Ovvero sul perché e il per come i Cani riescono a vincere anche nell’emisfero settentrionale del mondo hipster. Un report inutilmente lungo e scritto male, e a quattro mani, che fa riferimento non solo alla data del 29 gennaio 2014 al Gran Teatro Geox di Padova, ma anche a valori universali come l’autocoscienza, la gnoseologia sul cantautore Contessa e le Satire di Orazio.
Ma voi potete anche leggere a salti o guardare solo le foto.
Con i Cani non è come con Vinicio Capossela. Non nel senso che lui solitamente si concede di gran lunga di più rispetto ai desideri degli appassionati di zoofilia, è che non fa figo dire in giro di essere un fan dei Cani, diversamente dagli aficionados di Vinicio, che elevano lo stendardo alla stregua di un’etichetta blasonata anche se poi ti ritrovi a flirtare con una tipa equo solidale con qualche bizzarra abitudine sessuale che studia psicologia. E benché non abbia nulla da obiettare contro Capossela, chi pratica pissing e chi ammette di ascoltare i Cani – io ancora sbarello con l’hardcore e Venditti, per dire -, è con qualche facile pregiudizio che mi accingo a guadagnare metri sotto la pioggia nel parcheggio del Geoxino, allestito come un padiglione fieristico pronto ad accogliere imprenditori renziani (no davvero, l’allestimento sembra davvero curato dagli occhiali di Polegato).
[piccolo inciso per chi non fosse di queste parti: la Geox non fa solo scarpe di merda, ma sponsorizza e dà il nome al Gran Teatro Geox, dove qui in città fanno i grandi concerti, dagli Skunk Anansie a Gerry Calà]
Sarà che comincio ad essere vecchio, sarà lo spleen, un po’ di sonno, la voglia di nonnizzare qualche sbarbatello, sarà per lo stereotipo di bimbominkia che c’ho in testa, ma mi aspetto di vedere matricole uscite da Tumblr, con gli occhialoni, i berretti di lana, le barbe imberbi, le tipe con i capelli colorati e le camicione di H&M sopra leggins scuri per la gioia dei Pedobear come me.
Tutto questo per dare credito alla mia ridicola teoria dei Cani come band di target basso. Perché i poser e gli intelligentoni indie schifano gruppi del genere, in odore di viral commerciali, Repubblica XL e canzonette furbe. Dopotutto i Cani vanno a genio anche a Saviano e ai fan della commedia antica e delle Satire di Orazio.
Cito:
Tra Guccini e I Cani passa una distanza simile a quella che c’è tra la commedia antica di Aristofane e la nuova di Menandro, tra Plauto e Terenzio. (…) Così il vero modello dei Cani sono, con un inatteso salto temporale, le Satire di Orazio, lo sguardo puntuale ma mai indignato, il giudizio senza la predica, la percezione di far parte dello stesso mondo che si critica. E quindi il senso di appartenenza, di partecipazione.
Ok, ho fatto Lettere e prima ancora l’artistico per poi fare cazzate nella vita e scrivere nei blog. Anche per lasciare spazio alla gente di dire cose semplici attraverso metafore/interpolazioni più complicate. Il risultato è che la mia credibilità intellettuale sta a zero e allo stesso tempo mia madre mi rimprovera per il fatto di non guadagnare 5000 euro al mese come Chiara Ferragni, perché l’ha sentito dire alla tv.
Dicevo, il pubblico de i Cani. La location è affollata da genti di tutte le età e questa cosa si capisce già prima di entrare quando fuori trovo un’amica nel giro da una vita che fa la traduttrice freelance e un suo amico che lavora a Radio Gamma 5.
Adolescenti e over 35, post adolescenti e over 40. Un pubblico sorprendentemente trasversale. Ho come l’impressione che questa data nella città più hipster e studentesca del Veneto possa rappresentare uno spaccato sociale interessante, giusto per riempire un preambolo da un tanto al chilo in un report nel quale la gente vuole fondamentalmente capire se il concerto è stato figo o se Niccolò Contessa è un coglione.
