(in alto: manifestanti alla stazione di Torino @Reuters/Contrasto)
Oggi non posso far altro che guardare il mio paese, la mia città, Torino, da lontano, dalla Francia, con gli occhi di un’esule, informarmi in rete, leggere gli stati dei miei amici su Facebook con più curiosità del solito, scorrere le immagini di Repubblica.it e ascoltare i racconti dei miei famigliari chiusi in casa, senza capire cosa stia succedendo.
La città è bloccata, fratturata, segmentata in mille parti come spesso accade nelle giornate campali. Di manifestazioni Torino ne ha viste molte in più di centocinquant’anni di Unità d’Italia, così come di scontri e di lotte tra Stato e popolazione, ma oggi in mezzo al caos c’è un caos primordiale che nel 2013 non dovrebbe più esistere, quello che parte da una rabbia incontrollabile, che altro non è che un istinto bestiale.
Non chiamatela Rivolta dei Forconi, chiamatela Rivolta dei Coglioni e permettetemelo, qui si sta giocando alla guerra, ma la guerra non è un gioco. Chiunque essi siano, movimenti di estrema destra o Forconi, non importa. Non si fa così la rivoluzione! – urla una madre disperata che spera di non doversi mai confrontare con un figlio picchiatore. Ci sono quattordici agenti feriti, è una pioggia di sanpietrini, di fumogeni e di grida in mezzo ad una folla divisa tra caschi blu e civili. Ma c’è anche chi in Piazza Statuto, a pochi passi da casa mia ha deciso di toglierselo quel casco in segno di protesta contro la protesta più feroce. Non c’entra stare dalla parte giusta o da quella sbagliata, bisogna capire fino a che punto spingersi. Non si tratta di un videogioco, non è una partita a Mortal Kombat.
Non mi voglio nemmeno mettere nei panni di questi ragazzi, probabilmente miei coetanei, che una mattina si alzano e decidono di scaraventare tutte le loro frustrazioni su problemi più grandi di loro, non voglio capirli, non voglio sapere perché fanno così, perché sicuramente un perché non c’è ed anche se ci fosse preferirei non saperlo. Tutte quelle volte che sono passata tra una carica della polizia e i manifestanti, semplicemente per andare all’università a studiare e ho visto uova marce spiaccicate per terra e il segno della violenza per le strade mi sono infuriata, ma oggi lo sono molto di più, perché non posso vedere e rendermi conto con i miei occhi.
Non siamo nel vecchio Far West, siamo a Torino, in piazza Castello dove tutti gli anni sotto le feste i torinesi passano a guardare il Calendario dell’Avvento tra Palazzo Reale e Palazzo Madama, ed oggi quel Calendario dell’Avvento è ricoperto di fumo e se potesse, scapperebbe a gambe levate.
Le saracinesche dei negozi sono abbassate, c’è paura che possano fare razzia e spaccare le vetrine, infatti coloro che hanno deciso di non aderire alla protesta dei commercianti sono stati insultati e minacciati. Ma cosa pretendete, siamo sotto Natale, il periodo dell’anno in cui si spera che i guadagni vadano meglio, la protesta di chi è? Domani come si sveglierà Torino, come si sveglieranno le altre città italiane in cui sono avvenuti episodi bellicosi?
Più che darmi delle risposte, mi faccio delle domande, perché non sono in grado di comprendere il perché di questo tipo di manifestazione. Non è una manifestazione, chiamatela guerra, non fermatevi alla parola guerriglia, perché non rende l’idea. Dopo Atene ed Istanbul non pensavo che anche Torino potesse trasformarsi nel teatro di un caos senza nome. Quei visi arrabbiati e sconvolti dalla follia sono il degenero della nostra società. Dove stanno la forza e il coraggio in queste azioni vandaliche, nel distruggere la propria città, dove?
Oggi in Francia mi sento straniera, ma al sicuro e guardando Torino attraverso un monitor non riconosco i miei concittadini, non ci credo che siano torinesi quegli agenti del crimine, non ci voglio credere. Non è una statua di Lenin che cade o la vittoria di Renzi che vi deve indignare (sì, forse anche quello), ma il fatto che queste persone che si divertono a giocare con il destino della nazione siano tra di noi, magari il compagno di banco delle elementari o il vicino di casa della montagna. Alla fine era così bravo, salutava sempre.
Pur non condividendo la protesta di ieri e sapendo bene chi l’ha fomentata, non condivido in egual modo questo articolo pieno di facile buonismo, direi anche di morale snob: “sono in francia e guardo dalla tv e non condivido, oddio una pietra. un fumogeno…chissà che puzza!”.
