In questi giorni inquieti si era già letto in anteprima su blog e similari dei funerali del Pd. Ci si è chiesto se sia stata la rete ad aver accelerato un processo di morte già in corso, che ha portato poi alle dimissioni dei vertici (ovvero Bersani e Bindi sì, D’alema no: quanto ci sia di vertice e quanto di simbolico lo giudicheremo coi fatti). Sull’influenza della rete in questa tornata di elezione del Presidente della Repubblica stanno girando fiumi di post dal giorno del tentativo del soldato Marini, mandato al martirio dei voti per primo. Giuseppe Civati sul suo blog conferma una preferenza (o scelta) di un’ala del Pd:
Sono intervenuto l’altra sera per dire che Marini non era una soluzione, e non sono stato franco tiratore, ma solo franco.
La sensazione è che il Partito Democratico paghi il pluralismo interno. Intendiamoci: gli altri due ”movimenti” che oggi rappresentano il paese sono chiari, hanno una leadership forte, in poche parole i militanti sono più sensibili al richiamo e all’ordine dall’alto. E’ un aspetto che in un certo senso io personalmente non riuscirei mai a digerire. La parte sinistra del paese, con questa sua pretesa di libertà, finisce per fare le ”chiavicate” a cui ci troviamo ad assistere. Pippo Civati (esempio) rappresenta una parte del Pd, un mini-movimento interno, Renzi rappresenta una parte, Bersani la vecchia scuola di potere logorante e logoroso: a ognuno la sua difesa della propria personale idea di fare politica. Beppe Grillo e Berlusconi invece sono quasi due detentori di partito oltre che leader politici. Quando Anna Finocchiaro ha chiesto chi fosse questa presunta base ha dimostrato di ignorare che la base degli elettori di sinistra è una base più creativa di quella degli altri schieramenti, è un po’ la base che ama twittare e controllare la politica (nulla togliendo ai tweet altrui): la base del M5S e quella del Pdl sono due basi fiacche, almeno questa è la sensazione, che accettano con fatalismo di farsi rappresentare da chi eleggono senza controllarlo, insomma gli lasciano le chiavi in mano. Eppure la dialettica delle libertà interne dovrebbe essere una delle qualità di un movimento, se non vivessimo in un paese così fiaccato nelle sue basi o fondamenta. Ci si è interrogato quanta parte nel gioco ha avuto twitter come mezzo prorompente di trasformazione, capace di influenzare le scelte in alto, ma incapace fino in fondo di far sentire quanto contasse scegliere Rodotà, che è diventata un po’ una questione di vita o di morte per la base Pd (o una sua parte).
Ho la sensazione che Stefano Rodotà sia diventato in pochi giorni una specie di simbolo occulto: a parte l’occupypd che ne ha stimolato (è divertente e paradossale come riusciamo a fare occupazione sul modello arabo/americano quando si tratta di prendere parte per un Presidente, e non perchè esiste una crisi reale nel paese che dovrebbe mobilitarci tutti i santi giorni); a parte l’occupypd dicevo (e scusate se dimentico il #), manca poco che si organizzi una fiaccolata, una tammurriata in suo onore, e una presa di Porta Pia.
Ma adesso la domanda che resta in bocca amara è sempre quella solita sulla sinistra in Italia. In fondo il copione è sempre lo stesso.