Tanto tempo fa, non ricordo l’anno ma erano gli albori dei Duemila, qualcuno mi consigliò di ascoltare Moon Pix e You are free di Cat Power, e non ricordo di preciso quali furono i pezzi che mi fecero ‘cadere in amore’ per quella voce un po’ alla Nina Simone, e nello stesso tempo intima, melanconica e graffiante, più fendente di quella di Hope Sandoval, più roca di quella di Fiona Apple. Il mio rapporto con Chan Marshall è diventato immediatamente e visceralmente profondo, se ne sentivano delle belle e brutte sui suoi concerti interrotti, sulle sue manie strane, sugli isterismi minuscoli da cantautrice del Sud, sul caratteraccio, e via dicendo. Nel 2006 esce The Greatest, disco dal sound abbastanza diverso dai precedenti lavori. Moon Pix è un disco concepito a casa di Bill Callahan sotto effetto di qualche visione mistica notturna, voce e chitarra, sporco, racconta dei demoni di Cat Power, è ancora un progetto quasi di nicchia, ma anche quello che la fa consacrare al grande pubblico. E’ il periodo in cui Chan canta ancora coi capelli davanti agli occhi nei locali, forse in preda a una timidezza che ancora riesce a farle fuggire il pubblico durante i live. Moon Pix è la sintesi del primo periodo di Cat Power, naturale proseguio di What Wuold the Community Think che ne aveva già chiarito il talento sporco (basti pensare a pezzi come Nude is the News o la cover Bathysphere di Smog): Metal Heart è lacerante come tutte le scissioni interiori di questa donna divisa tra varie anime (basti pensare ai vari cambi di look, da grungeista prima maniera a musa di Karl Lagerfeld per Chanel), American Flag racconta enigmi profondi, e il rapporto che hai con un disco del genere finisce per essere inevitabilmente oscuro.
Bisogna dire che una delle ambizioni di Cat Power è stata quella di diventare la controparte femminile di Bob Dylan: è una cosa che, anche se non vai a leggere le interviste o dichiarazioni, te ne accorgi dai testi delle canzoni. Ha un’adorazione per Cobain (a cui dedica un pezzo in You’re free, I don’t blame you), per certi pugili come si fa evidente in The Greatest, per alcune cantanti vecchia maniera à la Ella Fitzgerald, tuttavia la vera ossessione di Chan Marshall è Robert Zimmerman, tanto che pare chiaro in una cover di Bob il debito nei confronti del cantato dylaniano (Stuck inside the mobile with the Memphis blues again): come Bob Dylan Cat Power ha mille voci, saltare di disco in disco lo conferma, tuttavia la sua pretesa di diventare la cantautrice per eccellenza degli anni Novanta/Duemila, la voce che racconta una generazione e la commuove, viene frenata anche dal suo carattere. ‘’Once I wanted to be the greatest’’ è un verso che racconta questa malinconia: una volta volevo essere la migliore, tutta scritta a pianoforte, un modo di suonare minimal, accordi abbozzati accompagnati da altri strumenti che portano fuori The Greatest dal genere lo-fi, e invece ne chiariscono le venature da soulwoman, ed è facile arrivare a dire che The Greatest è una canzone meravigliosa per ogni genere di orecchie, chiaramente pop. Lo stacco tra You are free e gli affezionati dello stile a chitarra di Cat Power, e The Greatest è evidentissimo: è in questo momento che Cat Power esce dalla nicchia, e arrivano le prime critiche al cambio di rotta, come quando Dylan si fa elettronico all’improvviso. Dagli 8/9 che si consumano nelle recensioni delle riviste di genere di You are free, all’improvvisa mezza sufficienza di The Greatest. Eppure non sembra un disco malvagio, è uno di quelli che ascoltano ancora persino i recensori da strapazzo che lo hanno stroncato col sopracciglio alzato sostenendo che fosse un passo indietro e uno sputtanamento. E’ un disco disperato altrettanto quanto You are free, che resta comunque un capolavoro: c’è tutto il randagismo della donna di Atlanta in solitaria, c’è la follia di quei video girati nella natura per l’occasione, i piedi scalzi che sbrigliano cantando Maybe not e He war. E c’è qualcosa che in questo chiaroscuro la rende più simile a un Nick Drake sensibile e insicuro che ad un Bob Dylan strafottente. Eppure il suo tributo a Bob riesce a farlo in una canzone contenuta in Jukebox, vero mantra messo in discussione dalla critica musicale, che però ha consacrato la voce di Cat Power a tutti i livelli.
My chance / In the middle of the stadium in Paris, France / Can I finally tell you / To be my man / April in Paris, can I see you / Can you please be my man: è Song to Bobby, la dichiarazione d’amore di Chan Marshall definitiva. Ma ci è riuscita, alla fine, ad essere la Bob Dylan donna del nostro secolo? Frenata da un carattere complicato, altrettanto amata quanto odiata, controversa, sicuramente meno famosa, io mi metto tra i pochi che diranno di sì. Non ho avuto la fortuna di vedere Cat Power durante i tour del primo periodo, né in quelli di You are free, sono arrivata direttamente a sentirla inaugurare Jukebox, ovvero quando già si portava dietro l’orchestra di rito stra-odiata dalla vecchia guardia, però era ancora a piedi nudi sul palco. E ha una luce Cat Power che raramente incroci nelle persone, a impatto immediato, una cosa del genere doveva provocarla Dylan nei Settanta, ché oggi dal vivo ha perso quel magnetismo animale. Credo si chiami fascinazione, e durante una live performance è fondamentale, perché rapisce il pubblico. Inoltre stiamo parlando di una voce straordinaria che fortunatamente è stata registrata, e si spanderà nei prossimi secoli come quella di un Drake che non ha mai avuto il coraggio di esibirsi live eppure ci è rimasto nelle orecchie a farci del bene come del male. Ce lo aspettiamo, da Cat Power, il colpo di genio e sregolatezza, la, sostenibile per qualcuno, e insostenibile per altri, isteria che la fa scoppiare in lacrime durante un’esibizione dal vivo, come è successo nell’ultima data di Roma, racconti che serviranno a far consumare carta e pagine web di parole. Però, resta chiaro, che partecipare a un live di Cat Power è una di quelle cose preziose che dureranno, anche quando saranno offuscate da polemiche e critiche. Un giorno lo racconterete a qualcuno, ho visto la donna che cercava di essere la Bob Dylan della mia generazione, quella che voleva essere la più grande, e per poco non ci è riuscita. Poi annulla date, si fa attendere, e ha smesso di bere: ma chissenefrega.