Foto a cura di Caterina Basile
Su Wikipedia possiamo leggere che “il riflesso patellare è un esempio di riflesso miotatico fasico e consiste nella risposta di estensione della gamba dopo uno stimolo di percussione sotto il ginocchio.” In pratica, quando il neurologo ci colpisce con il martelletto sul ginocchio, la nostra gamba scatta in avanti in automatico, non riusciamo a controllarla, non possiamo fare assolutamente nulla per farla stare ferma e possiamo solo arrenderci al suo movimento: al Black Out di Roma, l’undici novembre i Local Natives ci hanno massacrato a martellate.
Fuori, una pioggia terribile e l’umido infame ci costringe ad entrare in sala bagnati e infreddoliti, bisogna stringersi con il pubblico per scaldarsi e in prima fila è abbastanza facile: sala piena e incredibilmente ansiogena per l’attesa. Dopo i sorprendenti e vivaci Cloud Control che ben oliano il pubblico (menzione di merito alla conclusiva e decisamente incisiva “Scar”), i Local Natives entrano in scena immediatamente con “Breakers” fusa a “World News”: impossibile non sbattere i piedi a terra per dieci minuti filati.
Assistiamo alla perfetta fusione tra coordinazione e divertimento: da un lato stacchi perfetti, batteria incalzante condensata con le progressioni sonore di basso e chitarra, abbracciate in una sincronia perfetta con il cantato e gli svariati cori; dall’altro lato è bello vedere Taylor Rice e compagni che si divertono sinceramente a suonare, scherzano tra loro, ridono, parlano di Via dei Fori Imperiali con il pubblico e ironizzano serenamente su Los Angeles. Il clima era meraviglioso sia sopra che sotto al palco.
Siamo ai primi venti minuti di concerto e il gruppo si lancia nella loro appassionata e accorata cover di “Warning Sign” dei Talking Heads, già presente nell’album di debutto “Gorilla Manor”: mai vista una reinterpretazione tanto sentita, divertita e urlata come questa; il pubblico strillava i famosi versi “I’ve got money now, I’ve got money now / Come on, baby, come on, baby” con divertito trasporto.
Da “Ceilings”, passando per “You & I” fino ad approdare a “Mt. Washignton” è una rincorsa senza freni nell’animo umano: le corde emotive che toccano i cinque componenti della band sanno essere profonde e devastanti, toccanti e commoventi. Bello constatare anche la loro valenza polistrumentale, lo scambiarsi di ruolo e di posizione, dalla tastiera alle chitarre fino alle percussioni, tutti interagiscono e cambiano strumenti, la prima voce diventa la seconda, poi un coro e poi di nuovo la prima.
Per fortuna non mancano anche i momenti più rilassanti e allo stesso tempo galvanizzanti, con “Airplane” e “Who Knows, Who Cares” a comandare un cambio di tono verso la seconda metà del live, intervallati dalle più serie e nostalgiche “Bowery” e “Columbia”. In ogni caso neanche un secondo di noia, solo trasporto e divertimento e i Local Natives giocavano consapevolmente con questi due sentimenti, alternandoli di proposito con cura e maestria in una scaletta studiata ad hoc.
La conclusione è stata degna di tutto lo spettacolo messo in piedi grazie ad una “Sun Hands” che è partita leggera e melodica, per diventare strillata e roboante, distruttiva e caotica: l’obiettivo di stupire sul finale è stato completamente centrato. L’unico vero problema è stato proprio il dover constatare che il concerto fosse finito, il ritornare al freddo e all’umido non allettava. L’unica consolazione è stata l’autobus notturno stracolmo del pubblico dei Local Natives che veleggiava verso Stazione Termini: ci guardavamo tutti, senza dire nulla, un po’ intimiditi, consapevoli di aver assistito ad uno degli spettacoli migliori di sempre.
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Setlist:
Breakers
World News
Wide Eyes
Warning Sign (Talking Heads cover)
Ceilings
You & I
Shape Shifter
Mt. Washington
Wooly Mammoth
Camera Talk
Airplanes
Colombia
Heavy Feet
Bowery
Who Knows, Who Cares
Sun Hands
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