Se ho capito bene, e se tanto mi dà tanto, in questo momento alle casse dei supermercati sono in corso dei Gay Pride con i carrelli pieni di pasta De Cecco.
Per la gioia delle commesse, le quali hanno qualcuno con cui chiacchierare a proposito delle loro nuove unghie french o con i disegnetti e i fiorellini.
E tutto questo grazie alla polemica virale esplosa in seguito alle dichiarazioni di Guido Barilla a proposito degli omosessuali che non vuole nelle sue pubblicità.
Di qui le campagne di boiccottaggio che, a dir la verità, mi lasciano un po’ perplesso. Non perché solidarizzi con il pensiero di Barilla, anzi, ma per la forma mentis che sta dietro a questa violenta reazione.
(Che poi magari sono io che non capisco un cazzo, ma la gente vorrebbe farmi credere che i gay seguono la dieta dei carboidrati?)
In prima fila nel blastare il presidente della multinazionale c’è Costantino della Gherardesca, che ne fa una crociata LGBT. Praticamente un hashtag.
(per chi fosse interessato, Costantino dice di compilare non si sa bene cosa in questo sito arcobaleno. Che ovviamente è spagnolo)
Ad ogni modo, dal bailamme social e dalle battute dei comedy-nerd del web, si stagliano vigorose le dichiarazioni al vetriolo dei soliti noti. Prendo ad esempio la dissacrante ironia di Qualcosa del Genere:
«Partiamo dal presupposto che da che ho memoria gli spot della Barilla immortalano affiatati nuclei della middleclass in cui toniche mamme borghesi col culo sodo ho-studiato-in-bocconi-ma-poi-ho-mollato-princewaterhouse-&-coopers-per-dedicarmi-interamente-alla-famiglia sfornano pirofile fumanti da servire a bambini con deficit attentivi o sgualdrine adolescenti in cerca di complicità materna, quindi è fisiologico che il padre ogni sera vada sulla Palmiro Togliatti a succhiarlo a due trans»
(via)
o del Deboscio:
sghignazzate che in qualche modo racchiudono lo Zeitgeist del momento.
E insomma, incredibile ma vero, appelli nel fare la spesa frocia militanti, utenti che inneggiano i brand competitor di Barilla: la pasta, simbolo ed eccellenza del nostro Belpaese, che diventa il simbolo di una nuova battaglia per l’integrazione e il progresso in una società tradizionalista, reazionaria e retriva come la nostra. Chi l’avrebbe mai detto?
Una rivoluzione sessuale, culturale, etica che passa attraverso simboli nazionalpopolari.
Ma ciò che più mi affascina in tutto ciò non è l’aspetto sociale e culturale della cosa, e nemmeno l’isteria del gay-friendlyismo coatto e un po’ fascista dell’opinione pubblica, ma, come dire, i suoi risvolti d’immagine e commerciali.
Insomma, sto parlando di marketing.
Al di là dell’instant post di Vice e delle opinioni di Vladimir Luxuria, mi colpiscono i commenti da marketer che leggo un po’ ovunque e che si riassumono in un determinato sillogismo: «Caro Guido Barilla, oltre ad essere un capitalista di merda e un fascista troglodita, sei anche un babbo, perché queste tue dichiarazioni ti faranno perdere un casino di soldi.»
Ora chi scrive è davvero l’ultimo degli scemi, tuttavia mi sfugge un passaggio. Se l‘Italia è quel paese che è, arretrato, familista, omofobo e conservatore, se voi foste un imprenditore che vuole fare business sui grandi numeri su un bene di largo consumo, su quale target, su quale fetta di mercato puntereste? Sui nostalgici della Mucca Assassina o sugli elettori del PD e Forza Italia?
E infatti se in tutti questi anni la Barilla ha fatto i miliardi sfamando generazioni di italiani, da Giovanardi a Valerio Scanu, è anche perché ci ha propinati questa immagine di società patriarcale, tradizionalista e plastificata per vendere pasta e merendine.
