Per la serie, grazie agli smartphone redazionali possiamo permetterci interviste telefoniche mai viste prima, che prima o poi devono poi essere sbobinate a mano, e risultano veramente lunghissime: oggi vi presentiamo una conversazione telefonica con Luca Sofri, direttore de Il Post, sui nuovi media e il giornalismo online.
Nell’aprile del 2010 nasceva Il Post: ci racconti l’avventura di questi ultimi tre anni, che cosa hai dovuto mobilitare per lanciarlo e se sei soddisfatto del lavoro fatto fino ad oggi.
Sono molto soddisfatto: Il Post è diventato di fatto quello che avevamo in mente. Poi le cose prendono sempre una piega diversa da come te le eri immaginate, ed effettivamente molte pieghe son state diverse; però l’oggetto, il prodotto, è abbastanza quello che avevamo in mente all’inizio, e quindi di quello sono molto contento. Sono molto contento dei risultati ottenuti sia in termini di crescita di traffico, numeri, eccetera, sia in termini di ragioni per cui avevamo fatto Il Post. Diciamo che c’erano una serie di ragioni per cui metterlo in piedi e una serie di obiettivi necessari a farlo stare in piedi. Sulle ragioni per cui abbiamo fatto Il Post, ovvero cominciare a costruire qualcosa nello spazio dell’informazione online italiana che era molto povero, cominciare a costruire qualche cosa di alternativo all’informazione italiana, soprattutto nelle sue cose più deteriori di cui noi siamo sempre stati molto critici…
Ma tu pensi che Il Post abbia una vocazione più internazionalista rispetto all’informazione italiana?
Nel senso che ci occupiamo degli esteri? Sì, assolutamente sì. Sicuramente sì in termini di contenuti, però ti dirò non è neanche il momento giusto per dirlo, nel senso che la situazione politica italiana è diventata così incasinata e vivace da un po’ di mesi a questa parte che in questo momento la quota di notizie internazionali è più bassa rispetto a prima.
Parlo anche di un aspetto globale, nel senso che voi mischiate il nuovo video di Cat Power alle rivoluzioni arabe, notizie che trovano meno spazio nell’informazione italiana.
Sì, son cose diverse. Il nuovo video di Cat Power dipende uno da certe attitudini e interessi nostri più moderni e contemporanei di quelli che sono in generale quelli dell’informazione italiana, e due dal fatto che proprio perché siamo un po’ più piccoli ce lo possiamo permettere. I grandi siti non vedono nel mettere un video di Cat Power un risultato in termini di quantità, e quindi non lo mettono. A noi non solo piace, e i numeri che ci fa comunque sono dei numeri minimi rispetto ad altro, comunque per quello che ci costa metterlo ne vale la pena. Però è una cosa diversa… Su Repubblica troverai il solito noioso ed eterno pezzone su Bob Dylan invece che Cat Power, ecco però non è che questo lo renda più o meno internazionale.
È un po’ una questione di un’attitudine più contemporanea. Anche su Cat Power insomma siamo già nella fase discendente si potrebbe dire, anzi non direi che siamo dei grandi avanguardisti o scopritori. Ecco se tu volessi catalogare in questo senso dei siti tra quelli che si occupano del passato, quelli che si occupano del presente e quelli che si occupano del futuro, io ti direi che noi ci occupiamo molto del presente con un occhio al futuro. Però nel senso che se tu mi dici “questo è fighissimo, vedrai che tra qualche mese spacca“, io aspetto di capire.
In un post sul tuo blog hai citato una battuta di Mastrandrea, “la gente anche ama la merda ma non per questo bisogna dargliela”. Questo è un po’ anche quello che cercate di fare? E tu come vedi che si comportano gli altri rispetto alla “merda”?
Guarda, se ti devo dire il criterio nostro è non pubblichiamo niente di cui non vorremmo essere lettori, ecco, non pensiamo mai che i lettori siano una cosa diversa da noi, diciamo che non tendiamo mai a trattarli in un modo in cui non tratteremmo noi stessi. Al di là di tutto, non facciamo qualcosa pensando questa è una cazzata però ai lettori piacerà: no, se è una cazzata non la facciamo.
Con Facebook Home potremmo abbonarci ai feed dei nostri contatti e ricevere notizie e aggiornamenti direttamente sullo smartphone: diciamo che ognuno di noi sta diventando una vera e propria fonte di informazione. Secondo te questa cosa può diventare una concorrenza per un giornale oggi?
Guarda, ci sono molti temi… Sulla concorrenza io penso che per un giornale diventa concorrenza tutto, nel senso che non esiste più la concorrenza fra settori e compartimenti separati. La concorrenza è fra tutte le occasioni che prendono tempo e sottraggono tempo a tutte le persone e agli utenti potenziali. Quindi i tuoi concorrenti come giornale sono i videogiochi, i programmi televisivi, i video di youtube o la lettura di un libro, o andare al cinema e qualunque cosa: naturalmente la lettura di un libro o andare al cinema sono dei concorrenti meno forti come lo sono sempre stati, mentre guardare il colonnino morboso o i video su youtube o fare i giochini sul computer o stare su facebook, sono dei concorrenti molto più agguerriti. Però questo è un grande tema, lo avevo sentito sollevare anche da un responsabile di una grande casa editrice, il fatto che le case editrici stesse non devono più preoccuparsi della concorrenza delle altre case editrici, ma della concorrenza dei produttori di videogiochi per esempio, perché le persone in tram invece di leggere un libro stanno sui giochini e sullo smartphone. E questo vale un po’ per tutte le cose, insomma io non sono preoccupato di avere meno lettori perché vanno a leggere, non so, i titoli di Repubblica, sono preoccupato di avere meno lettori perché vanno a fare altro.
