Nella storia del cinema esistono attori che non potranno mai essere dimenticati a prescindere che in carriera siano stati protagonisti assoluti della scena o per lo più comprimari e spalle dei divi da locandina. Ernest Borgnine fa parte di diritto della Storia del Cinema e probabilmente la sua carriera è l’esaltazione di ciò che viene definito da sempre caratterista. Si è spento a 95 anni il 9 luglio in una clinica di Los Angeles, quella stessa città in cui da reduce della seconda guerra mondiale, figlio di genitori italiani (Borgnino è il suo vero cognome) cominciò a recitare davanti ad una telecamera dopo aver calcato per qualche tempo il palco di Broadway. Gli anni ’50 hanno visto il suo esordio e l’apice del successo e dei riconoscimenti sacrosanti ma inaspettati, e tra Da Qui All’Eternità di Zinnemann, Johnny Guitar di Nicholas Ray e VeraCruz di Robert Aldrich addetti ai lavori e registi e produttori iniziano ad accorgersi del valore di Borgnine. In pochi anni viene chiamato per girare Alamo di Frank Lloyd, Giorno Maledetto di John Sturgees e ancora da Nicholas Ray per All’Ombra del Patibolo, ma è nel 1955 che arriva la consacrazione più ambita: il regista Delbert Mann lo vuole come protagonista di uno strano film, atipico per il cinema americano di quei tempi, Marty-vita di un timido. Il ruolo sembra essergli cucito addosso e come il film la sua interpretazione viene apprezzata al punto da avere riconoscimenti a Cannes e ai Bafta e soprattutto l’Oscar come miglior attore. Come sempre nella carriera di un attore l’Oscar significa fama e contratti per produzioni a catena, ma con l’aumentare del lavoro è molto facile qualche volta si vada incontro a scelte sbagliate. Ernest Borgnine gira tanti film alternando commedie come Pranzo di Nozze di Richard Brooks a western come Vento di Terre Lontane di Delmer Daves, ma a parte questi e pochi altri come I Vichinghi di Richard Fleischer, con cui lavora anche in Barabba, si tratta di pellicole dimenticabili. La seconda metà degli anni ’60 fa entrare definitivamente Borgnine tra i miti cinematografici perché nel giro di due anni, dal ’67 al ’69, lavora a due cult assoluti per la Settima Arte, Quella Sporca Dozzina di Robert Aldrich e Il Mucchio Selvaggio di Sam Peckinpah, dimostrando di essere addirittura indispensabile per determinati ruoli da duro e cattivo di quell’epoca. È ancora con Aldrich che Borgnine dà il meglio di sé, prima per Il Volo Della Fenice poi per Quando Muore una Stella e L’Imperatore del Nord. Delle sue numerose interpretazioni vanno menzionate senz’altro quelle ne L’Avventura del Poseidon, Niente di Nuovo sul Fronte Occidentale, Trincea d’Asfalto, Il Principe e il Povero, The Black Hole, e tornando in tema di cult Borgnine ha partecipato al mitico 1997-Fuga da New York di John Carpenter. Discorso a parte merita il rapporto dell’attore con il cinema italiano a cui è sempre stato legato per questioni di radici (le origini italiane) e di passione per il paese e per Cinecittà: battesimo migliore con la cinematografia italiana non poteva esserci per Borgnine che fu scelto da Vittorio De Sica per il gruppo di interpreti di Giudizio Universale girato dall’attore quasi in contemporanea con Il Re di Poggioreale di Duilio Coletti. Al fianco di Gassman ha lavorato ne I Briganti Italiani di Mario Camerini, poi ne L’Uomo dalla Pelle Dura di Franco Prosperi e Natale in Casa d’Appuntamento di Armando Nannuzzi; nel ’77 Zeffirelli lo vuole per fargli interpretare il centurione nel maestoso Gesù di Nazareth, ma è negli anni ’80 che si moltiplicano le sue apparizioni nella cinematografia italiana spaziando da Poliziotto Superpiù di Corbucci a Bersaglio sull’Autostrada di Marius Mattei, da Arcobaleno Selvaggio e L’Isola del Tesoro di Antonio Margheriti. Dopo Qualcuno Pagherà di Sergio Martino, Ernest Borgnine regala un’ultima gemma al Belpaese con l’interpretazione, ormai novantenne, ne La Cura del Gorilla di Carlo Sigon. I suoi ultimi anni di vita lo hanno portato a girare molti film tv, per lo più comparsate così come in serie tipo ER-Medici in prima linea; e allo stesso modo il cinema spesso lo ha voluto per brevi ruoli quasi ad omaggiarlo come in Small Soldiers di Joe Dante e Gattaca di Niccoli. Ma a parte il saluto definitvo al cinema avvenuto nel 2011 con lo spassoso Red di Robert Schwentke, c’è una interpretazione che mi resta negli occhi e nella mente pensando ad Ernest Borgnine ed è quella nello straordinario corto di 11 minuti, girato da Sean Penn per il film collettivo 11 Settembre, in cui l’attore, sempre solo in scena, recita la parte di un vedovo che parla con la moglie defunta come fosse ancora viva e sullo sfondo la tv mostra la tragedia delle Torri Gemelle il cui crollo paradossalmente diventa l’alba di una nuova vita per il vedovo con l’arrivo di una luce che era sempre mancata nella sua casa all’ombra costante di quei grattacieli…commozione e poesia pura che Sean Penn ha voluto fossero riportati sul grande schermo da un grande attore come Ernest Borgnine.
Paco De Renzis