Ma tu hai la vaga idea di come sta la gente qui? Della bava alla bocca che hanno le persone? Sì, le stesse persone che con la tua spocchia hai deciso di chiamare coglioni, senza girarci intorno.
Il clou è qui “Non mi voglio nemmeno mettere nei panni di questi ragazzi, probabilmente miei coetanei (…) non voglio capirli, non voglio sapere perché fanno così, perché sicuramente un perché non c’è”.
Cavolo come vai a fondo tu, che correttezza di pensiero, che animo curioso. La verità è che ti basta stare lontano, sul pulpito, a puntare il dito per sentirti migliore. E invece, mi spiace, il tuo atteggiamento è cento volte più violento e controproducente. Perchè tu hai la penna in mano e dovresti avere la responsabilità di raccontare, di fare ragionare. Invece emetti solo uno sterile e superficiale giudizio.
Non è la gente che bloccava le strade ieri che cambierà il mio paese. Ma sono convinto che sia la gente come te che ha contribuito a portarlo dov’è ora.
Davvero risentito.
Caro Francesco P, io sono fortemente convinta che spaccare i vetri dei palazzi delle istituzioni, agire con violenza, lanciando sassi e fumogeni e recare danno fisico a cose e persone non sia la mossa giusta. Non me la prendo con i manifestanti, visto che sono scesa in piazza ogni volta in cui credevo fosse giusto e me la prendo con chi provoca non tanto il disordine, ma il caos. Appoggio la causa di chi ha aderito, ma non la piega che ieri e a quanto sto sentendo continua oggi. Non è spocchia, sarei in prima linea a vedere coi miei occhi se potessi, ma così non è. Credo che tu non abbia saputo leggere attentamente le righe di questo articolo.
E ci tengo a sottolineare: i coglioni sono i facinorosi, quelli che ad ogni manifestazione devono forzatamente mettersi in mostra sfogando con la violenza i propri istinti. A mio parere così non si ottiene niente, ma si complicano le cose. Non punto il dito, ma ho un’altra idea di cosa voglia dire protestare.
Torna in Italia mia triste letterata e vedremo se quando come lavoro il massimo che ti offriranno sarà un posto al McDonald non ti sentirai frustrata. Non esiste la frustrazione e la rabbia immotivata, una città, una nazione s’incendiano quando ci sono allarmanti e gravi ferite sociali. Se lo spleen di Parigi ti distrae così tanto, astieniti da analisi così superficiali…
Sono la prima ad avere quesiti sul mio futuro, ma non credo che mi metterò a lanciare pietre per cambiarlo.
Ma anche io sono contro la violenza gratuita, figuriamoci.. Ma bisogna pensare fino a che punto si sarebbe potuti andare avanti senza che nulla accadesse (astraendo dallo specifico lancio di pietre). Qual è l’alternativa? gioire della vittoria di Renzi davanti alla TV e magari telefonargli per dirgli che è bravo? Continuare ad illuderci che questa è la volta buona? Quando entra in gioco la disperazione, l’uomo regredisce a farla da padrone è l’istinto di sopravvivenza.
Bene, partiamo dal fatto che siamo entrambi contro la violenza gratuita. Però, il punto focale della vicenda è che la manifestazione originariamente nasceva come protesta dei commercianti e degli autotrasportatori, non è pensabile che se non qualcuno decide di non aderire entrino in atto una serie di pressioni, permettimi il termine “mafiose”, obbligando chiunque a chiudere “altrimenti ti spacchiamo la vetrina”. A casa mia si chiama “ricatto”. E la cosa poteva andare bene per un giorno, ma sai quanto ci rimettono sotto Natale? Oggi di nuovo è tutto bloccato, e domani, dopodomani?
dietro ai disordini di ieri ci sono i fascisti per cui non riesco proprio a schierarmi dalla loro parte. però è troppo facile pensarla come te stando fuori. qui siamo arrivati alla vera e propria necessità della forca, non c’è altra soluzione.
e, visto che abiti oltralpe dove tipicamente gli scioperi sono più violenti di quelli organizzati da quei lacché dei sindacati italiani, dovresti sapere che le manifestazioni si fanno così.
certo all’eliseo qualcuno ascolta, qua no, ma ti garantiscono che arrivano a sentire qualcosa solo se c’è un minimo di bagarre per le strade.
fermo restando che l’deale sarebbe arrivare a loro.