Non c’è niente di “nuovo” nell’ultimo lavoro dei Daft Punk, niente che abbia una qualche attinenza con un’estetica futuribile reale, ma piuttosto una qualche forma di retrospettiva nostalgica che guarda ai primi anni ottanta (se non addirittura prima). Non è usando i glitch o i vocoder che possiamo comporre un album elettronico che guardi al futuro o che abbia la pretesa di innovare in qualche maniera: anzi direi proprio che si incorre nel gap di creare la situazione opposta, ovvero una nostalgica voglia di tornare al passato, di scavare nelle radici di un “futurismo sonoro” che ormai è un “passatismo sonoro”. L’estetica infatti è quella solita del robot, un’estetica ripetuta da loro stessi fino allo stremo in una voglia forsennata di omaggiare (re-inventare) ciò che furono i Kraftwerk e il cyber-punk e declinarli verso di loro, ancora una volta.
Non c’è niente di nuovo nemmeno nella sua diffusione ed è in realtà su di essa che voglio maggiormente soffermarmi. Lo “streaming” del nuovo album in anteprima non rappresenta affatto una rivoluzione nella fruizione mediale: ma allora perché tutto questo chiasso dietro ad uno streaming in anteprima visto che siamo in piena era “Spotify”? Lo ammetto, una buona parte è dovuta proprio ai Daft Punk, al loro brand e alla loro immensa (e meritatissima) fan base.
Ma perché usare esclusivamente “ITunes” per trasmettere lo stream? Anche questa è stata una scelta estetica che ben si è adattata ai Daft Punk, oltre che a trattarsi di un’ottima join adventure tra Columbia ed Apple: la mela ha ormai imposto il suo brand con l’immagine dell’efficienza e della durata, ma anche della professionalità per tutto ciò che riguarda la produzione multimediale di audio/video: basti pensare a quante volte abbiamo visto un MacBook in consolle insieme a piatti, dischi, mixer, etc. etc. Infatti i Daft sono esattamente in consolle, nella loro piramide, dietro ad una consolle: il punto di contatto tra i due mondi nell’immaginario collettivo è stata la scommessa vincente (è ovvio che si sta parlando di associazioni psicologiche latenti).
Difatti, tutti abbiamo visto il prezzo del disco su Itunes, sul suo pulsante arancione con la scritta “9.99 €” , e tutti avremo pensato “così poco per tutto questo? Mi aspettavo peggio!”: ecco in cosa sono riusciti i Daft Punk ,oltre a confezionare un ottimo disco che suona bene ma che rimane saldamente ancorato al loro vecchio sound. L’estetica Daft Punk unita con quella Disney di Tron (guarda caso un film dai tratti futuristi e fantascientifici) non ha avuto la stessa forza e lo stesso impatto che ha avuto ora con I-Tunes per motivi legati proprio al marchio Disney che non riesce a scrollarsi da dosso il proprio immaginario legato all’animazione per più piccoli.
Non sarebbe cambiato assolutamente nulla, per gli ascoltatori, se il disco fosse stato postato su Spotify, sul loro sito, su altri siti commerciali: in ogni caso lo avremmo ascoltato tutti lo stesso, inutile celare l’uso dei client di file sharing (quali torrent, e-mule e altri), inutile pensare che la musica possa essere in qualche modo “negata” con uno sbarramento monetario e questo confronto fotografico dimostra la storia passata di un conservatorismo digitale che è morto e sepolto:
Un altro momento altissimo per la digitalizzazione musicale fu quando I Radiohead misero gratuitamente In Rainbows sul loro sito con una casella nella quale si poteva proporre “zero” o un pagamento a piacere. L’operazione è molto analoga a questo streaming, come dimenticare l’immagine qui sotto in alto della pagina di In Rainbows. Confrontiamola con quella in basso di I-Tunes:
Anche qui è presente il richiamo ad un eventuale pagamento, ma la possibilità di usufruire in ogni caso del contenuto rimane. Quella dei Radiohead fu una scelta più radicale ma la vera sostanza , quella della fruizione gratuita, rimane completamente invariata. Anche il lettering e lo sfondo del sito di In Rainbows comunicavano una qualche forma di estetica futuristica, o in ogni caso un richiamo all’estetica “virtuale” come a voler indossare un immagine di avaguardia tecnologica.
Tutto questo per dire che l’uscita del nuovo album dei Daft Punk è un’ottima notizia (almeno lo è per me che ascolto lo stream ininterrottamente da un po’), ma il grande evento dello streaming è stata soltanto un’ottima operazione di marketing digitale da parte di Apple e Columbia: ben venga, anzi è riuscita benissimo considerata la risonanza che ha avuto, ma non si può minimamente parlare nè di novità (estetica, musicale e altro), ne di rivoluzione in termini di vendita di musica digitale. Niente di nuovo sotto il sole, del resto come dice Kim Cascone , guru dell’elettronica e assistant music editor di David Lynch ai tempi di Twin Peaks:
Con il commercio elettronico, una parte consistente della fabbrica di affari del mondo occidentale e di Hollywood stanno sfornando gigabyte di fuffa digitale: la tecnologia perde sempre più fascino per gli artisti