C’è però da dire che il pezzo è stato pensato fin da subito non solo come report della serata ma anche come precaria indagine antropologica sulla fauna cagnesca che abbiamo cercato di interpellare. Questo per capirne di più sulla fenomenologia di un’ennesima pop band romana, come ama spesso chiosare Contessa dal palco, partendo anche dal suo pubblico, secondo il principio plastificato del “si misura il valore di un gruppo dalla gente che lo segue”. E infatti non è solo grazie a Vasco Rossi che scopri che l’Italia è un paese di merda, ma lo deduci anche, che so, dalla zumba dance o dalla gente che va a votare alle primarie. Quindi è per questo motivo che al mio sguardo ho voluto sovrapporre quello di Marta Mazzuchescion (testo in marrone), una cara amica che non so se definire fashion blogger, ma che fa comunque parte delle Cornacchie della Moda e che mi darà una mano a scambiare quattro battute con la gente, scattare qualche foto e farmi sentire meno solo con un block notes in mano e il rischio di passare per uno sbirro in borghese.
Ciao caro il mio Bullado. Intanto grazie per avermi trascinato in quest’avventura offrendomi l’incredibile opportunità di registrare tendenze e obbrobri del Mondo Nuovo.
Capirai. Innanzitutto la geopolitica generazionale. La disposizione della gente risponde alla logica contraria del pullman delle gite: i più vecchi stanno dietro. Così, mentre gli over 35 attendono seduti ai tavolini vicino al merchandising e ai cessi, i pischelli stanno davanti a prendere i posti vicini al palco. Qualcuno è seduto per terra, gli altri parlottano, rollano cicche o cazzeggiano con il cellulare.
Ecco c’è da dire che il cellulare negli anni zero-dieci, poi evolutosi in smartphone, anche quello è divenuto suo malgrado una cartina tornasole della “qualità” del pubblico di un concerto. Durante un live, più vedi schermi illuminati alzati al cielo, più quel gruppo è una merda. Ma nel 2014 se ne fa un uso diverso. Non c’è niente di tweet tra di noi: la cronaca in diretta ora passa attraverso cinguettate-WhatsApp-Messenger per la gioia di quelli che sono rimasti a casa.
Ma andiamo avanti. Dai discorsi che sento nessuno discute sulla wishlist del Primavera annunciata da un giorno o due, mentre tutti giurano di essere lì per caso, o per sbaglio, a conferma parziale della mia teoria. “No, ma mi ci ha portato un amico…”, “Son finito qua senza sapere perché: io manco li conosco i Cani”. Senza considerare che il Gran Teatro Geox non è esattamente il localino in centro dove ci finisci per ripararti dalla pioggia ma una mega struttura in tangenziale. In fondo il sottoscritto è uno dei pochi qui dentro ad avere la scusa di esserci capitato per godersi lo spettacolo ma soprattutto per scriverci un pezzo. E poi è un mercoledì senza la Champions.
Nel frattempo misuro lo Zeitgeist facendo qualche domanda in giro, giusto per confrontarmi un po’. Sì, il nuovo album andava digerito con calma. Personalmente al primo ascolto mi aveva fatto abbastanza cagare. Poi una volta ricevuto l’accredito l’ho riascoltato in loop e qualche pezzo mi è entrato piacevolmente in testa. O almeno un po’ più di prima.
Parere abbastanza condiviso anche qui. Deduco dalle risposte che Glamour andava sedimentato e decantato come in una botte e assaporato un poco per volta, testi compresi, al contrario dell’esordio super semplice, catchy e, non so se sia corretto o meno nei confronti di Niccolò definirlo così, paraculo? Ma che in ogni caso, nel bene o nel male, ha funzionato un casino (haters gonna hate). La sensazione è che stasera i pezzi de Il sorprendente… spaccheranno di più per via della facile presa rispetto ai nuovi. Senza contare che questa è pure la prima data del tour 2014.
Tu Marta cosa dici?
