Negli ultimi anni, una delle critiche più frequenti riservate alla musica indipendente italiana è quella di essere quasi del tutto ripiegata su se stessa, capace solo di uno sguardo narrativo a corto raggio, che raramente scollina oltre l’individuo e le sue relazioni. Soprattutto rispetto ai santini di un qualche passato, il pop e il rock indipendente italiano sembrano aver perso interesse o attitudine al racconto della dimensione politica dell’individuo e i personaggi/narratori si trovano molto di rado a fare i conti con la collettività, le dinamiche sociali e con i problemi che le caratterizzano. Di conseguenza quest’area tematica rimane ancorata ad un immaginario piuttosto stantio, senza rinnovarsi, finendo per far passare il nesso logico per cui “musica socialmente cosciente equivale automaticamente a musica brutta”.
Se dovessero esistere poche, fortunate, eccezioni all’assioma descritto in questo ridondante preambolo, direi che l’esordio dei Testaintasca potrebbe senza dubbio rientrare tra queste.
I Testaintasca sono un quartetto che suona a Roma e scrive canzoni da anni. Dopo l’EP pubblicato lo scorso anno, anche quello per 42Records, arrivano a Febbraio con il loro esordio sulla lunga distanza, Maledizione!, con un punto esclamativo che più appropriato non si poteva, tanto è viscerale, appassionato ed urgente il messaggio e l’umore generale di questi undici pezzi.
Ad ogni modo questo è tutto tranne che un noiosissimo disco politico. In Maledizione! ci sono le frustrazioni, le debolezze e le passioni (con anche i luoghi comuni) che potrebbero essere quelle di una generazione intera. Senza tramutarsi mai in una grande e anacronistica narrazione collettiva, ma anzi mantenendo uno sguardo molto personale, la scrittura riesce a far emergere sentimenti universali proprio perché autentica, nitida nelle immagini e accessibile nel linguaggio. Un racconto chiaro, ma mai banale, neanche quando una canzone parla solo di quanto ti piace la musica o di gente che si fa solo i cazzi suoi.
Alcuni dei pezzi più riusciti hanno uno sfacciato potenziale “anthemico”, sono sanguigni, catchy ed immediati, ma non mancano episodi in cui i toni si abbassano, come la sinuosa Eccedere, l’ispiratissima Il Giorno In Cui Non Sono Nato (forse unica licenza intimista, in un disco di inni, sfoghi e autentiche chiamate alle armi), o la conclusiva La Notte. Per quanto riguarda il lato “loud” dei Testaintasca, le migliori sono l’accorata Collaborare, la title-track Maledizione (che però suonava meglio sull’EP), il singolo La Musica (brillante come al primo ascolto) e forse a rimanere più opache sono, nella seconda metà, Un Giovane In Politica e Grazie Al Cielo, a cui mancano gli hook efficacissimi che la band dissemina in tutto il resto del disco.
L’aspetto strumentale non presenta nulla che non sia ampiamente già stato ascoltato, ma non è per questo trascurabile. Le chitarre sono infiammate, iperattive, taglienti, le armonie testimoniano un’impeccabile eredità di pop elettrico anni ’60. Il riferimento più immediato, tra i mille, sembrano i Kinks, ma non mancano momenti di sgraziato indie rock anni ’90 o echi strascicati di vecchio cantautorato rock italiano.
L’esecuzione è sempre ottima, la band sicurissima dei propri mezzi e spavalda nell’insistere sui punti più solidi (anche un po’ troppo in occasione di qualche ritornello particolarmente forte).
I Testaintasca non inventano assolutamente nulla, ma hanno qualcosa di davvero valido da dire e un modo molto efficace di dirlo. Questo è tendenzialmente un bene.