Dopo il successo del crowdfunding avviato mesi fa, Casa Bertallot – il progetto radiofonico di Alessio Bertallot – è ormai un appuntamento consolidato per la comunità che lo segue sia online che dal vivo. Tra una puntata e l’altra in diretta dal suo nuovo studio milanese, Alessio e il suo staff stanno infatti girando i club e i teatri d’Italia per proporre dal vivo la loro scommessa.
Sono arrivati anche in Friuli, all’interno della cornice internazionale del Far East Film Festival e grazie alla collaborazione con #Must. A serata conclusa abbiamo chiesto ad Alessio Bertallot delucidazioni sui suoi obiettivi, le sue idee e le sue speranze riguardo l’andamento del mondo musicale. Ma alla fine si è parlato anche di come e perchè questo Paese sta andando in rovina e di come salvarci dalla catastrofe.
Iniziamo introducendo il tuo ultimo progetto a chi non lo conosce. Che cos’è Casa Bertallot?
Casa bertallot è l’idea della radio fuori dagli schemi convenzionali. Una radio fatta all’interno dell’ambiente domestico di casa mia. Il fattore intrigante e innovativo è il poter comunicare attraverso la rete in maniera tale da dislocare la trasmissione in posti diversi dal solito rispetto a questi tipi di media. Inoltre mischia degli elementi che non sono puramente legati al concetto della comunicazione tecnologica bensì all’intimità della casa. Un’intimità condivisa con il col pubblico.
Di fatto è una reazione alle istituzioni che spesso negano lo spazio a dj indipendenti che vogliono proporre qualcosa di diverso rispetto alla musica pop o quella obbligata da un meccanismo perverso che impedisce la scelta libera. Forse l’unico modo per mantenersi liberi da questo punto di vista è rimanere autonomi per quanto riguarda la distribuzione. Noi di Casa Bertallot siamo indipendenti in quanto autori ma anche in quanto distributori perché lo facciamo in maniera autonoma.
Sempre parlando della tua attività: tu stesso ti definisci un “selector”. Con la miriade di neologismi che vengono creati ogni giorno io ho sempre un po’ di confusione. Chi è un selector? Che differenza c’è con il dj?
Quando ho iniziato a fare il dj prendevo un aereo, andavo a Londra, New York o Berlino compravo i dischi e li importavo in Italia. Internet ha rivoluzionato questo sistema e adesso tutta la musica, o quasi tutta, è a portata di click. Ma proprio per questo devo fare da filtro e selezionare cio che è più interessante rispetto a quello che forse non è così importante. Quindi la mia funzione è passata ad essere proprio un filtro. Se prima avevo una funzione culturale in un senso, ora ce l’ho in un altro.
Il grande potere della rete è ormai assodato. Ci permette di accedere ad una miriade di informazioni e questo riguarda anche il mondo della musica. Attraverso i sistemi di condivisione, passando da Spotify a Soundcloud, possiamo raggiungere artisti e album che in altri modi probabilmente non avremmo mai potuto ascoltare. In linea di massima le nostre orecchie ci hanno sicuramente guadagnato. C’è qualche figura professionale all’interno del mondo della musica che invece ci ha perso?
Alla base ci ha perso molto il sistema. Da quando la musica è diventata accessibile in maniera gratuita è crollato un sistema che si reggeva su una potenza economica che ora non ha più senso. La musica secondo me è sbagliato sia gratuita. Forse non bisognava dare così tanto al sistema di condivisione ma dare qualcosa anche ai musicisti. Forse bisognava dare dell’amore ai musicisti ma è difficile dare dell’amore ai musicisti in cambio di un download quindi bisognerebbe ritrovare la cultura di un sistema convenzionale che permetta ai musicisti di continuare a fare il loro lavoro. Quello di cui non ci rendiamo conto è che si è imposta la cultura delle cose gratuite. La regola, che non ho scritto io, è però che quando hai una cosa gratis questa non vale niente. Questo è un sistema fatuo, si crede di possedere delle cose ma infondo queste hanno un valore molto basso. Il problema delle case discografiche invece è un altro: come tutte le aziende a scopo di lucro non sono peggio di altre. Hanno sicuramente lucrato su dei prodotti ma non sono dei demoni, ho conosciuto discografici che hanno saputo dare amore ai musicisti. Per ritornare alla domanda iniziale, di questi qualcuno ha sicuramente perso ingiustamente. Diffondere la cultura di uno scambio con i musicisti, questo aiuterebbe veramente tutti.
Proprio riguardo gli artisti, tu che ne avrai sicuramente incontrati parecchi durante la tua carriera, cosa gli consigli? Rimanere qua in Italia e provarle tutte nonostante le mille difficoltà, andare all’estero o addirittura rinunciare?