Dunque, precisazione: quando usciva Il Sorprendente album d’esordio dei Cani era il 2011 e io mi preparavo a trascorrere il mio ultimo anno nella Capitale. Abitavo alla Garbatella ma dalla parte brutta, lungo la Colombo; la cosa non mi è mai dispiaciuta perché pagavo 180 euro (metratura interessante se non si ha bisogno di un armadio), in secondo luogo i trans e i paninari sottocasa mi chiedevano sempre come stavo quando tornavo a casa alle sei di mattina, dopo cinque ore in un pubbetto a San Lorenzo dove lavoravo (ora il suddetto pubbetto è stato sostituito con una rosticceria indiana). Ora: quando uscì l’album in questione ci fu folgore e batticuore. Non era molto importante da quanto tempo fossi a Roma, ma trovai nei Cani la registrazione di un punto di vista in quel momento molto vicino al mio: la romanità. In primo luogo ero tutti gli effetti una dei Fuori sede brutalmente raccontanti in Door Selection, e questa cosa mi faceva incazzare.
Il mio innamoramento per quest’album era dovuto cioè a due ragioni: il fatto che le storie raccontate nell’album potessero essere benissimo composte nelle settimane in Università, nei week-and al Circolo degli Artisti o meglio al Fanfulla, in un inquietante vicinanza di situazioni e punti di vista così specifici e il tutto musicalmente distorto e battuto allineandosi perfettamente con la roba che ascoltavo allora. Penso che questo punto di vista così specifico e così condiviso, il feticismo per Wes Anderson, gli aperitivi a Monti, i negroni, American Apparel, David Foster Wallace, Daniel Johnston, e sopratutto una certa morbosità nel raccontare il proprio malessere attraverso i social, ritraevano molto bene non la generazione ma una delle, di cui ero la prima a rivendicarne il manifesto.
Detto ciò una volta lasciata Roma con le pive nel sacco e sei chili in meno non aveva davvero nessun senso nè riprendere in mano questo album nè interessarsi troppo al successivo.
Benissimo. Intanto continuiamo il nostro tour di aperitivo umano e birra. Qualche chiacchiera random. “Cosa ci fate voi qui”, “cosa ne pensate di” eccetera. Poi puntiamo al pischello dandy punk con la cresta e le sopracciglia bionde, che ha 19 anni e ascolta David Bowie. Mi chiedo dove stia l’errore. Anche lui è qui per sbaglio, dice, perché l’hanno trascinato le sue amiche acqua e sapone. Ma poi lo vedi saltellare durante il live di Hipsteria.
Un giorno ti spiegherò qualche cosa sugli studentelli di moda e sulle loro ancora sepolte inclinazioni sessuali.
Ma anche no. Quello che mi fa ridere è che qui, a parole, non ci sta nessun fan sfegatato dei Cani. Pure loro negano di esserlo.
Una è di qui, l’altra è de Roma ma studia psicologia da noi. Entrambe carine, simpatiche, ventenni. Sul sacchetto hanno scritto: «Vorrei sempre stare così, avere cose pratiche in testa». Anch’io vorrei tornare ad avere vent’anni.
Ma c’è chi ha fatto di meglio.
(per la maglietta chiedete direttamente a lei)
Io mi aggiravo con macchina fotografica e zainetto manco fossi a Bassano in gita con gli scout. Tra l’altro se posso fare la Cornacchia mi auto-critico sancendo definitivamente non necessaria la presenza dello zainetto ai concerti, che rompe tantissimo le palle al tizio dietro di te, se sei uno che normalmente si agita su-e-giù. Io sono stata immobile per la maggior parte del tempo, a ricordare non troppo orgogliosamente il periodo in cui ascoltavo I Cani. Senza per questo scriverci un album, s’intende.
Andare ai concerti con lo zainetto fa molto 1997 o finto freelance. Tra l’altro nel ’97 i freelance venivano semplicemente chiamati “disoccupati”.
Tra la gente cerco degli amici. Qua e là facce conosciute e altre no. Un mischiotto eterogeneo tanto che risulta difficile capire se nelle orecchie di questa gente arrivino più i National di Taylor Swift o i Fine Before You Came di Alessandra Amoroso. L’impressione è che certe tipe le potresti ritrovare tanto in un live di Brunori Sas quanto di Giorgia. Oppure stiamo parlando di gente che nel 1999 si prendeva (o si sarebbe presa) bene con Valvonauta dei Verdena e cinque-sei anni prima con i singoloni dei Nirvana. Boh. So solo che tra il pubblico scopro, con mia grande sorpresa, qualche vecchio arnese dei centri sociali, che ora non chiamo per nome per via di certi sguardi minatori (“Io non sono qui, ok?”, “Ok, però lol”).
