Quale terribile affronto, quale sacrilegio: una scimmia che critica e denigra i tanto avanzati usi e costumi del genere umano, le sue falsità e le sue ipocrisie senza scendere a compromessi, illustrando agli altri esseri della sua specie quanto maggiore sia il valore della loro libertà e della loro naturalezza se confrontato alle catene a cui l’uomo, tanto invidiato, si sottomette nel corso della sua vita.
Nicolas-Edmé Restif de la Bretonne (1734-1806), narratore, filosofo, utopista, pornografo, libertino, personaggio controverso e bizzarro noto per la sua vita irregolare e per le sue avventure amorose (dal suo nome anche il termine “Retifismo” che, meglio dell’abusato “Feticismo” indica la predilezione per il piede femminile), sceglie il personaggio di César, scimmia babbuino cresciuta tra gli umani, per discernere sulla vita e sulle usanze dell’uomo.
“Lettera di una scimmia” (1780) desta immediatamente scandalo al momento della sua pubblicazione, finendo vittima di censura, prima ancora che per le teorie contro le diseguaglianze e la proprietà privata, contro la schiavitù e l’insensatezza dei costumi sessuali, contro le leggi e l’economia, proprio per l’atto rivoluzionario di far affrontare tali temi a una scimmia, in un’epoca in cui è ancora forte il dibattito sull’anima degli animali.
Adottando la forma della lettera in tono satirico, Restif de la Bretonne sferra duri colpi a quasi tutti i capisaldi della moderna civiltà, in un testo che a distanza di oltre due secoli si rivela di un’attualità sconvolgente.
C’è l’attacco all’uso di una forza insensata per esercitare il dominio sull’intero regno animale, così spesso trattato con disprezzo solo per diletto; alla cattiveria che gli uomini riservano ai propri simili e il “sollievo” che da tali tormenti essi ne traggono; la critica all’odiosa disparità tra i possidenti-tutto e i nulla-tenenti e alle incomprensibili differenze fondate sul nulla, in contrasto con i fondamenti religiosi che tanto si declamano; l’incredulità di fronte a leggi che contrastano con il buon senso, come la legge della proprietà, fonte di tutta la miseria umana.
Sì, l’uomo è un animale crudele, violento, avido, ipocrita, schiavo dei propri sistemi sociali che lo hanno derubato della semplicità e della naturalezza e c’è bisogno di una scimmia che gli sputi in faccia tanta verità; verità di cui, probabilmente, anche leggendo un testo così limpido, l’essere umano borioso e pieno di se’ farebbe difficoltà ad accorgersene.
“Ecco dunque l’uomo, cari fratelli! Ecco l’essere di cui invidiate il destino…”
“Ecco dunque l’uomo, cari fratelli! Ecco l’essere di cui invidiate il destino, che credete essere il re del mondo! Ah! Sareste cento volte più felici di lui, se egli non esistesse per turbare la quiete di tutta la natura! È schiavo, avvilito, ostacolato, tremante, molestato, tormentato, perseguitato, rischia in ogni momento di finire la sua vita con l’impiccagione, la spada o il rogo; ed ha la disgrazia di prevedere tutti questi mali, di avvertirli milioni di volte prima che accadano. Se li evita, è in preda a quelli della natura. Presagisce sin dall’infanzia una morte tranquilla ed accidentale che intride di fiele ogni piacere. La religione aumenta i suoi terrori perché il numero di quelli che consola è tanto piccolo che non merita di essere tenuto in conto. Le sue leggi sono fatte così male che causano tanta sofferenza quanta ne prevengono. Infine il suo animo è così falso che se leggesse questa lettera che contiene la pura e semplice verità, direbbe con sdegno: si vede bene che è una scimmia che scrive!… Sì, fortunatamente sono scimmia e perciò non sottomesso alle vostre leggi impertinenti, ai vostri pregiudizi ridicoli!”
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