Più che altro mi mette molta paura vedere un musicista classico – che magari ha studiato quanto un medico – non riuscire a suonare in un’orchestra. In un Paese che dovrebbe fare della difesa del bene culturale una sua prerogativa principale, è veramente ingiusto. Non è normale che chi abbia sacrificato la sua vita allo studio della musica sia a casa e senza lavoro. Ma non dipende da lui, dipende dal sistema.
Serve quindi dare una bella scossa alle istituzioni?
Bisognerebbe dare una scossa agli italiani, perché anche la pigrizia ha il suo peso. E gli italiani sono dei gran pigri.
Pigrizia che però non si è manifestata durante la tua raccolta fondi su Music Raiser.
Infatti questa è cosa fantastica. Non mi aspettavo di raccogliere in un mese (metà del tempo di un crowdfunding) più di quello che avevo chiesto, di andare quindi ben oltre i 20.000 euro. Il che mi fa pensare che in realtà la radice di questo Paese sia buona. Sai cosa, forse le persone sono state disperse: se prima era più facile ritrovarsi nel condividere le stesse passioni, le stesse visioni del mondo, ora ci hanno separati facendoci credere di essere in contatto, in condivisione. In realtà esistono infinite nicchie che si mettono in contatto con altre poche nicchie. Se invece si riesce a creare un motivo di aggregazione, e se questa cosa è credibile, riesce a riaggregarle e a farci sentire insieme veramente. Non parlo solo del mio caso, ci sono molte altre realtà nobili che combattono per raggiungere lo stesso obiettivo. C’è un Paese sano sotto, ma non c’è un sistema. Ci sono un sacco di rapporti ma non tutti sono veri, come nella musica anche nella sfera dei rapporti personali. Effettivamente sarebbe buona cosa fare il selector anche con le persone.
Quando parli di Casa Bertallot la descrivi come un modo per “riprendersi la radio”, perché? dove è andata?
Si è persa. La radio troppo spesso finisce per essere considerarta una sorella minore della televisione, questo perché il più delle volte le grandi radio ricorrono a personaggi provenienti dalla tv per occupare dei momenti della radio in cui non ci sono idee e cose da dire. Questo porta a far sì che la radio diventi un parcheggio per chi un giorno andrà a lavorare in un programma televisivo. Dall’altra parte ci stanno levando la radio quindi ce la dobbiamo riprendere perché chi è incaricato della direzione artistica e editoriale di una radio non si sente incaricato di una responsabilità civile. Nel momento in cui parli a tutto il Paese ti devi porre secondo me una sorta di dovere morale nel raccontare delle cose che aiutino il Paese stesso ad essere migliore. Non importa se si tratta di un’azienda a scopo di lucro, questo non giustifica il creare ed imporre una cultura sbagliata. Bisognerebbe riprendersi perlomeno la sensazione per cui ci deve essere un’etica nel comunicare, anche nel comunicare la musica perché fa parte della vita. Bisogna determinare una certa qualità della vita perchè è necessaria ad apportare ulteriori miglioramenti.
A fronte di tutto questo, cosa diresti ora – dopo il successo di casa Bertallot – al direttore di Radio Rai 2 che mesi fa chiuse Rai Tunes?
[ndr. Rai Tunes è stato per due anni un prestigioso programma radiofonico curato da Alessio che però a metà settembre, a pochi giorni dal ritorno su Radio Rai 2, è stato sospeso dal direttore Falvio Mucciante]
(risata) Non ho proprio niente da dire, non ho assolutamente dei problemi o dei rimproveri da fare. Fa parte della mia vita mettere in conto dei momenti in cui le cose non funzionano. Non sono solo io però il nocciolo della questione, è – come ho detto – il sistema che si è formato che non funziona, anche solo paragonando la nostra situazione a quella estera. Forse qualcosa da imparare c’è.
Assolutamente. E dobbiamo impegnarci tutti per farlo senza essere esageratamente esterofili. Condividere, ma non solo su facebook.
Grazie Alessio, il tuo sequestro è finito e puoi finalmente andarti a bere un bicchiere di vino.
Credits – Si ringrazia calorosamente Giandomenico Ricci per le riprese e i selfie; Michele Poletto e tutto lo staff di #MuSt per la disponibilità; Il Far East Film Festival per l’intensa atmosfera che come ogni anno regala ai cittadini udinesi; ma soprattutto Alessio Bertallot per la serata in Teatro San Giorgio, per essere stato presente nonostante l’infortunio al braccio, per la sua voce e per esistere.