Dovrebbero proibirlo per legge il Lol. Ma voglio provare ad usarlo anch’io all’interno di quest’articolo, giusto per sentire che effetto fa. Comunque parlando di Moda&Co., registro un complessivo livellamento stilistico, sarà perché il contenitore Geox fa piuttosto schifo e non può che attrarre gente un po’ così, tra i quali mi inserisco senza problemi. Ma in generale leggo in questi bui anni di crisi un complessivo abuso di H&M e simili; e tu mi dirai: certo il Fashion Low Budget. Io ti dico, certo il Fashion Low Budget, ma un po’ di inventiva, per la miseria. La pressante mise qui presente è la seguente: piumino + skinny + maglione X + scarpademerda; per quest’ultimo dato nessun riferimento alla Geox. Lol.
E comunque c’è anche un palestrato con una maglietta corta aderente. Lol.
Che poi com’è che ci si dovrebbe vestire per andare a vedere i Cani?
Posto che l’evento concerto è di fatto un punto chiave d’aggregazione ormonale coatta, sapevo che da qualche parte avrei trovato qualcuno che s’interrogasse sul tipo di abbigliamento giusto per quest’occasione. C’è gente che ci ha fatto carriera con sta domanda. Pure io se è per questo, anche se non parlerei proprio di carriera. Insomma ho trovato questa discussione incentrata sulla scelta d’abbigliamento da preferirsi per un concerto dei Cani, e questa Marianna prima saluta con “Ciao Regà” poi rilancia dubbiosa il sempreverde binomio leggins + maglione, Zao di tutta risposta la manda al diavolo, lei si inalbera con un anch’esso sempreverde “tu non mi conosci”. La discussione di accende quando PU1 sentenzia: Legati ad un albero. Insomma uno spanzo.
Benissimo. Prendete appunti.
Il concerto
Sono fuori che fumo ma il temibile uomo con la torcia mi richiama all’ordine. Sta per iniziare il live. Il temibile uomo con la torcia è quel tizio che è pagato per rimproverarti se prendi la porta di emergenza sbagliata quando esci per andare a fumare e che ha il compito di colpevolizzarti puntandoti la luce della torcia in faccia per vari secondi.
Gli abbiamo voluto bene.
Dopo essere partiti con il piede sbagliato io e la Marta ce lo siamo fatti amico. Se non altro perché aveva l’aria di uno che se incontravi verso sera dopo il sottopassaggio della stazione, con quell’accento dell’est e la faccia truce, magari non t’avrebbe puntato in faccia la torcia ma il cortello. Oppure il cazzo.
Sempre un signore Bullado.
Inizia il concerto, apre Vera Nabokov seguito da Storia di un impiegato, entrambi pezzi del nuovo album. Poi si passa ad Hipsteria e vedi che la gente ingrana la marcia, si respira già l’aria calda e rassicurante del vecchio singolo, già recepito come “classico”, e succede qualcosa di abbastanza inspiegabile ma che in fondo mi aspettavo: i pischelli iniziano il pogo.
[sarebbe interessante compiere un’indagine intergenerazionale su chi ha pogato cosa nelle varie epoche, dai GBH ai Cani passando per, che so, i Blink 182 e poi sottoporre il tutto a, che so, Henry Rollins e sentire cosa dice o vedere che forma prendono le sue sopracciglia]
L’avvicendarsi di nuovi brani e vecchi pezzi scandisce in modo equilibrato il maggiore o minore coinvolgimento del pubblico. Ad esempio durante Asperger un tizio sale sulle spalle di un altro sventolando una bandiera pirata. Quando i Cani suonano Le coppie la gente balla: in mezzo alla folla danzereccia ritrovo con lo sguardo il palestrato di prima che zompetta come se quella fosse la traccia che usa per fare pilates. Tuttavia ci sono anche brani di Glamour che ricevono una buona accoglienza, vedi un gruppo di ragazzine che si urla in faccia il testo di Lexotan.
