Tra il tripudio post primarie democratiche e il disagio per il ritorno di Berlusconi, tra la condanna per evasione fiscale al proprietario di YouPorn e la malattia di Nelson Mandela, rispunta Beppe Grillo, il nostro pasionario preferito. Da pochi giorni, infatti, sono stati pubblicati i risultati delle primarie 2.0, esclusivamente su internet e senza costi aggiuntivi, a cui si dice abbiano partecipato circa 95.000 persone (ma che, vista la poca chiarezza, potrebbero scendere a 32.000 contando che ognuno poteva dare tre preferenze), selezionando dal menu a tendina 1400 candidati. Questi i commenti che Beppe Grillo ha fatto, tramite un video, in merito:
“Tre cose fondamentali abbiamo fatto con queste votazioni: una è che abbiamo fatto un voto libero, e quindi da questo voto libero è successa una cosa che voglio sottolineare, il voto alle donne, se fosse stato libero oggi avremmo in parlamento molte più donne che uomini. (Ma il voto alle donne non è stato dato nel 1946 in Italia?, NDR). Seconda cosa, di conoscere i candidati che forse andranno in parlamento tre mesi prima, in modo che tu puoi andare lì discutere, conoscerli, votarli o non votarli, consigliarli o maledirli. E la terza cosa non abbiamo speso un euro, tutto a costo zero (questa si commenta da sola)”.
Commenti che in una logica normale non sarebbero da scartare, ma troppi sono i dubbi che aleggiano attorno a questo universo grillino. Tralasciamo volutamente la questione della trasparenza e dell’effettivo numero di votanti, non volendo offendere nessuno, per parlare della vera questione che sta facendo impazzire tutti, dentro e fuori al movimento, quella democrazia che sembra funzionare una volta sì e una volta no, come la chat di Facebook. Sono ormai passati 3 mesi dal fuori onda, voluto o non voluto, del consigliere regionale Favia, dall’apparizione di Casaleggio, dalla vittoria a Parma (che trovo tutt’altro che negativa), dalla ‘vittoria’ in Sicilia e dalle migliaia di discorsi sui forum e sui giornali di seguaci, sostenitori e commentatori. Ma la democrazia, si sa, è un cane rognoso e, quando ce n’è, è sempre troppa per chi vuole tenersi il potere, anche in un movimento ‘dal basso’:
“E chi dice che non c’è stata democrazia perchè i voti sono stati pochi io faccio una domanda, di mille parlamentari oggi in parlamento quanti voti hanno preso ognuno di questi? Chi ha deciso di quella gente li? Cinque segretari di partito, e non venite a rompere i coglioni a me sulla democrazia (mal comune, mezzo gaudio?). Ecco, io mi sto stufando, e mi sto arrabbiando. Abbiamo una guerra davanti (…) ma finchè la guerra me la fanno i nemici quelli veri va bene, ma io guerre dentro non ne voglio più. Se c’è qualcuno che reputa che io non sia democratico, che Casaleggio si tenga i soldi, che io sia disonesto prende e va fuori dalle palle, se ne va, se ne va dal movimento e se ne andrà dal movimento”.
Il “fuori dalle palle” è la chiara indicazione, che Beppe Grillo ci fornisce con il suo solito bon ton, sul posto dove si trovano ora Giovanni Favia e Federica Salsi (consigliere eletta al comune di Bologna) a cui, da oggi tramite un Tweet e una lettera, è stato comunicato di non poter più utilizzare il simbolo del movimento per caratterizzare le proprie battaglie. Un’espulsione in piena regola che, di solito, succede solo nei partiti che possiedono una segretaria con potere decisionale, e non nei movimenti popolari. E, questo, la dice lunga sulla struttura. Ma, come dice lo stesso Grillo, si tratta di una guerra, di un aut-aut quasi Kierkegaardiano, o con me o contro di me, alla faccia di chi credeva che la politica fosse confronto di idee. Il problema, in realtà, nasce già molto tempo prima, dalla controversia ferrarese con Tavolazzi e alla disputa con Pizzarotti, quando venne eletto sindaco di Parma. Una questione che si è aperta e che non ha ancora trovato una conclusione. Se, prima, era possibile credere ad un ‘complotto’ ai danni del leader, fatto da personaggi che cercano di irrompere nella scena politica ricalcando la falsa riga degli altri partiti, contro cui si erano promessi di combattere, ora, con l’espulsione, si ritroveranno legittimati, quasi vittime, del padrone Grillo, Casaleggio o chi per loro. Ma, questo, è il solito problema italiano, già evidenziato in altri casi, che deriva dall’affidarsi prima che all’idea ad un personaggio e, a lui, affidare la propria volontà. È inevitabile che all’affiorare del primo contrasto certe debolezze diventino di dominio pubblico. L’espulsione mette Beppe Grillo in una situazione non solo di imbarazzo (chi è lui infatti per decidere chi sta dentro o fuori?) ma anche di chiarezza di intenti, facendolo passare da nobile promotore ad ennesima marionetta della scena politica. Che sia disonesto, maschilista o padrone poco importa, ciò che risulta è la falsità di quel ‘nuovo’ che si proponeva di essere, almeno nelle parti alte del movimento. E pensare che l’inquisizione credevamo fosse finita nel 1500 e di caccia alle streghe, cerchi magici o segreterie dispotiche potessimo parlare soltanto di altri partiti politici ma, ancora una volta, qualcuno ne rimarrà deluso. Magari ora toccherà alla Littizzetto guidare un nuovo movimento, tanto ai comici ci siamo abituati. Buttare fuori Favia e la Salsi, più che dimostrare coerenza, mostra come, al sentore di potere l’italiano si agiti, diventi sempre meno sazio e alla ricerca di ulteriori conferme. E fra tre mesi, se tutto continua così, mi domando chi ci andrà a votare e con quale voglia.
Una questione, come quella della democrazia interna, che continua a gettare ombre, o a far uscire scheletri, su un’opinione pubblica ormai sempre più stanca dall’ennesima delusione. Perchè a pagare le conseguenze di questi giochi di potere son sempre gli stessi, quelli che hanno creduto in un cambiamento e si sono fidati di qualcosa di nuovo. Questa volta non sarà sufficiente un “Vaffa” per riappacificare le cose, e la dice lunga su quanto il nostro paese sia lontano dall’intraprendere un cammino diverso. Che poi forse, uno come Berlusconi, ce lo meritiamo.