Che poi, ripeto sempre: se uno uccide 100 mila persone, che ci frega come le ha uccise? Con il gas è grave, senza gas si può fare? Mah.
— Christian Rocca (@christianrocca) August 25, 2013
Ad est della capitale Damasco, in Siria, sorge la regione di Ghouta, teatro lo scorso 21 Agosto di una serie di attacchi chimici ad opera del governo centrale di Assad, che ovviamente continua a negare l’accaduto. Il fatto ha surriscaldato una situazione già di per sè confusa: da un lato il terrore che fosse tutto vero e quindi la paura di dover intervenire; Barack Obama ci va cauto, vuole accertarsi che l’attacco sia vero ed esaminare le possibili conseguenze di un intervento statunitense nella faccenda (con lo spettro di un minaccioso Iran a far da sottofondo). Intanto gli ispettori Onu vengono inviati ad accertare l’accaduto. Ma se così fosse, ovvero se Assad avesse effettivamente usato il gas nervino in un’area sotto il controllo dei dissidenti (come riportato dagli attivisti siriani), quale sarebbe il quadro del prossimo futuro su scala internazionale?
Negli ultimi anni siamo stati abituati ad una politica internazionale americana d’assalto: l’ha usata Bush jn dopo l’11 Settembre, e anche Obama durante la prima ondata di Primavera Araba, per esempio in Libia. Sulla Siria lo scenario è sempre stato diverso, nonostante la guerra civile sia iniziata ormai da due anni e passa. Ma qual è il senso della lunga Primavera Araba? Assad ha sempre tentato la carta di sostenere che i dimostranti non lottassero per le riforme democratiche, ma per instaurare uno Stato islamico radicale sotto il controllo dei Fratelli Musulmani. Gli Usa forse sono cauti anche per questa ragione, valutando la situazione che si sta creando in Egitto dopo le lotte di libertà che hanno portato alla cacciata del dittatore Mubarak, per sfociare nella deposizione del presidente eletto Morsi (sostenuto dai Fratelli Musulmani) dopo le nuove ondate di protesta, facendo parlare di ‘‘colpo di stato militare”. Tuttavia, come riporta Il Post: ‘‘Da quando l’ex presidente dell’Egitto Mohamed Morsi è stato deposto il 2 luglio scorso, l’amministrazione statunitense non ha mai definito le vicende egiziane come un “colpo di Stato”: ha cercato invece di stringere buoni rapporti con il nuovo governo e con i militari, responsabili della deposizione di Morsi”.
Intanto fanno il giro del mondo le immagini truculente dei morti sotto il gas nervino, i ribelli parlano di un migliaio di vittime tra cui molti i bambini. Le contraddizioni di un possibile intervento in Siria sono le solite: lasciarli a combattere e osservare da lontano immobili un teatro sanguinario di guerriglia?; entrare, e poi subire la condanna dei vari movimenti internazionali, che accuserebbero le forze Usa o francesi o vattelapesca, di non farsi mai i cazzacci loro, di essere presuntuosi in questo tentativo di portare guerra nel mondo ed esportare – casomai – la democrazia?; attendere che tutto sia fatto al meglio possibile (che poi qual è?) con una coalizione rigorosamente firmata Nazioni Unite, previo accertamento di prove, e via dicendo, e che se poi si rivelassero false porterebbero a un nuovo Iraq. Insomma, non se ne esce vivi dagli anni Duemila. Almeno in Siria.
Si fa strada inoltre la minaccia iraniana: ‘‘L’America conosce le delimitazioni della linea rossa sul fronte siriano, se verranno superate ci saranno serie conseguenze per la Casa Bianca”, dichiara Massoud Jazayeri, vice delle forze armate in Iran.
Così ora è tutto sospeso in attesa del responso degli ispettori Onu. Chi vivrà vedrà.