A proposito, la scaletta è un po’ questa:
Vi dirò: ho altre radici e background musicali, ma nel complesso i Cani mi hanno convinto. Live set asciutto, grezzo, più rock che su disco come accade per qualsiasi live band elettronica o derivativa, dai Depeche in giù. Pochi fronzoli, solo qualche assoletto distorto e delle licenze poetiche in più in un paio di occasioni (su Post punk ovviamente viene pronunciato “Blow up” e al posto di Vasco Brondi sto giro è Umberto Tozzi che se ne sta appoggiato al muro mentre parla con la ragazza di qualcuno).
Contessa, taciturno, assolve il compito di tenere il palco in modo standard e concentrato. Tra un pezzo e l’altro dice di non parlare molto. Sì, lo dice, nel senso che non ha aneddoti divertenti e storie curiose da raccontare. Si chiama fuori dal solito cabaret anche se sa che può apparire un po’ antipatico. Davvero, dice anche questo come se si volesse scusare.
Inoltre si scusa più volte di essere romano. Senso di inferiorità, imbarazzo? Tranquillo fratello, sei in Veneto.
Mah, Bullazio non so: a propposito della timidezza del Contessa sul palco, io gli consiglierei vivamente di sparare un aneddoto a caso piuttosto che assicurare di non aver niente da dire, se non altro per evitare che qualcuno del pubblico a tale affermazione gridi: “e chi se incula, canta!” come è successo in quest’occasione, e alla quale tra l’altro mi sono unita con un “Giusto!”, ma tu prendevi nota come un bravo scout tutto concentrato, non te ne sarai accorto.
Infatti me lo son perso. Ripassavo la formazione del fantacalcio, per l’imminente chiusura del mercato di gennaio.
Poi qualcuno si lamenterà per l’acustica e lo strano effetto del microfono, credo voluto (dal vivo non le puoi fare le doppie voci), che impediva a quelli che non conoscevano bene i pezzi di seguire i testi, ma, ripeto, a me i Cani non sono dispiaciuti, considerando che l’ultimo live che mi sono visto è quello di Bello Figo Gu. Come non ho disprezzato la scelta dei visual minimali proiettati alle loro spalle, personalizzati per ogni canzone e in sincro con la sezione ritmica. Qualche esempio: un gigante QR Code che cambia sempre il codice, la copertina di Unknown pleasure che oscilla con la linea dei bassi – in realtà la genialata, come mi fa notare dj Momo, consiste nella fusione del tutto con la bassline di AM degli Arctic Monkeys -, le faccione rotanti di Pasolini e Jay-Z che poi esplodono in un turbinio di loghi, tra social network, brand assortiti e celebri testate di controcultura.
Intanto ho molta paura di copiaincollare Bello Figo Gu sul tubo.
Poi lo sapevo che ti sarebbe piaciuta sta paraculata di Pasolini e Jay-Z, non ne avevo alcun dubbio. Devo dire che è piuttosto interessante questa sfrontatezza nel sovrapporre molte cose di segno diverso facendole diventare la stessa cosa: mi sembra evidente che la lista dei loghi che I Cani hanno sparato visivamente alle loro spalle (Vice, Facebook ecc) venga citata per desacralizzare un simbolo, il che come pratica artistica viene fatta da sempre. Ma mi ha un po’ turbato l’enorme faccia di Pasolini coperta parzialmente dalla scritta Glamour in fuxia. Ma che vi devo dire so vecchia, largo ai giovani desacralizzatori.
Quasi un’ora e mezza di live set pulito pulito. Non sono molto bravo con i numeri: cinquecento o forse più persone, come più o meno mi conferma il Puffo del Movement. Considerando il giorno infrasettimanale, il periodo di esami, l’uomo torcia e il tempo di merda, non è male.
E ora la questione del secolo: Niccolò Contessa è uno stronzo?
Fari puntati su lui.
