Quando si tratta di film biografici di mostri sacri c’è il gioco delle parti da cui partire per la delusione da mostrare a fine visione: dal possibilista che dice “era ora…ma si poteva fare meglio“, al fan sfegatato che pensa che a prescindere certe icone non dovrebbero essere toccate dal Cinema, al critico implacabile che si prepara prima di vedere il film il discorso sulle pecche dei “biopic” che va bene per tutte le stagioni. Poi ovviamente ci sono le opere da vedere e giudicare cercando nel caso dei film biografici di distaccarsi il più possibile dal personaggio realmente esistito provando nell’impresa di valutarli come opere a sé stanti e non come racconti della vita di qualcuno di famoso, come conseguenza del giudizio e dell’opinione che si ha del personaggio in questione.
Jimi: All Is By My Side racconta un solo anno della vita di James Hendrix, il 1966 quando ancora il suo nome d’arte era Jimmy James. Chitarrista atipico, James si esibisce al Cheetah Club di New York e una sera rimane affascinata dal suo modo di suonare Linda Keith, una sorta di mecenate che cerca di incoraggiarlo arrivando ad acquistargli una nuova chitarra e portandolo nella cerchia di amicizie di livello nell’ambito musicale. Grazie alle nuove frequentazioni e dopo alcuni rifiuti di contratti non convincenti, James incontra il bassista del gruppo The Animals, Chas Chandler, con cui stringe una sorta di amicizia fino a farlo diventare il suo manager e a riflettere con lui sull’evoluzione del suo lavoro, sulle capacità della sua chitarra e sulla ricerca musicale da esplorare.
In quanto a ricerca per James non esiste luogo più influente e decisivo nella musica di Londra sopratutto grazie al fermento arrivato con gli anni ’60, ed è convinto che la capitale britannica sia la chiave per raggiungere il successo in America: ma una volta lì Jimmy James si ritrova intrappolato tra gli eccessi protettivi al limite del morboso da parte della sua mecenate/scopritrice Linda Keith e il fascino di Kathy Etchingam, una ammiratrice molto particolare. L’arrivo di Kathy nella vita di James diventa decisivo per la sua crescita artistica e in brevissimo tempo l’ormai Jimi Hendrix elettrizza e sconvolge la scena musicale di Londra cominciando chiaramente a mostrare i primi segni di quell’impronta indelebile che lascerà nella storia del Rock e che si paleserà nel mitico concerto di Monterey in cui dopo aver suonato la sua chitarra alla stregua di un vero e proprio amplesso la incendia sul palco.
Esordio alla regia per John Ridley, sceneggiatore Premio Oscar per 12 anni schiavo, Jimi: All Is By My Side è un’ottima opera cinematografica incentrata su un anno di vita del più grande chitarrista di sempre: Jimi Hendrix. La pellicola va dall’incontro con Linda Keith al giorno dell’esibizione a Monterey, esattamente i 12 mesi che sono bastati a Hendrix a cambiargli la vita e a diventare un’icona mondiale. Le scommesse per Ridley erano tante, a cominciare dall’affrontare sul grande schermo un mito assoluto della musica e a farlo alla prima regia assoluta: ma amante delle sfide non si è fatto mancare niente il regista e come protagonista per interpretare Hendrix ha scelto un non attore, il cantante degli Outkast Andrè Benjamin.
E alla faccia di tutti i pregiudizi e le riserve espresse al momento della notizia di questa scelta, bisogna ammettere che André 3000 (nome d’arte) è davvero sorprendente. A parte il lato fisico che tra andamento e parlata fa positivamente impressione senza dimenticare i meriti di costumista e truccatori per la somiglianza, la capacità espressiva del neo attore è da interprete navigato ed intenso così come il cambio registro nelle diverse atmosfere del film dai rapporti con le varie donne che si alternano nella storia alle nevrosi che mano mano esterna il suo personaggio.
John Ridley ha creato un film biografico egregio anche per originalità di montaggio oltre che di narrazione, e così il fascino e l’utilità dei filmati d’archivio inseriti non stona con i momenti di fiction ma contribuisce ad amplificare l’autenticità del racconto e il suo impatto emotivo. Se la mano dello sceneggiatore di talento è chiara nell’arco del film (i dialoghi nei vari club, le conversazioni sulle politiche razziali e sulle classi sociali, etc…) va sottolineata la capacità di bilanciare le fasi della lotta interiore che esploderà nelle nevrosi di Hendrix e i momenti di puro genio artistico ed umano di una personalità “elettrica” che sta diventando una star.
La paura per gli amanti del Rock e per gli appassionati di Hendrix di sentire cantare Foxy Lady come se fosse Hey Ya degli Outkast è scongiurata…è il fascino della Settima Arte, capace di stupire, smentire e sovvertire i pregiudizi.