Quello che voglio dire è che una scelta commerciale di un privato è e rimane, appunto, una scelta commerciale di un privato, di un’azienda, di una corporation, per quanto vasta. Certo, magari può diventare un’irresistibile questione di stato, sai com’è, di questi tempi non c’è nient’altro per cui stare in pena, ma confondere una scelta di un imprenditore – sbagliata, fastidiosa, non condivisibile – per “discriminazione” mi sembra un tentativo di mischiare le carte.
Altrimenti direi che gli spot della Apple discriminano gli eterosessuali.
Se poi penso che nell’immaginario di certi attivisti – che ora si danno da fare come se ci fossero i nazisti alle porte e che scenderebbero in piazza per la chiusura di uno Starbucks o per il taglio del wi-fi ma non per il cupo declino politico del proprio paese – il progresso di una nazione sarebbe misurabile dalla presenza o meno di una pubblicità alla tv di Immanuel Casto che succhia un rigatone, beh, allora mi vien da dire che Renzi come prossimo premier non sarà nemmeno il male maggiore per questa Italia.
Nel frattempo, in un simile subbuglio di rancori coloriti, un marchio vattelapesca ne approfitta per acchiappare like, pubblicando su Facebook un frame tratto da un loro vecchio promo, appiccicandoci sopra uno slogan che scimmiotta la Barilla. Per la cronaca nell’immagine ci sono due ragazzi che si baciano.
That’s business baby!
Davvero, non importa se lo stesso brand festeggiava il ferragosto con una foto simile, dove i bambini sono pure belli e biondi come nella Hitlerjugend o su Disney Channel, e che il marketing sfrutti le questioni sociali e d’integrazione per creare brecce nell’opinione pubblica (e quindi nel consumatore). Tutto questo non conta: è la normalità, dalle provocazioni di genere allo shockadvertising di Oliviero Toscani – che l’altro giorno, in un’intervista, mi ha pure detto che non sa manco cosa cazzo voglia dire questa parola. Toscani che stigmatizza il Barilla, lui che da un certo punto di vista è stato il pioniere di una certa comunicazione pubblicitaria, provocatoria, creativa, liberal e “sociale”.
E allora mi vien da stare al gioco. Del resto lo sanno tutti che il futuro dei brand è green, smart e gay friendly. Se il tuo competitor scivola in una dichiarazione del genere io, fossi la De Cecco, per cavalcare l’hype della polemica, ingaggerei come testimonial, che so, James Franco o Marco Mengoni (che magari vuole meno soldi). Oppure farei la pubblicità con Platinette che si strafoga di amatriciana. Due piccioni con una fava: così ti pigli il favore dell’ambiente queer e degli amanti delle BBW.
Troppo facile così.
Fossi invece la Barilla, avendo fatto la frittata, opterei per qualcosa di più hardcore. Tipo:
ma se la cosa dovesse irritare ulteriormente i consumatori, potrei sterzare di brutto, cambiare rotta, e per riacquisire popolarità e rimediare al crollo di brand reputation nell’ambiente gay potrei inventarmi qualcosa del genere:
ce la vedrei bene come limited edition.
Oppure qualcosa di più smart e Pussy Riot:
Voglio dire: basta con ste mamme massaie! Ora è il tempo della donna libera e indipendente, troia ma intellettuale, tutta Neu Sex e triple penetration.
Il futuro è delle Laure Boldrini e delle Valentine Nappi.
Ora stiamo a vedere se i media advisor di Guido Barilla accolgono i miei suggerimenti.
Nel frattempo concludo dicendo che, a dir la verità, non è la prima volta che la pasta viene posta al centro di tematiche sociali di una certa rilevanza. I Lolocaust, ad esempio, giusto per alimentare il flame, avevano capito che alla base dell’integrazione tra italiani e negri ci sta la pastasciutta. Tutto questo nel loro ultimo album: Homocaust.
Pasta: argomento di discordia eppure jolly da giocare per ritrovare una riappacificazione tra fondamentali comparti sociali. Infatti è stata la politica italiana ad aver compreso, prima di chiunque altro, che davanti ad un piatto di pajata, ci si può mettere tutti d’accordo.
Tutti.
Ma.
Proprio.
Tutti.
In sintesi: già 🙂
se può interessarti, l’ho scritto anche io
http://danielefabbrinet.blogspot.it/2013/09/barillila.html