Fare le liste di fine anno è una delle cose più piccolo borghesi che si possono fare con l’internet oltre a tenere e aggiornare un account su Twitter.
Lo si può interpretare come un rito collettivo conformista per riaggiornare il discorso pubblico attraverso uno scambio di feedback da rotocalco culturale 2.0. Lo dicevo: una cosa super piccolo borghese.
E come dei piccolo borghesi facciamo le liste per la paura della morte. In questo modo cerchiamo di sfuggirle e di rimandare l’oblio, fa parte della nostra natura umana e della paranoia di avere tutto sotto controllo (volendo parafrasare Umberto Eco). C’è poi da dire che siamo sempre più pigri e abbiamo meno tempo e voglia di esplorare l’infinito e tutto lo scibile umano. Perché, in fondo, le liste non sono altro che l’espressione di una velleità ancor più grande, cioè l’ambizione di riuscire ad esplorare e conoscere (tutta) la realtà e ripristinare un ordine oggettivo del mondo.
Per questo c’è gente che ci ha fatto un business virale, andate a chiedere ai tizi di Buzzfeed. Decaloghi, elenchi, enumerazioni, i Comandamenti, Borges, il canone di Harold Bloom, Wikipedia e le liste di proscrizione, qualsiasi cosa per riordinare tutto ciò che esiste, o che conta o che disprezziamo. E su tali liste le collettività si misurano attraverso la propria capacità rappresentativa in nomi di valori o giudizi estetici che contrassegnano le nostre credenze a dispetto di qualsiasi limite del linguaggio e dei confini della significatività.
Per quanto ci sforzeremo non saremo mai in grado di riprodurre in scala 1:1 la polpa del mondo. Facciamocene una ragione. Ma, nel frattempo, divertiamoci nel cazzeggio-dibattito attraverso dinamiche di aggregazione culturale che a fine anno si riattivano in nome di un automatismo di massa, soprattutto in un villaggio globale dove il turbocapitalismo dei contenuti non lascia spazio al tempo necessario di assimilazione. Della serie: “Non preoccuparti, ci siamo noi blogger a sbatterci per te. Ti diciamo noi cosa pensare o perché confermare i tuoi gusti e le tue idee”. Come amici al bar che ti offrono da bere.
Ma le liste sono anche inquietanti. Ci mettono ansia (sì, soprattutto a noi che le facciamo), perché fondamentalmente ci dicono che ci siamo persi un sacco di cose interessanti o potenzialmente spendibili per degli scambi sociali al prossimo aperitivo.
Rendersi conto di non riuscire a stare al passo con il flusso di contenuti, quando basterebbe la metà dei libri, della musica, dei film, dei porno prodotti all’anno, è una sensazione interiorizzata da una società che subisce un’industria culturale bulimica per una classe di consumatori alienata.
La questione del prestigio sociale non è affatto secondaria. Dimostrarsi grandi consumatori di certi prodotti significa manifestare un plusvalore. Chi fa le liste lo fa un po’ per tirarsela.
Alle volte sono il primo a vergognarmi come un ladro nel dire che, sì e no, a fronte di un’offerta sterminata di titoli sarò riuscito ad andare 3 o 4 volte al cinema o ad aver letto 3 o 4 libri in un anno. L’edonismo del consumo culturale invece ci spinge a dimostrarci fruitori stakanovisti e delle volte mi chiedo dove trovi certa gente il tempo per sottoporsi a tali bukkakke di cultura (visto che per la maggior parte manco lo fa per lavoro).
Il paradosso finale è dato dal fatto che la diffusione delle liste di fine anno ha aggiunto, con il tempo, caos al caos, saturando il mercato delle info. Molte charts si ripetono e tolte certe autorità l’utente medio rimane disorientato perché non capisce a chi dare retta. La lista si trasforma quindi, a sua volta, in merce da abbuffata, contrariamente a quello che dovrebbe essere, cioè una sintesi con una funzione igienizzante.
Le liste di fine anno poi sottendono un ulteriore messaggio: ora che sai cosa conta e cosa no hai poco tempo per metterti in pari. L’ansia ti potrebbe portare ad ingozzarti quando invece sarebbe meglio avere il giusto tempo per comprendere, assimilare, sedimentare, sviluppare uno scambio dialettico.
La dismisura delle informazioni e la frenesia del dovere di fruizione contribuisce ad alimentare uno degli aspetti più merdosi di internet e della liberaldemocrazia: l’ingordigia.
Alla fine occorre essere onesti e ammettere che essere travolti da tonnellate del meglio (o del peggio) dell’anno nell’arco di due settimane non è bello e non ha molto senso. Perciò sarebbe interessante capire quanto in realtà le liste di fine anno ci facciano soffrire o ci tolgano delle soddisfazioni.
Per venirvi in soccorso ho deciso di riportare una lista di liste assolutamente accessorie o se vogliamo anche totalmente inutili per sollecitare qualsivoglia riflessione o smania di cazzeggio. Ora ci mancavano solo le metaliste degli stronzi che pontificano sulle liste facendo liste di liste per ironizzare sulle liste.
Se invece volete delle opinioni più cool andate su Rivista Studio.
Il Listone di Fine Anno di Noisey
Album da ascoltare o evitare a seconda di come vi gira o se vi fidate di gente come Demented Burrocacao o quelli dello Swaggetto. Per chi ama i minestroni che non si prendono troppo sul serio.
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