Un volto semplice, aggraziato, che delinea uno sguardo tenero ed apprensivo, con le palpebre leggermente socchiuse ed il taglio degli occhi teneramente morbido, ad incrociare un naso proporzionato e labbra sottili. Labbra serrate, non violente, ma leggere ed impalpabili… Un colore tenue, soffuso e solenne, che sposa il collo lievemente rotondo e lo accompagna fino alla clavicola, coperta da vestiti di seta e panneggi giallo-ocra. Due angeli sorreggono una corona che sembra non avere peso, d’oro fantasma, intarsiata con precisione ed amore difficilmente riscontrabili nella realtà dei gioielli. Angeli i cui capelli, ramati, ricordano quelli delle donne più sensuali e degli uomini più gentili. Un dipinto che racconta una carezza, un gesto non esplicito, ma qualcosa di velato e impensabile. Una tenerezza nobile, non ostentata, ma non per questo meno vera… anzi, più solenne e metodica, quindi perfetta, studiata esteticamente nei minimi particolari. Un bambino la cui espressione sembra essere quasi adulta, consapevole ed allo stesso tempo umana, siede in braccio alla donna, sorretto dalle mani di lei. Arti possenti e dita ben delineate, che suggeriscono tuttavia gentilezza e grazia. Sorreggere è di per se un’azione che implica forza, ma la naturalezza con cui questo gesto è rappresento chiama a gran voce un mondo ovattato, fatto di apparenze e movimenti estremamente delicati.
Antonello da Messina forse non era perfettamente conscio del suo innato senso estetico, e tanto meno avrebbe potuto riscontrare quella particolare attenzione a dramma ed alla perfezione formale che avrebbero poi fatto la fortuna di film come “Primavera in anticipo”. Eppure, nella sua spasmodica ricerca di analisi fisica e psicologica, il pittore siciliano sembra quasi volere dipingere una ninna nanna, dolce e solenne, quasi sacra – la Madonna Salting.
Gabriel Garcia Marquez ha scritto:
“… Darei valore alle cose non per quello che valgono
ma per quello che significano.
Dormirei poco, sognerei di più.
So che per ogni minuto che chiudiamo gli occhi
perdiamo 60 secondi di luce di cioccolata.
Se Dio mi concedesse un brandello di vita,
vestito con abiti semplici, mi sdraierei, al sole
e lascerei a nudo non solo il mio corpo
ma anche la mia anima.
Dio mio, se avessi cuore, scriverei il mio odio sul ghiaccio
e aspetterei che si alzasse il sole.
Dipingerei le stelle con un sogno di Van Gogh.
con un poema di Benedetti, una canzone di Serrat
sarebbe la mia serenata alla luna.
Bagnerei con le mie lacrime le rose
per sentire il dolore delle spine
ed il bacio vermiglio dei petali. …”
Queste parole, scelte con cura e assaporate in ogni loro sillaba, sono quanto di più lontano, artisticamente e culturalmente, ci si potrebbe aspettare per un confronto tra pittura e letteratura. Eppure la stessa cura, la stessa idela passione formale per ciò che di bello ed estetico il mondo offre, è alla base di entrambe le esperienze artistiche.
Marquez sostiene di dover dare valore alle cose che vede e sente non tanto per quello che appaiono, ma per ciò che rappresentano, e per ciò che possono significare nel profondo del loro essere. Sottolinea, subito dopo, l’importanza dell’evasione come mezzo artistico e scelta di vita. “Dormirei poco, sognerei di più…” Tutto ciò che di umano e celestiale c’è al mondo è racchiuso nella volontà e nell’insistenza di una illusione che deve essere vissuta a pieno, e mai sprecata. Il poeta non vuole dormire, no… Il poeta vuole assaporare appieno tutte le sensazione, crogiolandosi nel sogno e carpendo da esso una chiave di lettura delle sensazioni della realtà. Vuole sentire il sole, e non solo il calore di questo sulla sua pelle, bensì ciò che la natura suggerisce al nostro inner-spirit, alla nostra anima. Marquez non odia, non può. O meglio, è consapevole di odiare, ma se potesse davvero essere padrone del suo destino (ecco spiegato il richiamo insistente a Dio, inteso come colui che ha le redini della sorte umana) lascerebbe questo odio inciso sul ghiaccio, sull’elemento naturale che più rappresenta lo sconforto, e vorrebbe che entrambi entrambi si sciogliessero, dimenticando così la loro stessa essenza ed esistenza.
Cita poi una serie di eccellenze, eccellenze perfette e formalmente ideali, grazie alle quali entra sottilmente in un modo di pura evasione e bellezza. “Dipingerei le stelle con un sogno di Van Gogh”. Dipingerebbe un quadro di stelle, un quadro di futuri e speranze romantiche utilizzando non il tratto del pittore impressionista, non il suo genio, non la sua mano… Ma le stesse illusioni che sono alla base del percorso artistico ed umano dell’olandese. Una canzone del suo cantautore spagnolo preferito sarebbe l’inno alla luna, anzi, una serenata. Il termine serenata, la cui etimologia indica una composizione musicale in onore di qualcuno, viene omaggiato dalla vicina presenza del suo destinatario: la luna. Marquez innamorato della notte, dedica una canzone alla regina delle tenebre, in un mondo magico e surreale. Più tardi, Kan Reives Gao scriverà, insieme a Laura Shigitara, la colonna sonora del suo omonimo videogioco, “To the moon”, evidenziando come ogni minimo dettaglio e pensiero possa viaggiare innaturalmente da esperienza ad esperienza, fino ad diventare parte della soggettività di moltissimi individui diversi.
L’autore si sofferma poi sulle lacrime, e sui fiori. Parla di una rosa, del fiore dell’amore, e subito lo accosta alla manifestazione più lampante dell’infelicità. Una persona umanamente esperta, forse, in modo anche un po’ ironico. Ed una persona totalmente conscia della dualità dei sentimenti, a tal punto da affermare di poter sentire effettivamente qualcosa solo attraverso la duplice esperienza del dolore e dei baci, della felicità.
Infine, il bacio di Marquez è rosso vermiglio. Un bacio dato ai petali di una rosa dello stesso colore della tunica del “Salvator mundi” di Antonello da Messina.
Mi piace pensare che il dio citato nella poesia abbia una fotografia di quel ritratto, da qualche parte.