Andrea Segre non è un regista normale. Non si è mai sentito il successore di Fellini e la carriera nel mondo del cinema, lo ammette lui stesso, è un effetto collaterale.
Un rapido sguardo al suo curriculum aiuta a sentirsi dei buoni a nulla, soprattutto se siete convinti che la vostra laurea in Scienze della Comunicazione basterà da sola ad aprirvi qualche porta, fosse anche quella di casa.
Segre si interessa al cinema, ma l’attività principale rimane per molto tempo quella accademica. Inizia a girare documentari sui temi che gli stanno a cuore e che studia. PIP49, Come un uomo sulla terra e Il sangue verde sono solo alcuni titoli di una filmografia già corposa. Riceve riconoscimenti e pacche sulle spalle.
Il pubblico lo conosce con Io sono Li, il suo primo film di finzione. La protagonista della pellicola è una cinese immigrata a Chioggia. Nonostante questo si tratta di un gran bel lavoro, ricco di poesia.
Perso tra le strade di una Roma trafficata, il regista accetta di farsi intervistare telefonicamente.
Nella tua filmografia si nota un forte interesse per le tematiche dell’immigrazione. Come mai tanta attenzione?
Perché credo sia uno dei punti cruciali del nostro tempo. Con 5 o 6 milioni di immigrati l’Italia sta vivendo un periodo di enormi cambiamenti. L’arrivo di persone da paesi lontani ha innescato dinamiche potentissime. A livello sociale, lavorativo e anche politico.
Tu sei padovano e in film come PIP49 hai toccato molte corde sensibili della realtà del Nord-Est. L’interesse per la tua terra e quello per l’immigrazione sono connessi?
Certo. Il Triveneto si è trasformato profondamente dall’inizio delle ondate migratorie. Dalle mie parti vivono moltissimi stranieri, richiamati dal forte benessere di cui la zona ha goduto fino alla crisi. Spesso associamo questa presenza non autoctona alla retorica leghista, che guarda agli stranieri come a un corpo estraneo da espellere.
Ma il Nord-Est non è solo questo, anzi. Il Veneto è un laboratorio interessantissimo per quanto riguarda l’integrazione degli stranieri. Gli immigrati hanno modificato la distribuzione del lavoro, entrando in piccole fabbriche dove fino a venticinque anni prima erano impiegati solo il proprietario e i suoi figli. E questo modello, nonostante gli schiamazzi leghisti, funziona. L’integrazione è spesso un dato di fatto.
Viviamo un’epoca in cui ci sono due tensioni fondamentali. La spinta degli stranieri ad avere un posto e una dignità nel paese in cui emigrano e i problemi che spesso abbiamo nel gestire la nostra identità.
Ed esiste una soluzione? In qualche intervista ti ho sentito parlare di centralità del locale.
Sì, a mio avviso la soluzione è proprio non arroccarsi in fragili fortezze identitarie. Quando il popolo leghista inneggia alla propria specificità, la indebolisce. E’ un meccanismo perverso e, in ultima analisi, perdente.
Se smarriamo la nostra identità, magari annacquandola nel mare della globalizzazione, smarriamo noi stessi. Eppure non è chiudendoci che ci salveremo, ma valorizzando le nostre specificità locali, i punti di forza dei nostri territori in un’ottica che sia di apertura, non di paura.
In Italia abbiamo il grosso problema delle rendite di posizione, con piccoli gruppi di persone che non vogliono mollare grandi pezzi di torta. Bisogna erodere questo stato di cose. Ricordandosi però che aprirsi non significa rinunciare a se stessi. Quello sarebbe un impoverimento.
Parliamo un po’ di politica. Partiamo dal presupposto che il tuo cinema si pone come obiettivo anche quello di risvegliare l’attenzione del pubblico su alcune tematiche dimenticate o distorte dalla comunicazione tradizionale. È esatto?
Assolutamente sì.
Bene. Mi chiedo però se, vista anche la parabola parlamentare non proprio esaltante dei Movimento 5 Stelle, questo genere di cinema non sia ormai superato. Voglio dire, non è che abbiamo un po’ sopravvalutato i nostri concittadini, la cosiddetta società civile? Forse la politica, insensibile e ottusa come viene descritta, è solo lo specchio della maggioranza della popolazione e non c’è proprio un bel niente da risvegliare?
Guarda, ho capito dove vuoi andare a parare. Io l’ho scritto anche nel mio blog, pochi giorni prima delle ultime elezioni. Conosco gente veramente in gamba che con i migliori propositi e tanta onesta ha visto nel Movimento 5 Stelle la risposta al momento in cui viviamo.
Quello che è sbagliato e, a mio avviso, è il fallimento di questa idea si trova nella struttura stessa del partito. Una formazione politica con una catena di comando così verticistica – dove tutto il potere decisionale giace nelle mani di una, due, tre persone – non può rispondere alle esigenze di molti che l’hanno votata. Grillo di mestiere fa spettacoli, non politica.
Secondo me le persone e i desideri ci sono, è stato il contenitore ad essere sbagliato.
Torniamo al cinema. Tu sei il fondatore di Zalab, un progetto che mi pare interessante. Me ne puoi parlare?
Zalab è una bella realtà. Sette anni fa io e altri cinque cineasti abbiamo deciso di unirci in quella che è anche (ma non solo) una casa cinematografica.
Fare cinema in Italia non è semplice, lo dicono tutti. Noi ci siamo creati uno spazio di condivisione, gestito con enorme libertà. Non si tratta solo di rendere più semplice la produzione dei nostri progetti, ma anche di mettere insieme idee, spunti, iniziative, sensazioni ed emozioni che rendono il lavoro più ricco.
Attorno a Zalab ruotano parecchi progetti. Lo spirito con cui siamo nati è quello di arrangiarci nel momento in cui le risorse scarseggiano. Voglio dire, Rai Cinema non ci dà i soldi per un film? E noi troviamo altre vie di finanziamento, mica stiamo qui ad aspettarli!
E incentiviamo anche il pubblico ad agire. Se qualcuno ha visto un nostro film e l’ha apprezzato, gli proponiamo un’alternativa al lamento continuo per cui “i film belli in tv non li passano mai. Al massimo ad orari impossibili”. Tramite il percorso semplificato della Distribuzione Civile invitiamo lo spettatore di organizzare la proiezione della pellicola che gli è piaciuta. Diventa quindi un nostro distributore e noi portiamo in giro film, anche non nostri, che altrimenti verrebbero dimenticati.
Questa è l’idea alla base di Zalab. Agire dove le cose non funzionano. Poi è chiaro che, se Rai Cinema ci aiuta, non facciamo certo gli schizzinosi.
E il progetto funziona?
Sì. E anche bene. Riusciamo a produrre due o tre film all’anno, ogni mese il sito riceve più di 5000 visitatori unici e diamo lavoro a quattro persone.
Le cose vanno perché, come ti dicevo, non siamo solo una casa cinematografica, ma anche molto altro. Zalab è scambio, condivisione, progetti fuori e dentro i cinema. Siamo una realtà ricca.
Parlando con te si ha la sensazione di una persona molto curiosa. Immagino che poi tutti questi interessi si condensino nella tua produzione cinematografica.
Certo. È ovvio. Ogni cosa influenza qualcos’altro. Ci sono connessioni molto forti. Tutto c’entra con tutto, anche il modo in cui mia madre cucina il pesce c’entra.