L’Ilva chiude o forse no, e non è una sorpresa, perché così va l’Italia e, in un momento come questo, sembra davvero impensabile rinunciare ad un’industria che contribuisce all’1% del Pil nazionale. Non è una novità che debba chiudere perché ci sono tutti i motivi e tutte le ragioni. Sempre se ciò che importa sono le persone e non, solo, il guadagno. L’Ilva uccide e, anche questa, non è una novità. L’ultimo rapporto del ministero mostra come, soprattutto a Taranto, il tasso di mortalità a causa di tumori sia aumentato dell’11-12% (qui il documento) dal 2003 al 2008, con percentuali che si alzano nei quartieri più vicini allo stabilimento. Ma se non è il cancro ad ucciderti ci pensa il lavoro, 45 persone, in 20 anni di attività, l’ultimo, Claudio Marsella (29 anni), schiacciato da un locomotore questo Ottobre. Una vera e propria fabbrica di morte. Guardandoci bene, però, è anche una risorsa vitale per l’economia di quelle zone. All’Ilva, infatti, lavorano più di 15.000 persone nella sola Taranto, si raggiungono le 21 mila unità con gli altri stabilimenti di Genova, Novi Ligure (AL), Racconigi (CN), Marghera (VE), Patrica (FR). Un esercito di lavoratori e di famiglie, in cui l’età tra i 25 e i 39 anni ne costituisce la maggioranza, dipendenti totalmente da ciò che li sta uccidendo. Ma il mare è diventato nero, davanti agli stabilimenti dell’Ilva, come il futuro di quelle famiglie.
A Settembre un editoriale di Vittorio Feltri titolava: «meglio rischiare il cancro che morire subito di fame». Tralasciando il contenuto dell’articolo, piuttosto miope e parziale, la frase iniziale centra perfettamente la scomoda questione dell’Ilva, da una parte c’è una dannosissima situazione sanitaria ed ambientale, dall’altra una crisi sociale gravissima. In realtà ciò che ne viene fuori è, ancora una volta, l’incredibile miopia italiana, il ‘tirare a campare’ finché si riesce. Già nell’Agosto del 2011, quando ancora Berlusconi (r)esisteva al governo, vennero ignorate dal ministro Stefania Prestigiacomo e dall’allora dirigente generale all’ambiente(ed attuale ministro) Corrado Clini, in nome dell’equilibrio, la documentazione dei danni dell’Ilva sulle popolazioni. Intanto, a Taranto, si moriva già e lo si sapeva da tempo.
Come venirne fuori, dunque? Non esistono soluzioni che possano accontentare tutti, ma esistono compromessi onesti, quelli sì. Chiudere non è una soluzione, lasciare aperto neppure, in entrambi i casi, città come Taranto scomparirebbero, perché i cittadini o sarebbero costretti ad andarsene oppure di cittadini non ne rimarrebbero più. Si tratta di coniugare sostenibilità ed economia, possibilità ad opportunità. Ma ciò che sta avvenendo, in questi giorni, non è ciò che tutti vorrebbero vedere realizzato. L’Aia (Autorizzazione Integrata Ambientale), necessaria per la prosecuzione dei lavori negli impianti, sarà presa in visione da parte della magistratura che già dal 26 Luglio ha predisposto il sequestro a causa del grave inquinamento. Il ministro Clini, in queste ore, presenterà un decreto legge che potrebbe essere capace di superare le decisioni della magistratura e permettere all’impianto di continuare nel suo lavoro di distruzione, senza che cambi nulla. Colpo di stato o meno, giustizia o meno, quello che sta avvenendo oggi è più di una semplice chiusura di un cancello. Si stanno mettendo in gioco due schieramenti contrapposti, da una parte il valore della vita umana dall’altro quello del guadagno. Ma, ne siamo abituati e non è la prima volta che succede. E come per ogni operaio morto c’è sempre qualcuno che lo piange e qualcuno che lo sostituisce, per ogni lotta operaia qualcuno che ci guadagna. È inevitabile, è la legge del mercato, ce lo dicono neanche troppo sottovoce. Per una volta, però, l’Italia, invece di proseguire sul suo cammino di decadenza, può fare qualcosa di nuovo, e cambiare, non adagiarsi sulla necessità ma costruire qualcosa, anche per i figli che nasceranno in quella Taranto.
Mentre scrivo, mi arriva la notizia dell’ultimo dramma della popolazione tarantina, su cui anche il maltempo si sta abbattendo. Una gru caduta in mare ha causato la morte di un operaio, venti feriti e due dispersi. Quando le cose devono andare male, stai pur certo che lo faranno, anche se fra un mese è Natale.
Mi chiedo come sarà passare il Natale laggiù, se davvero ci sarà voglia di festeggiare e stare insieme, se ci sarà qualcosa da mangiare, se lo faranno in casa o all’ospedale da un parente ammalato, se anche la neve, laggiù, è diventata nera e non copre più le macchie di sangue che stanno sporcando quei posti.