Certe cose vanno fatte più con le viscere che con la testa, indipendentemente dal fatto che ci sia una riflessione dietro o meno. Anzi, certe volte è proprio meglio non riflettere e viversela e basta. Godersi uno spettacolo di un artista che, tra tutti i suoi difetti, può lasciarti estasiato o disgustato, senza lasciare spazio per le mezze misure. Questo è stato il nostro concerto de Le luci della centrale elettrica all’Estragon di Bologna, a cui siamo arrivati col fiatone perché gli autobus arrivano sempre un po’ in ritardo e la strada da fare dal centro è sempre troppo lunga.
Maria Antonietta non c’è, a casa con la febbre alta, e prima del concerto non ci sono band di supporto, come ai primi tempi, quando si esordisce e basta, senza bisogno che qualcun altro scaldi l’atmosfera. Arriviamo un quarto d’ora prima, tra l’attesa che nelle prime file strettissime inizia risultare irritante e la salita sul palco di Vasco Brondi. Quando il loop di canzoni del locale si blocca e iniziano a entrare i componenti live della band ti accorgi immediatamente che tutti ci mettono pochissimo ad accendersi e a stringersi in un’unica e indistinta necessità di ascoltare se non di sentirsi compresi, per una volta, da chi è sul palco. Vasco Brondi non abbraccia subito la chitarra, differentemente dal passato, ed è più libero di muoversi e, per tutto il concerto, si muoverà da una parte all’altra del palco, con una vitalità che non ti saresti aspettato prima. Le luci si accendono, in tutti i sensi, parte La terra, l’Emilia, la luna, una di quella canzoni ti aspetti alla fine e che non ti danno tempo per carburare, sei già in mezzo e sei costretto a azzerare tutto e lasciarti coinvolgere, sono le Costellazioni e, per quanto tu possa cercare di sottrarti, sei spinto a brillare per una notte.
Il caldo è letale e ti scava solchi di sudore sulla faccia, qualcuno accende un accendino in mezzo alla folla, altri urlano e perdono la voce. L’esibizione delle Luci è cambiata, i pezzi degli album precedenti sono riarrangiati e hanno sonorità nuove e anche se ogni tanto Brondi paga il prezzo della fatica fisica non te ne accorgi o, se non altro, lo perdoni. La composizione di strumenti, le nuove armonie, a tratti elettroniche a tratti acustiche si mescolano senza incertezze ed errori, colorando l’ambiente e ridisegnando i gusti di chi c’era. È una corsa verso se stessi insieme agli altri, a urlare e spingere il proprio fisico all’estremo. Ed è questa la componente più bella, sapere di non essere soli nel proprio spazio d’aria, ma di condividere la stessa terra e la stessa rabbia, quella che ti fa sentire sperduto e ti fa perdere la voce nel silenzio di tutti i giorni. Invece per l’ora e mezza che dura il concerto, fra una breve uscita e la chiusura con I destini generali, sei parte finalmente di qualcosa, consapevole di avere qualcosa da raccontare ai figli che non avrai o, meglio, qualcuno che ti dica che quello che stai passando non è soltanto una questione personale, che quelle crisi le stai superando e le puoi superare insieme. Un’iniezione di adrenalina e di possibilità, per una volta, nel non combattere in una piazza vuota o nel non finire le sigarette perché sei troppo stanco di sentire l’aria di tutti i giorni. Il live segue il suo percorso, come sfogliare un libro, tutte le canzoni si collegano e non c’è tempo per aspettare una sorpresa. Per una volta il lento scorrere è una cosa da prendere a braccia aperte, le storie di Brondi diventano le tue, anche se non le hai mai vissute o se sei un’altra persona e non sei mai uscito dalla tua provincia.
C’è stato qualcosa, più che un’emozione, nella musica che non piace ai musicisti, nelle parole che non piacciono ai poeti, nello stile che non piace agli alternativi e, per una volta, basterebbe darsi il tempo di comprenderlo. Di non essere in un posto perché ci devi essere o perché non te lo puoi perdere. È una questione generazionale, che è una brutta parola, ma che, ogni tanto, ti fa sentire parte di qualcosa e, questa volta, il tributo a Brondi è pari al suo comportamento fuori e dentro al palco. Silenzioso, fragile ma sempre più necessario. Te ne torni indietro, magari da solo, magari in taxi o insieme agli amici, ma qualcosa dentro lo senti cambiato, che lentamente ti abbandona quando riprendi possesso della tua vita e di tutti i tuoi giorni bui.
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Foto a cura di Heller©
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Setlist:
La terra, l’Emilia, la luna
Cara catastrofe
Macbeth nella nebbia
Firmamento
Bar sulla via Lattea
Le ragazze stanno bene
La lotta armata al bar
Lacrimogeni
Ti vendi bene
Questo scontro tranquillo
Alla felicità (cover di Maria Antonietta)
Punk sentimentale
C’eravamo abbastanza amati
Sonic Youth
Piromani
Le ragazze kamikaze
40 km
Encore:
L’amore ai tempi dei licenziamenti dei metalmeccanici
Quando tornerai dall’estero
Per combattere l’acne
I destini generali