passo falso per Malick che aveva toccato una sorta di perfezione con La Sottile Linea Rossa anche se non ha mai avvicinato la devastazione e lo scalpore dell’esordio con La Rabbia Giovane.
Dal ’73 al 2011 ha girato solo cinque film creando una specie di mito riguardo al modo di lavorare e esasperando ogni volta le aspettative sulle sue opere rendendo veri e propri eventi per gli addetti ai lavori le uscite e le presentazioni ai vari Festival dei film in questione, tenendosi sempre ben lontano da tali appuntamenti mondani così come da eventuali promozioni.
A differenza del passato stavolta ha fatto trascorrere solo un anno tra un’opera e l’altra lasciando perplessi tutti quelli che ormai avevano racchiuso Malick nell’Olimpo di coloro che creano il loro successo sulle aspettative e sul far parlare il più possibile di sè grazie all’assenza (“mi si nota di più se non vengo o se vengo e mi metto in un angolo?“); così dopo aver sorpreso e in alcuni casi estasiato con The Tree of Life nel 2011 vincendo una quantità spropositata di premi, su tutti la Palma d’Oro a Cannes, ha presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2012 To The Wonder, che solo a distanza di un anno trova distribuzione nelle sale cinematografiche.
L’intenzione del regista era di proseguire nel solco stilistico-narrativo di The Tree of Life, un piccolo grande gioiello emozionante e affascinante con una sceneggiatura cruda che contrasta con la magnificenza delle immagini e il candore della fotografia; purtroppo To The Wonder non si avvicina minimamente al lavoro precedente, anzi pare scimmiottare come brutta copia tutto quello che di elegiaco era venuto fuori nell’altro film.
La storia inizia con le immagini di una coppia innamorata nella magnifica Parigi: Marina, ucraina che vive in Francia dall’età di 16 anni e che ha avuto una figlia da un francese da cui si è separata poco dopo la nascita della bambina, e Neil, scrittore americano deluso che ha mollato il paese natale per insoddisfazione e per lasciarsi alle spalle esperienze infelici, vivono una relazione romantica e passionale. Dopo aver visitato, all’apice del loro amore, Mont Saint Michel – in passato conosciuta in Francia come “La Meraviglia” (ecco il motivo del titolo!?!) – i due decidono di trasferirsi in Oklahoma, dove presto nascono i primi problemi di insofferenza dovuta alla convivenza.
Marina incontra un prete, in crisi di vocazione, con cui si confida e a cui espone le perplessità sui cambiamenti che stanno avvenendo nella sua vita; mentre Neil ritrova il legame con un’amica d’infanzia, Jane, da cui si lascia travolgere per bisogno di dolcezza e tranquillità. Grazie all’esplorazione e alla riflessione dell’amore nelle sue svariate forme, per gli altri esseri umani, per la propria vita, per Dio, i personaggi in questione saranno costretti a fare i conti con i dubbi sui doveri e gli impegni da portare fino in fondo, sui sentimenti che come ogni cosa possono svanire e sul dolore che spesso può arrivare ad unire più della gioia.
To The Wonder è un film che, per intenderci, se fosse stato almeno pretenzioso avrebbe avuto una ragione d’essere; e invece l’inconsistenza generale dell’opera porta a pensare che Terrence Malick non pretendesse nemmeno di far giungere un qualsivoglia messaggio o di evocare attraverso la storia narrata un significato profondo. La trama che trapela da circa due ore di pellicola è carpita dal coraggioso spettatore che se ne va per un’idea in molti casi: molte scene sono inutilmente melliflue, sdolcinate all’inverosimile, portando all’estremo un’improvvisazione chiesta agli interpreti che più che arricchire il racconto dà l’impressione che gli attori risultino spaesati e nell’incertezza si lascino andare ad insignificanti pose inespressive.
Infatti con l’eccezione di Javier Bardem, la cui figura di prete risulta essere anche l’unica interessante a livello narrativo, il resto del cast (Ben Affleck, Olga Kurylenko, Rachel McAdams) incide molto poco lasciando indifferenti il più delle volte per una messa in scena sicuramente complicata per gli interpreti che si trovano con Malick a dover recitare quasi esclusivamente con la loro fisicità ed espressività, mentre le voci dei personaggi accompagnano la storia come narrazione costante e il più delle volte fastidiosa e insensata, mai in presa diretta.
Oltre a Bardem se qualcosa si può salvare in To The Wonder è la fotografia che, se non ci si trovasse dinanzi ad un’opera cinematografica che necessita anche di altri fattori per raggiungere il risultato, sarebbe da annoverare nella “meraviglia” citata dal titolo: doveroso il plauso al direttore Emmanuel Lubezki.
Terrence Malick difficilmente si libererà della mania di onnipotenza che da qualche anno a questa parte lo caratterizza, e di sicuro non per questo non riuscirà a lavorare bene e a girare altre opere memorabili…originalità e bravura non si discutono così come la voglia di impressionare…eppure sembra il tipo di artista a cui dover dire di tanto in tanto di non essere il Padreterno, o una qualunque entità superiore, per fargli capire che il contatto con la squallida realtà potrebbe far solo bene alla sua vena creativa, perché i film insulsi li giri anche se ti credi il Padreterno.
Senza alcun dubbio To The Wonder è il peggior film di Terrence Malick.