L’Inter sta per cambiare proprietario. Erick Thohir con tutta probabilità prenderà il posto di Massimo Moratti.
Sono in molti ad essere preoccupati per la transizione del club nerazzurro dalle mani del cugino di Mick Jagger a quelle dell’incrocio tra un Marshmallow e Barbazoo. Anche io ho più di qualche dubbio, se non altro perché il fratello di Thohir, che tutti dicono essere il più sveglio tra i due, si chiama Garibaldi e nelle poche foto in compagnia di Erick sghignazza divertito, perfettamente conscio che con un fratellino così pirla sarà sempre lui il preferito di papà.
Questi e tanti altri elementi mi fanno sperare Moratti abbia voglia di dilapidare ancora per qualche lustro il suo patrimonio già lungamente provato da acquisti di calciatori di ogni origine ed estrazione, dal rifugiato politico kosovaro a interi nuclei familiari di sherpa nepalesi. Ma questo significa guardare le cose con gli occhi del pessimismo.
Quando mi voglio rinfrancare penso a quanto l’Inter al momento sia enormemente superiore al Milan. E poi mi faccio una ragione del fatto che, in questo primo scorcio di millennio, le acquisizioni di club calcistici da parte di personaggi improbabili sono all’ordine del giorno.
Eccone una breve carrellata.
Anzhi. Un investimento a lungo termine
Sulejman Kerimov è l’archetipo del pappone russo, raffinato quanto un cappello di Marina Ripa di Meana e per nulla spaventato all’idea di sporcarsi le mani. Infatti ha investito forte su un’azienda di fertilizzanti. E sull’Anzhi.
L’Anzhi è una squadra del Daghestan che si chiama così solo perché la città in cui gioca ha un nome difficilmente pronunciabile (Makhachkala). Club di nessuna tradizione (è stato fondato nel 1991, quando Balotelli aveva già mandato all’ospedale un paio di amichetti dell’asilo), l’Anzhi era quella che si può definire una squadra di merda.
La fortuna arriva nel 2011, quando Kerimov, originario del Daghestan, decide di comprarsi la società. In meno di un anno il nuovo proprietario spende e spande alla cazzo di cane, acquistando pochi fenomeni (Eto’o o l’allenatore Hiddink) e tante patacche. L’Anzhi procede dignitosamente, appena sotto le aspettative.
Poi, questa estate, Kerimov chiude i rubinetti e tutti scappano via. La spiegazione del presidente del club, nominato dall’oligarca, è molto più lineare di un comizio di Vendola: “Il proprietario vuole smettere di investire nell’Anzhi perché è talmente preoccupato di non riuscire a vincere, che si sta rovinando la salute.”
Viene così definitivamente sbugiardata la teoria per cui Kerimov sarebbe troppo impegnato a fuggire dall’Interpol, sulla cui lista dei ricercati è stato inserito a inizio settembre per un affare di corruzione, per occuparsi delle sorti della sua squadra…
Queens Park Rangers. “Sei fuori!”
Se il campionato russo è abbastanza una merda, in Inghilterra con il calcio si scherza molto meno. Sarà per la lunga tradizione, sarà perché le battaglie di Braveheart sono una versione attenuata degli scontri tra hooligans.
Proprio per questo dobbiamo guardare con occhio orgoglioso all’impresa di Flavio Briatore. Il manager del buon gusto nel 2007 ha acquistato il Queens Park Rangers, modesta squadra della serie B inglese sull’orlo del fallimento, insieme a Bernie Ecclestone, boss della Formula 1 evidentemente più esperto di figa che di calcio.
L’obiettivo era quello di riportare il QPR in Premier League, dove peraltro aveva militato solo brevemente durante gli anni ’90, nell’arco di quattro anni. Ne è nata la puntata pilota di The Apprentice. Tra una condotta finanziaria da ministero dell’economica cipriota e allenatori licenziati come fossero stagisti, la gestione di Briatore non porta i risultati attesi.
L’epoca di Flavio al QPR è talmente spassosa che ci hanno girato sopra un documentario, ben accolto dalla critica, dal titolo The Four Year Plan. Non l’ho ancora visto, ma il trailer sembra abbastanza spassoso.
