Dei Klaxons non si parlava più da tempo. Era il 2007 quando, sostenuti da un notevole hype, salirono alla ribalta della cronaca musicale con Myths of the near future, caposaldo della breve ed effimera scena nu-rave. Un esordio acclamato sotto etichetta Polydor, con tanto di definizione di genere fresca di conio, puzza sempre di montatura in perfetto english style, ma quel disco non era affatto roba da quattro soldi.
Pezzi come Atlantis to Interzone, Golden Skans, Totem on the timeline, Magick sono pezzi di ottima fattura, che facevano intravedere, ai tempi, un futuro roseo, ma, complici le ingerenze discografiche di un’etichetta pesante come la Polydor, quello che è stato dei Klaxons ha più i colori tendenti al grigio-bianco-trasparente. Tant’è che dopo un travaglio di 4 anni per partorire il secondo disco, tra rotture e compromessi con la stessa etichetta, si sono rifugiati tra le accoglienti ma meno opulenti braccia di una casa discografica indipendente parigina, la Because Music.
Quando ho sentito che i Klaxons avrebbero suonato a Roma, la mente è subito tornata al ricordo del loro live del 2007 all’Alpheus. Sarà che io avevo 6 pesanti anni in meno, ma quella sera ne uscii con le ossa rotte. Un live dirompente, enfatizzato dal folto pubblico di pischelli poganti contenuto a stento dalle strette e opprimenti pareti dell’Alpheus. Un bel ricordo, quindi la curiosità di andare a vedere cosa avessero da dire dopo così tanto tempo e soprattutto dopo aver perso tutti gli onori della cronaca riservati loro in passato, era non poca.
A riportarli a Roma, ci pensa il Villa Aperta, un festival organizzato dall’Accademia di Francia a Roma, nella sua sede di Villa Medici. Villa Medici è uno dei tanti gioielli inestimabili della capitale, un complesso architettonico maestoso e straordinario che si affaccia su uno dei panorami più belli della città. Assistere ad un evento simile in un contesto del genere è una di quelle cose che ti fa tornare alla ribalta l’amore esasperato verso la bellezza di questa città. Quindi un plauso, a prescindere,agli organizzatori e a chi l’ha sostenuto, vedi i redivivi in figate di L-Ektrica.
All’arrivo sul palco dei Klaxons il pubblico è piuttosto nutrito e loro attaccano subito con un nuovo brano Children of the Sun, probabilmente parte del paventato terzo album, che dovrebbe vedere la luce quest’anno. Pezzo abbastanza carico ma che non sembra far troppo presa sul pubblico, che ovviamente reagisce invece entusiasta non appena parte l’attacco di Atlantis To Interzone. Da lì cominciano a tirare fuori i pezzi migliori del repertorio (Golden Skans, Gravity’s Rainbow, Magick, It’s not over yet) alternati a qualche sporadico brano tratto dal secondo e anonimo Surfing the Void e pezzi nuovi (Love Frequency, Rhytm of life, Invisible Forces, New Reality).
Nonostante le aspettative tutto sommato modeste, i quattro tirano fuori un’ottima performance, prima di tutto suonano bene, coinvolgono non poco e sfoggiano un bel sound, corposo ed efficace. Peccano sicuramente nel far durare il concerto troppo poco, un’ora e spicci, e nella scaletta, che alterna troppe volte momenti alti e gonfi di dinamismo a fasi più piatte e insipide.
I Klaxons mostrano di essere gruppo molto diverso da quello dell’esordio: meno patinato, meno pretenzioso, meno caciarone ma che dimostra una certa sostanza, mai tirata fuori del tutto dall’esordio ad oggi. Resta da vedere se avranno le idee giuste e un piglio più vincente e propositivo con il terzo album in cantiere, perchè i mezzi per dire ancora qualcosa di nuovo ci sono, ma è quel qualcosa la parte più complicata.