Il distacco manifestato dal frontman de i Cani, che non si sforza di apparire simpatico e brillante ma che alla fine si lancia in un crowd surfing senza fare una brutta fine come Morgan o il tipo al concerto dei Suicidal Tendencies, ben si sposa con le atmosfere disincantate di Glamour, inteso come album un po’ più rassegnato e meno scanzonato del primo, riflesso della fragile arroganza, dei sogni drogati e delle continue aspettative tipiche della generazione #coglioneNo. Un album forse più cupo, autobiografico, liricamente più complesso e ricco di stati d’animo inquieti, di citazioni, riferimenti, richiami e qualche sprazzo di nostalgia. Poi le melodie de Il sorprendente album d’esordio dei Cani ci stanno a mitigare il tutto, attraverso il simpatico cinismo che ha reso famosa e funzionale la formula della band di Roma.
Ok, sticazzi l’album, ma lui come ti è sembrato? Tranquillo. Ok. Normale. Niente di così supponente o irritante a dire il vero. O no Mazzu?
Dunque. Per le ragioni di cui ti ho fatto luce poc’anzi debbo dirti che:
A) Non sono completamente sicura che la modalità di interazione del Contessa verso il pubblico non avesse finalità ruffiane molto diverse dal lanciarsi dal palco o fare un piccolo show. Penso che anche quest’elemento sia in linea con il mood generale del gruppo, dei loro lavori, nonché col personaggio, vero o falso che sia. B) Se proprio debbo esser franca con te, ricambiando l’apertura che ti connota, devo dire che se non fosse per la vicinanza che ho instaurato col primo lavoro (per via della vicinanza geografica/emotiva) e se non fosse per l’accredito gentilmente donato dalla direzione, io al concerto dei Cani non ci sarei venuta. E comunque non ci ritorno. Ma proprio perché raccontano precise dinamiche con le quali ti immedesimi per un certo periodo, che si spera finisca presto, ed io modestamente lo finii.
Io sinceramente non capisco l’accanimento. Un personaggio amato/odiato come lui verrà sempre atteso al varco e messo a processo a prescindere. Più di non uscire dai ranghi, di evitare di fare lo sborone, senza adottare chissà quale atteggiamento paraculo o al sopra le righe, cosa volete che faccia?
Bullado guarda che non fare il paraculo è uno dei modi di fare il paraculo. Perché quando ci si lancia dal palco è fare il paraculo e quando ci si guarda arrossendo la punta delle scarpe si è tanto carini? Personalmente mi stanno sulle palle entrambe le modalità. Ma è il rischio di diventar famosi, ne abbiamo parlato: qualsiasi cosa farai verrà recepita in qualche modo e da qualcuno in maniera errata/negativa/paracula. Al di là di questo, Contessa mi par simpatico. Dovrebbe cambiarsi montatura degli occhiali, o mettersi le lentine. In fondo è piuttosto carino (cit.)
Ad esempio Niccolò a fine concerto si presta nello scambiare quattro chiacchiere (niente di particolare, ci aveva già rilasciato l’intervista). Sembra timido e gentile. Sicuramente è stanco e lo dice. Ma è allo stesso modo affabile nel spendere un bel pensiero per la redazione.
Sì, grazie all’Indiependente per non aver fornito a Bullado uno stock di pennarelli per questa cazzata della scritta, e grazie al Contessa: poteva fraccare un po’ di più con la MIA matita per gli occhi.
Appena scopro dove le vendono te ne inculo una.
Alla fine cosa mi ha colpito
La varietà di pubblico, la trasversalità generazionale, la capacità dei Cani di parlare del loro mondo spicciolo ma universale riuscendo a comunicare qualcosa anche a noi polentoni.
A me ha stupito che non si sia ancora inventato un modo alternativo al “ballare collettivamente”, così come lo spiega Wikipedia, al pogo.
Tra l’altro un aspetto che trovo comune nella scena culturale romana: che si tratti di musica o letteratura non fa differenza, loro amano un sacco parlare delle loro piccole cose o dell’antropologia culturale dei loro quartieri; Roma caput mundi. Una caratteristica che sollecita il mio leghismo interiore.
