«Gli dei e gli eroi se ne sono andati da tempo, coprendosi il viso, ma la scena è ancora quella. Gli uomini sono ancora feroci e fanatici come nell’Iliade, come nella Bibbia. Sono antichi quanto e più di allora, ma hanno i telefoni». Così commenta oggi Adriano Sofri su Repubblica, mentre sulle prime pagine dei quotidiani e sui siti di tutto il mondo rimbalzano le immagini sfuocate del cadavere del Colonnello. A Misurata non c’è combattente che non abbia sul telefonino una fotografia o un filmato del corpo straziato del Rais sistemato in una cella frigorifera al posto dei polli, su un materasso giallo, la testa girata a sinistra a coprire il colpo alla tempia.
Nella piazza del «Mercato dei Tunisini» sono esposti gli oggetti trovati sulla Toyota dell’ultima fuga. Le mutande di seta viola, il pigiama blu a pois bianchi, lo specchio tondo e il pettine, una « blasfema » bottiglia di gin, gli occhiali da sole, i guanti, il cappotto con le mostrine. Ultime istantanee di un regime.
Il Comitato nazionale di liberazione si trova ora a dover affrontare il primo dei problemi dei ribelli di ogni epoca. Il dittatore viene ucciso e il suo impero distrutto, che fare del cadavere?
La sepoltura del colonnello, ucciso dopo essere stato catturato in un cunicolo a Sirte, è stata rinviata, contravvenendo ai dettami islamici che impongono che venga effettuata entro le 24 ore successive alla morte. La decisione, presa dal Cnt, riflette le grandi tensioni che si sono scatenate nelle ultime ore: dove seppellirlo? In una tomba senza nome? Secondo quanto visto dai filmati diffusi dai ribelli, il Colonnello è stato catturato ferito ma vivo a Sirte, la sua città natale, ultima roccaforte del regime. Le circostanze della sua morte non sono ancora state chiarite. La vicenda sembra ricostruita, almeno a grandi linee, solo fino al momento della cattura: giovedì mattina un convoglio di auto ha lasciato Sirte, trasportando Gheddafi, il capo delle sue forze armate, Abu Bakr Younis Jabr, e poche decine di guardie del corpo. Il convoglio è riuscito a forzare il blocco e si è diretto verso ovest, ma dopo pochi chilometri alcuni aerei militari francesi della Nato lo hanno bombardato distruggendo i mezzi e uccidendo molti dei suoi occupanti.
Una delle guardie del corpo di Gheddafi, Mansur Daou, ha dichiarato alla televisione al-Arabiya che i superstiti dell’attacco si sono dispersi e hanno cercato di fuggire. Daou ha detto che si trovava con Gheddafi, Younis Jabr e altri quattro soldati, ma che non sa che cosa sia successo dopo perché un’esplosione lo ha ferito e gli ha fatto perdere conoscenza. E’ a questo punto che Gheddafi dovrebbe aver cercato rifugio nel canale di scolo. A partire da questo momento la ricostruzione di quel che è accaduto non è chiara, le versioni si contraddicono.
L’Organizzazione Nazionale delle Nazioni Unite ha deciso di aprire un’inchiesta per accertare le circostanze della morte dell’uomo che per 42 anni ha tiranneggiato il popolo libico. L’omicidio potrebbe essere illegale, ha spiegato alla BBC Colville, il portavoce della commissione Onu per i diritti umani. «Ci sono due video, in uno Gheddafi è vivo, nell’altro è morto. E ci sono quattro, cinque versioni su quanto è avvenuto tra un video e l’altro. Questo alimenta molte, molte domande. Perché le esecuzioni extragiudiziarie o sommarie sono illegali». Che sia morto linciato dai ribelli, durante il trasporto in ambulanza o finito da un colpo di pistola di un «eroe» poco più che minorenne, forse poco importa. Dopo mesi di violenza estrema e sofferenze, per il popolo libico inizia una nuova era. E c’è da scommettere che non sarà tutto rose e fiori.
