Quest’Halloween mi sono vestito da Che Guevara. Baffi, pizzetto e capelli lunghi offerti dai miei geni, basco stellato, giacca militare (belga) e sigarone in bocca. Tra l’ilarità generale, il mio costume ha scatenato un certo entusiasmo tra gli universitari ubriachi con cui danzavo. Tutti volevano fare la rivoluzione. La Re-vo-lu-ci-on, come scandivo offrendo in giro quel disgustoso sigaro spento. Il giorno dopo, l’unico rivolo rivoluzionario sul mio corpo era la stelletta militare comprata da H&M.
Secondo Noam Chomsky “ per avere una rivoluzione– significativa– c’è bisogno di una sostanziale maggioranza della popolazione che riconosca o creda che nuove necessarie riforme non siano possibili all’interno della cornice istituzionale esistente”. Nel 1789, un gruppo di hipster (i trisavoli dei Phoenix) decisero di mandare a casa la famiglia del Sole e i loro croissant fondando la gloriosa repubblica francese. Nel 1848 studenti erasmus ante-litteram crearono scompiglio lanciando bombe artigianali nei salotti più chic d’Europa. Nell’anno domini 2011 Mohamed Bouazizisisi cosparse di benzina e si diede fuoco in Tunisia, scatenando simbolicamente l’Arab Spring. Questi gesti rivoluzionari hanno contribuito alla trasformazione di habitat istituzionali e plasmato la percezione della cosa pubblica nella coscienza collettiva globale.
Il nuovo grido di rivoluzione che parte da San Francisco e finisce a Ramallah è la lotta contro l’1% che si arricchisce alle spalle del 99%. Una narrativa romanzesca che permettere di friggere nello stesso calderone le istanze più diverse. Il collante, come per gli hipster francesi del 1789, è l’eguaglianza tra gli esseri umani. Chomsky spiega la nascita (e la morte?) di movimenti di protesta come gli indignados, i vari #occupymovement e i pirati tedeschi come il risultato di 30 anni di politiche neoliberiste a vantaggio di pochi. In Europa, la socializzazione dei fallimenti del sistema bancario e la devalutazione appiccata dalle economie (protestanti) del nord nei confronti di quelle meridionali (cattoliche) saranno studiate come strani casi di imperialismo 2.0.
A risentirne soprattutto – surprise! -è la Peggio Gioventù europea. Quella italiana è in primis. Nel regno in cui le corporazioni fondate ai tempi del fascismo gestiscono il Paese reale ed i sindacati proteggono esclusivamente i diritti dei lavoratori nati negli anni ’50, i giovani italiani sono vacche da macello. In questo contesto, cosa impedisce al moderno #Robespierre di arringare la folla (vestita da Zara) in Piazza del Popolo?
I rivoluzionari del recente passato, come Che Guevara ed Allende, erano accomunati, nelle parole dello scrittore Kapuscinski, da “un’implacabile determinazione, una deliberata inesorabilità ed una folle dignità”. Erano uomini disponibili ad affrontare la solitudine del portare nell’oltretomba un atto rivoluzionario. Solitudine che è, oggi, un tag estinto. Dal Cristo con il fucile in spalla, a quello con il profilo Instagram.
La maggior parte delle persone che punta il dito contro la macchina finanziaria impazzita che ingloba oggi il pianeta eche dice di far parte del “99%” è parteintegrante del sistema stesso. Crediamo che così com’è il nostro paese, l’Italia, sia possibile portare avanti quelle riforme necessarie per renderlo migliore? Il futuro della rivoluzione è nello spazio di questa risposta. Il suo presente è un orpello da indossare in maschera.
Fabrizio De Rosa
* artwork a cura Fab Ciraolo
(Articolo tratto da Mixtape)