Diciamo che navigare a motori spenti trainati dalla scia di quella romanità “accademica” che citi, anche visivamente, è facile. E non dico che sia sbagliato. Si tratta sempre di ripescare a piene mani dalle proprie radici, che siano quelle riconosciute all’Università o assorbite culturalmente semplicemente “vivendo” un luogo. Diciamo che qui si sventolano citazioni molto ben poste, questo sì. E per quanto riguarda il tuo leghismo interiore, Bullado: o’caca.
Ok, ma è un po’ come se ci fosse un gruppo elettro pop padovano che si mettesse a cantare pezzi chiedendosi che fine hanno fatto i negri di via Anelli, o a comporre ballate sui parrucconi di Baessato, sulle escort del Q, sulla bamba di zona industriale che sa di muro grattato e sull’MD avventizia del Crispy. E ancora gli spritz in centro, il disagio dei dormitori universitari con i pavimenti appiccicaticci, Zona Portello, i radical chic di Città Giardino, gli omosessuali repressi di zona Duomo, i suv del centro che non riescono a passare per le vie del centro, la Gestapo comunale che assieme alla Finanza e alla Digos rompono il cazzo ai locali non ammanicati, la vecchia bisca di poker con i massaggi porno cinesi in via Savonarola, i trans davanti al Selvatico, il Pedro e il vecchio Gramigna, il panino unto da Badole, il Pachuca che ha devastato i fegati di tanti laureandi poi disoccupati, il Banale dove una volta tuo zio ascoltava jazz e che poi hai frequentato tu a colpi di rum e pera e Kaiser Chiefs, la Basilica del Santo con i polacchi e i filippini, gli spaccini pacco di Prato della Valle a un passo dalla questura, dove si fa il Bottellon, ovvero la prova tangibile della piaga sociale rappresentata dagli Erasmus Spagnoli.
Appunto. C’è davvero il bisogno di decantare tutta sta roba in chiave nostalgica? Per quale motivo? Per palesare un: “odio questa merda ma fa parte di me”? Facciamoci, vi prego, degli altri termini di paragone.
Ok, e Pezzali?
Ad ogni modo, della spicciola epica nostrana non frega giustamente un cazzo a nessuno.
Grazie a Dio.
Quella romana invece tira. Dal Neorealismo in poi, come se ci inculasse qualcosa degli aperitivi a Monti, del Circolo degli Artisti, dei Parioli o del quartiere San Lorenzo che è diverso dai casoni di Torpignattara o Rebibbia. Al massimo per un veneto medio possono interessare dritte su dove farsi un Peroncino + falafel a 2€ al Pigneto o come trovare parcheggio di fianco a San Pietro. Cose che peraltro i Cani non ti dicono. Eppure.
Esatto! Perché al veneto e in generale all’italiano medio piacciono i Cani? Lasciamo perdere la musica (anche se qui avrei da dire due o tre cosette) penso che la gente ascolti i Cani perché in fondo con loro ci si culla nella sicurezza delle proprie fragilità, scusa l’ossimoro. Il che non è sbagliato di per sé, ma mi sembra un meccanismo paraculo in partenza. E mi sembra sia sempre la stessa storia: Contessa sta male perché sente il peso del Mal di Vivere, Contessa sta male perché scopre la ragazza che bacia un altro, Contessa sta male perché non c’è niente di Twee, Contessa sta male perché si sente vecchio e un po’ scemo a guardare i pariolini di diciotto anni. E perché siamo bellissimi e perdenti. Chissà come si sentono ad aver articolato una nuova frasistica da farsi tatuare.
(chi possiede dei tattoo de I Cani, la band, ci invii una foto. Davvero)
Ok, resta il fatto che i Cani incuriosiscono, “engaggiano” questa utenza sbarazzina e nordestina, post leghista, fuori sede e forse un po’ fuori corso, da sempre tradizionalmente abbonata agli stereotipi milanesi. Mi rendo conto che la stessa cosa magari può valere per qualsiasi altro cristiano che non bazzica a Roma, tuttavia i Cani sembrano arrivare ugualmente alla gente, con i riferimenti, le immagini, le metafore, gli aforismi ironici che però, stando a Contessa, di ironico non hanno nulla, ma contengono l’amaro retrogusto del disincanto.