Briatore quattro anni alla guida del Queens Park Rangers non li raggiungerà mai. A fine 2010 “è fuori” dal club e lascia tutto nelle mani di Ecclestone e del socio Bhatia, il rosario pakistano che si intravede qua e là nel trailer della pellicola. Qualche mese dopo il QPR viene promosso in Premier League.
Roma. L’abito non fa lo sceicco
Questa è la mia storia preferita. Come in molti già sanno, la Roma è di proprietà di un magnate statunitense il cui nome fa subito pensare a solidità e rigore luterani: James Pallotta.
Ci potremmo soffermare a lungo su questo imprenditore che, per presentarsi ai tifosi, incombe funereo sulla curva sud dell’Olimpico con il tipico aplomb del tycoon d’oltreoceano (“So quanto siano pazzi i tifosi romanisti, ma sono preparato: voi non sapete quanto sono pazzo io”, ha dichiarato). Però nella storia recente della squadra giallorossa c’è un personaggio ancora più interessante.
All’inizio di quest’anno Pallotta ha capito di non essere abbastanza fuori di testa da voler continuare a pagare da solo la manicure della Blasi e ha iniziato a cercare soci. Ed è lì che si è palesato lui, lo sceicco Adnan Adel Aref al Qaddumi al Shtewi.
Messo in contatto con la proprietà statunitense da Michele Padovano (ex-calciatore, ex-dirigente sportivo, ex-trafficante di stupefacenti), al Qaddumi si proponeva di acquistare parte delle quote societarie.
I dirigenti romani non si sono insospettiti quando qualcuno ha fatto loro presente che il patrimonio dello sceicco era attestato solo da un pezzo di carta sgualcito (lo stesso con cui aveva precedentemente cercato di comprare una casa di riposo a Bergamo). Nessuno ha obiettato nulla neppure quando sono emerse le precedenti occupazioni di al Qaddumi: barista e imbianchino. In fondo, si diceva, passare dallo stendere la Gazzetta sul pavimento per non sporcare le piastrelle al finirci in prima pagina non è poi un gran salto.
Nonostante i quotidiani romani fossero eccitatissimi all’idea dell’ingresso in società di questo misterioso sceicco, qualcuno ha iniziato a mettere in dubbio la credibilità di al Qaddumi quando si è scoperto dove risiedeva: una piccola villetta a Cordigliano, paesino della campagna umbra, condivisa con la moglie impiegata e il figlio Carabiniere. A Roma però lui ci andava spesso, con il treno regionale.
Insomma, una storia divertente. Finita con l’iscrizione dello sceicco sul registro degli indagati (fare i cazzoni con una società quotata in Borsa è una cosa che anche le mamme musulmane sconsigliano) e il conto della manicure della Blasi ancora indirizzato a casa Pallotta.
Ebbsfleet United. La formazione la faccio io
Dopo questa girandola di magnati e papponi alla ricerca di una squadra da danneggiare, il primo impulso sarebbe quello di rispedire il ciccione indonesiano a gonfiarsi di merendine a Giacarta. La Kyenge protesterà un po’ contro la cattiva accoglienza che riserviamo agli stranieri, ma certamente noi tifosi ne capiamo di calcio più di Thohir. Facciamo una colletta e, rinunciando a qualche caffè e al mutuo sulla casa, l’Inter la compriamo e gestiamo noi.
E’ già stato fatto. Nel 2007 (annus horribilis per il football d’oltremanica, a quanto pare), la squadra inglese dell’Ebbsflett United, militante in un qualche campionato dilettanti, è stata acquistata dal sito di invasati myfootballclub.co.uk, un portale nato apposta per comprare una società e farla gestire dagli utenti del sito stesso.
L’impostazione era grillina: tutti i soci potevano dire la propria su qualsiasi scelta del club, facendo uscire di testa allenatore e amministratori, che si devono essere sentiti come una persona sana di mente finita per sbaglio in mezzo a un Meetup del Movimento 5 Stelle.
I risultati non tardarono a far schifo, la squadra retrocesse e il numero dei soci in pochi anni calò drasticamente (speriamo sia di buon auspicio). Qualche mese fa MyFootballClub ha venduto le proprie quote a un fondo di investimento. Del Kuwait.