Qualche giorno fa alla notizia della minaccia nucleare del Nord Corea tutte le edizioni online dei giornali italiani aprivano con questa cover, tu eri uno dei pochi invece a far notare che sui giornali americani c’era meno attenzione mediatica alla notizia. Cosa spinge una notizia in Italia a finire prima in cover una certa sera e poi la mattina dopo si nasconde in tutto il suo allarmismo e vanno in cover Renzi o Ruby?
La spinge questa inclinazione, ormai abbastanza inarrestabile e frequente in molti spazi della nostra vita, di cercare continuamente attenzione e rinnovo dell’attenzione, attraverso qualunque cosa abbia una potenza notevole anche se limitatissima nel tempo. Quindi qualunque cosa con cui puoi fare il titolone ci fai il titolone: prima ci fai il titolone, poi ti poni il problema di cosa sia, di quale valore abbia, è un sistema culturale in generale che in questo paese ha preso molto piede, ma non solo in questo paese.
Io non giudico mai le cose rispetto al rapporto con gli utenti: penso che gli utenti siano adulti e vaccinati, leggono quello che vogliono leggere. Parliamo di un meccanismo diverso con cui funziona l’informazione qui, e con cui funziona tra l’altro l’informazione dei grandi media online, perché è interessante notare che tutto questo sia sistematicamente legato ad internet e alla rete, come se internet e la rete fossero dei mondi separati dalla tradizionale affidabilità dell’informazione, ma in realtà i principali propagatori di tutte questi allarmi, sensazionalismi e balle, sono i siti della grande informazione tradizionale.
Come vedi un progetto di informazione online oggi? Si può sostenere più sul modello della pubblicità oppure sui microabbonamenti come ha fatto Andrew Sullivan?
Guarda, io sono molto diffidente, anche per mia esperienza. Banalmente, per ragioni di bassa matematica, per sostenere economicamente un progetto online bisogna raggiungere un equilibrio molto complesso fra costi e guadagni. Equilibrio che richiede che i tuoi costi siano molto ridotti, e i tuoi guadagni siano molto alti: siccome i guadagni pubblicitari – se restiamo su questi – sono molto bassi, devi fare un sacco di pagine, impressions, lettori. Allora, se tu mi presenti un progetto che abbia dei costi molto contenuti, e delle ragioni per convincermi che farà dei guadagni molto alti, quel progetto per me è credibile: dentro però questi canoni io vedo stare pochissime cose, o delle cose molto piccole in cui i costi sono bassissimi, e basterà quindi un traffico interessante e un’idea che funzioni. Oppure viceversa che tu faccia dei numeri altissimi che ti coprano anche delle strutture più costose, questo è il caso di alcuni grandi siti come quelli dei quotidiani italiani, che però hanno il problema di avere strutture costosissime, e legate alle strutture dei giornali tradizionali, però loro sicuramente fanno dei numeri che gli permettono poi dei guadagni pubblicitari interessanti, diventerebbero delle imprese notevoli se fossero capaci di tagliare e ridurre ulteriormente i costi, comunque credo siano delle imprese in attivo. In mezzo a questi due estremi, cioè avere costi ridottissimi o un traffico enorme (cosa che è permessa soltanto a pochi), è tutto molto difficile. Al Post siamo stati molto attenti sui costi, questa cosa l’abbiamo avuta chiara dall’inizio: tutti gli altri con cui siamo stati associati in questi anni, i vari progetti di informazione online che sono nati in questi anni, hanno avuto dei costi che andavano dal doppio, al triplo, al quadruplo, dei nostri; e questo mi ha reso da subito molto diffidente nei confronti di tutte quelle imprese. Per la mia esperienza da giornalista ho assistito a investimenti eccessivi e soldi buttati in un sacco di imprese fallimentari su internet, e quella lezione lì l’avevo imparata, e quindi al Post siamo stati molto attenti al contenimento dei costi. E stiamo andando benino in maniera soddisfacente, e lo stesso non è che ti direi che siamo un’impresa sicura e garantita. Questo per dirti se si prende a modello noi, ma immagino le difficoltà di chiunque altro, che non riesca a contenere i costi e ad avere altrettante soddisfazioni.
Ti posso fare una domanda provocatoria?
Fai la domanda provocatoria. Di solito quando mi dicono domanda provocatoria o è una stronzata o ci si vuole coprire le spalle, ma adesso vediamo.
Ce l’hai molto col boxino morboso (ndr – qui appofondimento), ma quando Il Post apre con notizie in stile “Oggi fa caldo” non è un po’ lo stesso concetto però senza tette e gatti?
Dunque, aspetta, a parte la notizia “oggi fa caldo” di cui sarei però fiero perché la trovo piuttosto divertente, e di cui però non mi ricordo. Comunque, il boxino morboso ormai è diventato un caso di studio scientifico, io sono assolutamente rispettoso della necessità dei grandi siti di fare grandi volumi di traffico, poi noi non è che siamo tromboni, seri, trattiamo cose anche molto leggere molto volentieri.