L’ultimo film, la delusione
Luc Besson trionfa al botteghino, come mai prima d’ora. Il plurimilionario Lucy (2014) presentato in anteprima europea alla 67° edizione del Locarno Film Festival, ha sollevato parecchio scetticismo, e non soltanto tra il pubblico elvetico. Un film che è graficamente pirotecnico e trascinato da una Scarlett Johansson, erede della prima femme fatale bessoniana Anne Parillaud (Nikita, 1990), incontenibile e sempre, rigorosamente in camicetta bianca. Il tema è facile e già visto nel neutro Limitless (2011) di Neil Burger: una droga potentissima è in grado di rendere l’uomo capace di utilizzare il 100% del proprio cervello con l’unico effetto collaterale di causare la dissoluzione dei consumatori. Man mano che la droga fa effetto Lucy inizia a sfruttare le sue incredibili potenzialità che, purtroppo però, si tradurranno in nulla più che mera violenza. Il film di per sé risulta male equilibrato e poco credibile: l’alternanza di dialoghi estremamente frivoli con trite e pretenziose massime esistenzialiste come quelle pronunciate dal Professor Norman (Morgan Freeman) del tipo: “Noi umani siamo più preoccupati di avere più che di essere”, contribuisce nel creare un polpettone troppo salato per risultare commestibile ad un pubblico minimamente cinefilo.
Riproponiamo gli esordi: un po’ più grezzo ma molto più vicino
Da studente di cinema a Locarno, l’emozione di poter assistere all’anteprima europea del nuovo film di Besson con tanto di presentazione aveva creato in me un grande entusiasmo. Il film è, però, passato anonimamente, un po’ incolore, più sbiadito della decisa abbronzatura del regista durante la presentazione. Ed erano proprio i colori, illuminati dalle luci al neon, del primo vero successo di Besson, Subway (1985), quelli che mi erano rimasti impressi e che tanto speravo di poter rincontrare sull’enorme schermo di Piazza Grande. Quel film, a tratti claustrofobico, ambientato tutto in metropolitana, e in cui i protagonisti, accompagnati dal ritmo del soundtrack elettro-rock, si lanciavano in vorticosi inseguimenti e, non si sa bene come, trasmettevano emozioni biondo platino, che in qualche modo penetravano fino a raggiungere delle profondità inaspettate.
Subway è un film d’azione, d’amore, è un dramma e una commedia, un po’ come la vita.
Il protagonista Fred (Christopher Lambert) vive nella metro di una Parigi frenetica e ha come unico obbiettivo quello di formare una band con suonatori ambulanti raccattati tra una fermata e l’altra. Incontrerà poi la bella Helena (Isabelle Adjani) con la quale intesserà un’intima relazione un po’ particolare. La trama, rispetto a Lucy, è tanto meno ambiziosa quanto più toccante.
Insomma se siete rimasti delusi dal fantascientifico Lucy non abbiate troppa fretta nel condannare il regista francese, fate un balzo indietro di trent’anni e godetevi (o rigodetevi) il grezzo, dolce e intimo mondo sotterraneo di Subway.