Ieri l’ammiraglio James Stavridis, comandante supremo della Nato per l’Europa, è stato il primo a parlare di una imminente fine delle operazioni e ha scelto di farlo con un post su Facebook: «Raccomanderò la conclusione di questa missione al consiglio nordatlantico della Nato entro poche ore. Un buon giorno per la Nato. Un grande giorno per il popolo della Libia». Tra un gran numero di ringraziamenti e complimenti «Grazie ammiraglio!! Congratulazioni. Dio ti benedica per la pace che hai dato oggi» compare anche qualche critica «Hai le mani piene di sangue! Possiamo dire che tu sia il nuovo Hitler!» o ancora «Happy ‘Gas and Oil day’ Mr James Stavridis!».
Ieri sera, al termine di una riunione del Consiglio atlantico durata molto più a lungo del previsto, la Nato ha annunciato di voler chiudere ufficialmente la missione in Libia il 31 ottobre. Fino a quel momento l’Alleanza continuerà a «monitorare» la situazione «proteggendo i civili, se necessario». Mentre la Francia premeva per terminare subito l’operazione, i britannici avrebbero voluto avere a disposizione ancora un po’ di tempo per verificare che non siano rimaste «sacche di forze lealiste in grado di minacciare la popolazione» come ha dichiarato il ministro degli Esteri, William Hague. Pare sia così che si è arrivati al compromesso del 31 ottobre, mentre il nuovo segretario della difesa britannico Philip Hammond si preoccupa della ricostruzione augurandosi che ci sarà la possibilità per le imprese inglesi di prendere parte al «dopo». Già, il dopo Gheddafi.
Dopo tre rinvii, il Cnt ha fissato per domani verso le 16 l’annuncio della completa liberazione del Paese, terminata con la morte di Muammar Gheddafi e il controllo di tutto il paese da parte del Cnt. Mentre l’ex presidente egiziano Mubarak scoppia in lacrime alla vista del cadavere del vecchio amico, il premier libico del consiglio nazionale di transizione Mahmud Jibril dal Forum mondiale sul Mar Morto, in Giordania, ha definito la ricostruzione del paese una «mission impossible»: «Bisogna avviare un processo di riconciliazione. In caso contrario non possiamo fare nulla». Il primo ministro libico ha anche dettato i tempi per la formazione del nuovo congresso nazionale: le elezioni dovrebbe tenersi entro otto mesi. Si aspetta l’annuncio ufficiale delle sue dimissioni, come aveva promesso di fare il giorno in cui il governo avrebbe preso il pieno controllo del paese. «Oggi, oggi», ha detto durante ai giornalisti che gli chiedevano quando avverrà l’atteso passaggio di poteri.
Alberto Negri, nel suo articolo sul Sole24ore descrive il paese come «una pagina bianca tutta da riscrivere». E come spiega anche l’articolo del Post in Libia negli ultimi 60 anni non ci sono mai state elezioni democratiche: le uniche si sono tenute nel 1952, dopo che l’Onu guidò il processo di unificazione delle tre province della Tripolitania, della Cirenaica e del Fezzan. Non andò molto bene: le votazioni, accusate di essere manipolate dal governo monarchico con sede a Bengasi, aprirono la strada a disordini che portarono in poco tempo all’abolizione di tutti i partiti politici. Resta uno stato da ricostruire dalle fondamenta, mettendo d’accordo anche i poteri locali. Dopo il contributo dato alla lotta contro il regime, ciascun leader delle principali città libiche vuole per sé e per i propri sostenitori un ruolo di primo piano. E poi ci sono i nomadi di etnia tuareg, che abitano nei deserti dell’Algeria, del Niger e del Mali, presenti anche in Libia: migliaia di loro sono stati molto probabilmente arruolati come mercenari negli ultimi mesi, mentre altri facevano parte dell’esercito di Gheddafi già da tempo. Potrebbero essere protagonisti di tentativi di insurrezioni autonomiste. E poi c’è la questione islamica. Alla testa del Consiglio militare nella capitale c’è Abdel Hakim Belhaj, 45 enne con un passato nella Jihad e in rapporti con Al Qaida. Sono stati i suoi uomini che hanno conquistato Tripoli. Conclude la sua analisi Negri: «Una cosa è certa: la democrazia libica ancora prima di farla, bisogna avere la forza di immaginarla».