Le Riot Grrrl mi sono sempre state sul cazzo. Perché? Perché no. In realtà il fatto che urlassero e si prendessero la briga di starnazzare su temi più o meno sociali, forse era quello a non andarmi particolarmente giù, quest’opulenza di intenti e la lussuria di corde vocali ipertrofiche, be’ davvero mi davano/danno sui nervi. Facile immaginare, quindi, la mia reazione da facepalm quando SubPop decide di far uscire le Sleater-Kinney il 20 gennaio di questo nuovo anno: dopo dieci anni di silenzio (ed esiste un piccolo dogma hipsterico in merito: le band che tornano, di solito, ritornano per far cagare) non solo si riunisce un gruppo scioltosi al termine di un tour (The Wood Tour del 2005), ma la band che fa tutto ciò è formata persino da attempatelle Riot Grrl. Un’impennata per la mia spocchia, nonché un colpo alla mia già travagliata relazione amorosa con SubPop. Tuttavia, recependo l’insegnamento cristiano del perdono – nonostante i recenti inviti di Francisco Bergoglio a fare a scazzottate-, ho deciso comunque di dedicare almeno un orecchio a No Cities To Love, il nuovo lavoro delle SK. Dopotutto, mi sono detta, l’ha prodotto sempre quel gran ganzone di John Goodmanson, che non mi sta per niente sul cazzo; dunque rinfrancata dalla mia simpatia per il produttore ed avendo deciso di placare l’hipsteria e lo schifo verso le Riot Grrrl per un momento, alla fine, me lo sono sentito sto ottavo album da studio delle SK.
Nonostante le premesse non siano, dunque, le migliori, non è andata così di merda come pensavo. 10 tracce, brevi (nessuna supera i 4 minuti), registrate divinamente (Goodmanson io ti amo, te lo avevo già detto?), sound grosso, ruvido, corposo (Le Tigre che fanno un incidente d’auto con i Sonic Youth per intenderci), testi più o meno impegnati su tematiche non particolarmente idiote, semantica (in cauda venenum) da facepalm. Le dieci tracce si lasciano ascoltare molto easy-going, preannunciando davvero la fine delle pretese da Riot Grrrl per le tre tizie di Olympia (sì, lo so hanno un nome, ma io non sono politically correct) , a favore di un sound molto più curato. Tutti i pezzi sembrano essere compresi in una grossa parentesi: opener potente Price Tag, chitarra quasi Sonic Youth, con quel tanto di delay in più che-mi-rende-perdutamente-tua, un buon inizio per un album, anzi senza dubbio un inizio indovinatissimo. Fangless best track of all ten. Niente da dire, funziona benissimo, e già lo so che quel “You brought me down but I’m not undone” diventerà mio. Surface Envy e title track, preparatevi perché mi sa che li canterete sotto al palco: taglio tipico del singolone che fa storcere il naso a tutti (Cioèmaètroppocommercialeètropposingalong) ma che poi tutti comprano su itunes. A new Wave: a un certo punto urla troppo, sembra la cantante de Le Tigre: porgere l’altra guancia sì, ma cretina no. SKIP. No Anthem: decisamente molto meglio, ma la coerenza non mi pare sia proprio delle SK: “I’M NOT THE ANTHEM”, mie care signorine, diventerà proprio un anthem live. Fanalino di coda: Fade, ritmiche più tranquille, per chiudere la grande parentesi di No Cities To Love, chitarra che fa l’occhiolino ai suoni grunge e Corin Tucker che continua a non prendere una stecca: la degna conclusione, stanca, forse un po’ troppo stanca, per un album del genere. Insomma, alla fine, di tutta quell’ispirazione che le SK dicevano di aver tratto da Courtney Love e da Joan Jett, pare sia rimasta solo qualche traccia nella voce sempre grossa, potente e lamentosa (lo so, non sembra un buon attributo, ma non me ne venivano di migliori!) di Corin Tucker; E MENOMALE! Mi viene da dire! I riff di chitarra di Carrie Brownstein non cercano di eccellere o di non assomigliarsi in nessun pezzo, ma questo non mi infastidisce, dà una continuità all’album; insomma la svolta musicale che aveva preso corpo nel 2005 con The Wood, ora è sicuramente annunciata e sventolata. Ricordiamoci che si tratta pur sempre di un album partorito in reunion. Dopo tanti anni, una band può ritornare in pochi modi: o fa completamente cagare o fa reinnamorare i fan, come il fidanzato che piaceva tanto a nostra madre e che ritorna a sorpresa dopo un fidanzato molto stronzo dopo molti anni (I <3 Dinosaur Jr). Insomma bisogna saper ritornare e dopo dieci anni è dura, soprattutto quando si sono cavalcati i 90s. Credo che le SK abbiano deciso di fare un buon ritorno, senza infamia e senza lode, senza voler strafare. E su questo non si sono sbagliate affatto.