Piove e, fin qui, nessuna novità per un ottobre emiliano, anche se siamo a luglio. Dopo le prime incertezze, con la conferma di ArtiVive che il festival è confermato in caso di pioggia, decidiamo, con aspirine e kway, di prenderci la statale e andare a Soliera, che ospita la nona edizione del concerto estivo de La Tempesta. I presupposti sono buoni, ci fidiamo dell’organizzazione e la line up presenta i volti più noti del panorama italiano in un unico mash up. Avercelo in zona un evento di questo tipo lo rende pressoché imperdibile e te ne accorgi subito dalla fila chilometrica che si forma prima dell’apertura dei cancelli, in agognata attesa, sbavando per poter ricevere la compilation riservata ai primi mille coraggiosi che hanno deciso di sfidare le cattive previsioni meteorologiche. Alla fine saranno più di duemila le persone arrivate, davvero, da ogni parte d’Italia e, tutto sommato, ti sconvolge un po’ pensare che un posto di dieci o quindicimila anime possa ospitare un evento del genere, senza contare il concertone gratuito dei Fuck Buttons del giorno prima. La cosa più riuscita è saper far coesistere il festival con la realtà dove si trova, i negozi aperti e le persone del posto che ti aiutano a trovare la strada, felici di vedere l’esercito della bella gioventù finire nel giardino di casa propria.
Il concerto della Banda RulliFrulli è annullato, che non è un buon segno con cui calarsi nell’ambiente di una festa. La prima a salire sul palco di piazza Lusvardi e aprire, così, ufficialmente la giornata è Maria Antonietta che, con il suo repertorio, trascina un po’ tutti lontani dalla paura della pioggia. C’è tempo per stringersi nella sua voce malinconica e cambiare idea più volte. Alla felicità è riarrangiata in un medley ossessivo quasi blues e viene cantata mezza in inglese e mezza in italiano, difficile da seguire ma tutt’altro che scontata. Mentre i Sassi del nuovo album scorrono via e i componenti della band si scambiano di ruolo, si raggiunge in breve tempo Ossa, l’ultimo brano, chiuso in maniera arrabbiata e distorta, come se da quel palco non ci volessero scendere ma, dall’altra parte della piazza, nel Nuovo Cinema Teatro, sta per iniziare l’esibizione di Altro. Vorremmo poterlo raccontare ma non riusciamo ad entrare, ed è un po’ un difetto che, per la pioggia e le norme di sicurezza, ci impedisce di sentire anche i Sick Tamburo più avanti nella serata. I posti sono limitati e devi scegliere se perderti il live nella piazza principale o ascoltarti da fuori chi si sta esibendo nella sala al coperto. Così, lasciati fuori, decidiamo di aspettare gli Zen Circus mentre il tempo ci dà l’ultima tregua prima della tempesta, quella vera. Il loro arrivo è, probabilmente, il punto più alto raggiunto da tutte le esibizioni. Non solo per il modo in cui suonano, pescando i brani più forti dal loro repertorio, da Ventanni a Nati per subire, chiamando i cori e fregandosene dei tanti problemi tecnici, oscuri presagi per quello che succederà dopo, ma soprattutto per la loro capacità di far avvertire in chi li ascolta il fatto che, stare lì, sotto la pioggia, solo per loro merita una giusta ricompensa. Così non ci lasciano, neppure dopo aver sforato il tempo a loro disposizione. Karim rimane da solo dietro la batteria, senza canottiera, a improvvisare un ultimo e profondo arrivederci, fatto di piatti e ritmiche, senza bisogno di parole e lasciandoci tutti a bocca aperta ad applaudire. Da lì, iniziano i problemi. Piove sempre più forte quando spiamo i Sick Tamburo da una piccola apertura, i Tre Allegri Ragazzi Morti sono costretti a quello che, da lontano, sembra un nuovo soundcheck, qualcuno parla già di problemi di impianto, ma sei troppo assetato di ogni brano per poter dare ascolto alle voci che girano. Il Principe in Bicicletta è la canzone di esordio, tra le maschere dei loro fan e le urla di chi canta, anche da dove siamo noi, nella ressa che si forma attorno al Teatro per ripararsi e trovare posto per Giorgio Canali e i Rosso Fuoco, che si sarebbero esibiti dopo. Da lontano ci arriva Il mondo prima, fra le grida di chi vuole entrare nella sala al chiuso, dove gli accenti si mescolano e ti accorgi di essere in un festival che rinchiude in sé tutte le provincie d’Italia, in un caldo quasi asfissiante che ti ricorda di essere in estate e non al bagnato ottobre che c’è fuori.
I problemi tecnici, dicevamo. Dentro ci ripariamo dalla pioggia, ma l’acustica è dolorosa, troppo alta per le urla di Canali in uno spazio così ristretto, ma i canaliani della prima ora sono comunque nel loro mondo e si muovono senza tregua. Usciamo prima della fine del concerto per avvicinarci al palco centrale e poterci godere in prima persona Le Luci della Centrale elettrica, piatto forte della giornata, ma al posto di Vasco Brondi sale uno degli organizzatori a dirci che il concerto è annullato. A noi, e al centinaio di persone rimaste fuori, non resta che andarcene, dopo le urla di disaccordo di qualcuno. Poi scopriamo, senza che ci venisse comunicato prima, che dentro Canali e Brondi hanno improvvisato un brano in più a fine concerto. Oltre al danno, comprensibile in qualche modo perché nessuno ha la possibilità di cambiare il meteo, ti senti anche preso in giro e non sai a chi poter dare la colpa. La festa continua al circolo Dude con l’aftershow di Yakamoto Kotsuga, il dj set dei Ministri e Ninos du Brasil ma, bisogna dirlo, voglia non ce n’è.
La tempesta, l’Emilia e la luna non è stata rovinata (se di rovinato si può parlare) solo dalla pioggia. Quella la metti in conto ai concerti all’aperto e, se hai paura di ammalarti, te ne stai a casa. Se, però, l’organizzazione e La Tempesta confermanp che tutto sarebbe andato avanti lo stesso e, a mezzanotte, bagnato fradicio, ti viene detto che non è così un po’ incazzato lo sei, indipendentemente dal fatto che ci fosse Vasco Brondi o il ballo liscio dell’Orchestra di Gigi Chiappin. Se decidi di costruire un evento di un certo livello, come (con o senza Le Luci) è stato, alcuni problemi devi farli in modo di evitare o, almeno, preventivarli, poi le questioni di sicurezza sono legittime e a nessuno sarebbe piaciuto vedere un artista friggere sul palco. Invocare al rimborso, come qualcuno ha fatto, sarebbe sbagliato, perché quello che è stato messo su è di una qualità che difficilmente si vede, almeno quaggiù, ma anche dare la colpa soltanto alle intemperie, come qualche organizzatore ha fatto, è una scusa a metà. I sassi erano pesanti pure tremila anni fa, ma mica per quello non hanno fatto le piramidi. Non vuole essere una bocciatura ma, anzi, è un rinvio al luglio prossimo, sperando che La tempesta (quella dei concerti) ritorni e Arti Vive continui a puntarci, e ci facciano godere di quello di cui il tempo ci ha privato. Anche perché delle accuse verso qualcuno te ne fai poco. Quando tutto si è calmato l’unica cosa che ti resta è tenere la musica che, pioggia o meno, ti ha dato qualcosa.
TUTTE LE FOTO SONO A CURA DI LISA BARBIERI