Amaro retrogusto del disincanto che nel momento in cui si attraversa la dorata porta dei trent’anni (cosa che farò con un poco di sollievo) si spera si possa convertire in qualcos’altro. Perché sai Bullado, è una cosa a cui ho pensato recentemente: siamo un popolo di nostalgici verso noi stessi nel passato, da Gli anni d’oro del “Mitico Max”, che a ventisette anni era nostalgico di quando ne aveva tredici e andava in motorino sempre in due. Ecco io qui leggo lo stesso bisogno di struggersi per qualcosa che a mio avviso non è necessariamente meraviglioso perché passato.
(ma perché continuiamo a parlare di Max Pezzali?)
Che poi i Cani possiedono inoltre la capacità di mobilitare/incuriosire più generazioni sotto lo stesso palco. Il fatto di far intendere di avere “qualcosa da dire”. Il tutto attraverso la faccia normale di Niccolò Contessa, terminale offensivo/finalizzatore dell’intero progetto e uomo del destino. Chissà se tutte queste aspettative gli pesano sulle spalle o se al contrario non gli fanno né caldo né freddo. Ecco, sì, questo avrei potuto chiederglielo, così come il perché di quelle occhiaie.
(Niccolò non mollare, dormi di più e mangia meglio)
(Niccolò mi devi una matita per occhi Rimmel Look)
(Marta: perdona e dimentica)
Fine Serata
Altre due birre, due sigarette, due chiacchiere con amici, fuori piove e nevica. Torno dentro per molestare un tizio tutto in nero che sta accasciato a terra con la tipa sdraiata sul suo grembo. Dice di avere 21 anni, di suonare in un gruppo prog funk e in un altro metal. Fa le pizze. A lui piacciono tutti i pezzi del nuovo dei Cani.
Erano carini e timidi. Ma sembravano devastati manco il Primo Maggio in Piazza San Giovanni.
Avere vent’anni al giorno d’oggi è una faticaccia. Tutto questo mentre alle nostre spalle un tizio con il montone del nonno balla da solo e fa versi strani tanto che spero sia l’unico impasticcato della serata. Invece è sobrio anche se è bresciano. La sua ragazza che studia qui è un po’ preoccupata perché tra un po’ lui parte in Erasmus per Lisbona. Il tizio se la ride, ma non conosce i miei amici: forse quello preoccupato dovrebbe essere lui, ma questo non glielo dico. Ad ogni modo un’altra giovane coppia che studia in questa città. Scuoto la testa. Padova è un po’ come i Cani: non riesci a capire perché alla fine riesce ad attrarre così tanta gente da fuori.
Questo ragazzino con viso angelico e accento triestino con una camicia di lamè dorata e sto montone assurdo addosso. Sicuramente la coppia più interessante di questa serata, se non fosse che lei era visibilmente rancorosa per questa cosa di Lisbona che in realtà Bullado hai capito male, era Barcellona. Ma visto che io e Bullado siamo come Lalla e Tata Francesca lei ci snocciola i suoi dubbi sulla partenza di lui e noi non sappiamo davvero come dargli torto.
Erasmus: cervelli in fuga e analfabetismo di ritorno. Malattie veneree comprese.
Dico a Marta che mi serve qualche parere di un “vecchio”, ma quelli sono già spariti. È già l’una e c’è dj Momo che mette i dischi con la maglietta di Heinsenberg («mi hanno detto di metter pezzi nazionalpopolari», quindi via di Derozer e Antonella Rettore, daje Momo). I suoi pezzi fanno ballare chi è rimasto, ovvero chi domani non lavora o non c’ha esami o chi domani c’ha esami ma fa il Dams.
Oppure chi ha un lavoro abbastanza Glamour.
(Volevo rovinarti l’uscita stilosa con qualcosa di brutto e sporco ma non mi viene in mente nulla)
(Ok, forse ci sono: ci si rivede per Le Luci della Centrale Elettrica. O Venditti)
Un ringraziamento speciale, oltre a Marta Mazzucato che si è prestata al gioco, va al Gran Teatro Geox, malgrado le scarpe della Geox, ad Alta Fedeltà, al Puffo, a Giorgia Chiaro per le foto, all’uomo torcia e a tutte le persone che abbiamo molestato.