Amava definirsi un compositore. In realtà Luigi Tenco era uno dei maggiori cantautori italiani dell’epoca, non che l’una escludesse l’altra definizione, ma lui teneva a precisarlo, ed allora anche noi dell’Indiependente oggi, a trentasei anni dalla scomparsa, lo ribadiamo: Luigi Tenco era un compositore.
Nacque a Cassine (AL) il 21 marzo del 1938. La madre Teresa ebbe una relazione con Ferdinando, il figlio sedicenne di una famiglia benestante di Torino, presso la quale lavorava come cameriera. Appena saputo della gravidanza, la ragazza venne allontanata e ritornò a Cassine. Luigi prese il cognome del marito della ragazza, Giuseppe Tenco, che morì in circostanze mai chiarite prima che lui nascesse. Il giovane Tenco, dopo vari cambi di rotta adolescenziali, iniziò lavorando come arrangiatore e partecipando come session man alle registrazioni di “La tua mano” di Gino Paoli e “Se qualcuno ti dirà” di Ornella Vanoni. Fu del 1961 il suo primo 45 giri intitolato “I miei giorni perduti”. Nello stesso anno uscì il suo primo 33 giri che conteneva successi quali “Mi sono innamorato di te” e “Angela”. Dello stesso 33 giri avrebbe dovuto far parte un’altra canzone “Cara maestra” che non fu ammessa all’ ascolto da quella che un tempo era la Commissione per la censura, la quale decise di escludere Luigi Tenco dalle trasmissioni della Rai per due anni.
Altre sue canzoni “Io sì” e “Una brava ragazza” furono nuovamente bloccate dalla censura, e già questo sarebbe sufficiente a dimostrare quanto Tenco fosse diverso da quel mondo cui apparteneva ma che era così tanto diverso da lui. La sua carriera fu accompagnata anche da alcune esperienze cinematografiche come la ”La cuccagna”, nella quale vediamo Tenco alle prese con un brano di De André: “La ballata dell’eroe”. La sua carriera proseguì fino al 1967 quando si presentò al Festival di Sanremo con la canzone “Ciao, amore ciao”, in coppia con la cantante Dalila, che il destino volle morta suicida a Montmartre, il 3 maggio 1987.
Proprio la sera che seppe dell’esclusione dal Festival, Luigi decise di togliersi la vita. Dopo essersi rinchiuso nella camera n 219 del’Hotel Savoy dove alloggiava, venne ritrovato morto con un foro di proiettile alla testa ed un biglietto con scritto:
Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda Io tu e le rose in finale e ad una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi
La questione sulla sua morte non è del tutto sopita e a dire il vero, come spesso accade in questi casi, ancora oggi qualcuno, dal web e non solo, solleva dubbi e interrogativi su questo atroce dramma che ha colpito, prima che l’artista, l’uomo Luigi Tenco. La maggior parte dei dubbi era, ed è, dettata dal fatto che non fu mai ritrovato il proiettile che ne causò la morte. Ma questa è una questione diversa, oggi non vogliamo dedicarci ai dubbi ma esclusivamente al ricordo di Tenco. Ci affidiamo alle parole di De André che con una preghiera, in memoria del suo amico grande e sventurato amico. Tenco fu lasciato solo con il suo dolore, sia prima che dopo la sua morte. Pensate che al suo funerale non si presentò nessun nome di spicco della canzone italiana dell’epoca. Fu scelta la via più semplice: abbandonare al proprio destino un uomo, un cantante, o meglio, “un compositore”. Perché si sa che a volte è meglio far finta di niente che ricordare rimanendo con l’amaro in bocca.
…Meglio di lui nessuno
mai ti potrà indicare
gli errori di noi tutti
che puoi e vuoi salvare;
ascolta la sua voce
che ormai canta nel vento:
Dio di misericordia,
vedrai, sarai contento.(F. De André-Preghiera di gennaio)
Durante una lunga intervista di Doriano Fasoli, De André ha infatti dichiarato:
L’ho dedicata a Tenco. Scritta, o meglio pensata nel ritorno da Sanremo dove c’eravamo precipitati io, la mia ex moglie Enrica Rignon e la Anna Paoli. Dopo aver visto Luigi disteso in quell’obitorio (fuori Sanremo peraltro, perché non ce l’avevano voluto), tornando poi a Genova in attesa del funerale che si sarebbe svolto due giorni dopo a Cassine, mi pare, m’era venuta questa composizione. Sai, ad un certo punto non sai cosa fare per una persona che è morta, ti sembra quindi quasi di gratificarla andando al suo funerale, scrivendo – se sei capace di scrivere e se ne hai l’idea – qualcosa che lo gratifichi, che lo ricordi… forse è una forma… ma d’altra parte è umano, credo… non l’ho di certo scritta apposta perché la gente pensasse che io avevo scritto apposta una canzone per Luigi, tant’è vero che non c’era scritto assolutamente da nessuna parte che l’avevo composta per lui [In Doriano Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, Edizioni Associate, Roma 1999, p. 57].