L’indulto si ripresenta periodicamente nella vita politica italiana, un problema annoso di non facile soluzione. L’idea di una soluzione, pero’, non e’ neanche presa in considerazione dalla maggioranza, che si scandalizza se Matteo Renzi, andando anche contro i ministri colleghi di partito, dice di no all’ennesima proposta di liberare indiscriminatamente i detenuti dalle carceri. Si ricorre all’indulto per risolvere il problema logistico del sovraffollamento carcerario, le cui cause sono principalmente, a mio avviso, due: la facilita’ con la quale si va in carcere e la mancanza di strutture adeguate.
Il primo problema puo’ essere parzialmente risolto con l’abolizione del reato di clandestinita’, che ha portato, dal 2007 a oggi, un grande numero di detenuti. L’emendamento, proposto da due senatori del MoVimento 5 Stelle, contro il volere dei suoi leader e di una parte della base, e’ stato passato sull’onda lunga della tragedia di Lampedusa, sollevando le critiche di chi ritiene irresponsabile lasciare gli immigrati senza permesso di soggiorno senza alcun controllo. Sono convinto pero’ che, nonostante sia vero che ci sia bisogno di un sistema per regolamentare gli sbarchi e schedare chi entra nel nostro Paese, il reato di clandestinita’ non sia la risposta a questa esigenza, perche’ identifica come un reato un’azione che di cattivo, di colpevole, non ha nulla se non la voglia di trovare un posto migliore e la speranza e il coraggio necessari a lasciare la propria casa lontanissima per l’ignoto.
Altri reati che non dovrebbero essere considerati puniti con il carcere sono il possesso personale di droga e il fenomeno, dilagante tra i giovani, dello shoplifting. La legge e’ sempre piu’ dura con il tossicodipendente di piccola taglia, forse nell’ottica di una war on drugs mutuata dalla politica USA in proposito. Peccato pero’ che questa politica non sia la migliore per ridurre il consumo di droga, mentre la depenalizzazione lo e’. Praticata in Portogallo con ottimi risultati, la riduzione delle pene per possesso di droghe leggere e pesanti si e’ rivelata il modo migliore di affrontare il problema, anche attraverso un sistema sanitario nazionale pronto ad accogliere le esigenze dei malati attraverso programmi di riabilitazione validi, laddove il nostro dovrebbe farlo, dice la Costituzione.
Anche il problema dello shoplifting si potrebbe risolvere in modo analogo. La pratica di rubare nei negozi si e’ sviluppata con il crescere del consumismo, e spesso e’ la manifestazione di nevrosi e invidie tipiche del nuovo millennio. Moltissimi adolescenti ci cascano, pochi meriterebbero il carcere duro. Si ruba un vestito, un braccialetto, del cibo, a volte perche’ piacciono ma non si hanno i soldi per comprarli, piu’ spesso per provare il brivido del rischio sulla pelle (in una societa’ spesso anestetizzata e anestetizzante), e ultimamente, con la crisi economica, addirittura per fame. La mentalita’ di queste persone non e’ certo quella del criminale, ma quella dell’incosciente, spesso tale anche grazie ad uno Stato sempre insolvente nel far comprendere le leggi ai giovani e nel far penetrare fin negli strati sociali piu’ degradati la sua presenza, con quello che essa comporta, ossia una morale condivisa che insegni che, sempre e comunque, rubare e’ sbagliato.
Il secondo problema, la mancanza di spazi per le carceri, e’ un falso problema. Non e’ vero che non ci sono spazi per le carceri. Premesso che, se si agisse su quanto detto prima, gli spazi si dovrebbero dare alle comunita’ di recupero e ai centri di accoglienza, il problema di trovare nuovi edifici puo’ essere benissimo risolto con l’utilizzo di alcune caserme in disuso che sarebbero solo da mettere a norma. E’ vero che un quartiere vicino a una prigione perde valore d’acquisto perche’ diventa, nell’opinione comune, un quartiere malfamato. Combatto questa mentalita’ con forza: per quale motivo un carcere, ossia un posto pieno di guardie carcerarie e poliziotti, non solo di detenuti, dovrebbe rappresentare un problema per l’ordine pubblico o l’ambiente circostante?
Eppure, puntando sulle carceri a volte si vince, e il mondo dell’arte lo sa: i fratelli Taviani, registi, ci hanno vinto un Orso d’Oro (Cesare Deve Morire, 2011), l’attore e regista teatrale Ascanio Celestini, che ha spesso inscenato i suoi spettacoli nelle carceri, il gruppo romano Ardecore. Il mondo delle carceri grida, attraverso l’arte, attraverso il teatro, grida la propria umanita’. Non bisogna pensare che siano solo un peso, i detenuti: i detenuti sono cittadini, hanno dei diritti e delle potenzialita’ che vanno sfruttate, troppo spesso li si considera solo un onere. E il Paese, in quest’ambito, ha solo che da mostrarsi meno sordo a tali urla.
L’unico atteggiamento finora dimostrato dallo Stato e’ l’indifferenza. Salvo quando si deve parlare di indulto, una misura straordinaria che per noi ormai ha dell’ordinario, e della quale alcuni uomini politici fanno uso soprattutto personale. Ma in tempo di pace e di poche elezioni, fatti salvi i Radicali e alcuni esponenti di Sinistra Ecologia Liberta’, in entrambi gli schieramenti regna il silenzio.