È da poco uscito “Vol 2: Poveri Cristi“, nuovo album di Brunori Sas, cantautore cosentino. Si sa che delle interviste promozionali non gliene frega un cazzo a nessuno, ma Dario ha dalla sua parte un’ironia che ama dissacrare, ergo vale la pena buttarci l’occhio.
1. Appena ascoltato Vol.2, ho pensato che è il disco che avrebbe scritto Rino Gaetano se fosse ancora in vita. Ci sono personaggi come Mario e Rosa e la macchina narrativa che alterna dolci malinconie a lampi di allegria, senza mai rinunciare all’ironia. Chi sono i poveri Cristi che vivono il nostro paese? E perché questo disco è dedicato a loro?
Quando ho scritto i brani che compongono l’album, non avevo un tema preciso e un’intenzione netta. Piuttosto sentivo forte la necessità di descrivere un moto sentimentale, qualcosa che ribolliva in me da alcuni mesi e che probabilmente proveniva da suggestioni differenti: situazioni di vita vissuta, libri, dischi o film che mi hanno accompagnato negli ultimi due anni. Non volevo dunque fare un disco di analisi sociale o politica, non ne sarei in grado, ma semplicemente utilizzare lo strumento canzone per tirar fuori delle personali riflessioni, poggiandole più sul piano del sentimento che su quello della ragione.
2. Questo secondo album rivela una maggiore cura per gli arrangiamenti e per i dettagli. Insomma, se il vol.1 voleva apparire molto “chitarra e voce”, a questo giro sembra che la Brunori S.A.S. abbia avuto un ruolo fondamentale anche in fase di composizione. E’ colpa di quasi due anni di concerti in giro per l’Italia? Parlaci di come sono nate queste canzoni.
Avere una band fissa è una risorsa importante. Anche in fase di composizione, quando scrivi i brani da solo chitarra e voce, riuscire ad immaginarli suonati in band ci ha aiutato molto. Non abbiamo avuto tantissimo tempo a dispozione, per cui non c’è stato un lungo lavoro in sala, e i brani non hanno avuto la classica genesi da sala prove. Con Matteo, che ha curato con me la produzione artistica, avevamo però le idee abbastanza chiare ed è stato semplice comunicarle ai ragazzi per arrivare in tempi brevi al risultato finale. Gli arrangiamenti di archi e fiati sono stati curati, a mio avviso con grande maestria, da Mirko Onofrio, che ha saputo inserire alcuni elementi del suo background artistico che va dal jazz, alla prog fino alla musica medievale, all’interno della forma pop delle mie canzoni.
3. I personaggi che popolano le tue canzoni sono un po’ lo specchio del Belpaese attuale. A prima vista sembrano persone di altri tempi, eppure non lo sono, ognuno ha la sua storia, le sue difficoltà e delusioni: il lavoro che non c’è, l’amore perduto, la voglia di possedere tutto e subito. Possibile che oggi un cantautore sappia interpretare e descrivere la realtà meglio di un politico?
Nel mio caso non saprei, anzi a dire il vero non credo di essere un grande interprete del mio tempo. Certo è che il ruolo dell’artista, in generale, è stato sempre quello non solo di interpretare, ma di anticipare le dinamiche e gli stravolgimenti sociali in atto in un determinato luogo e tempo. Per cui non mi sorprende, anzi trovo eccezionale il contrario, benché in effetti in passato succedesse molto più spesso di oggi di avere a che fare con politici di grande spessore culturale, etico e morale.
4. “Bruno mio dove sei” è un pezzo di una bellezza disarmante. Si fa davvero fatica a trattenere le lacrime. So che è dedicata a tuo padre. Ti va di raccontarci com’è nata?
Come sempre in modo imprevisto e non premeditato. Dopo una telefonata con mia madre, l’inverno scorso, mi sono trovato a riflettere da solo sulla chiacchierata appena fatta… sono dei momenti difficili da spiegare razionalmente, in un istante solo mi sembra di arrivare a comprendere un sentimento altrui in modo profondo. È una forma di compenetrazione o empatia se vuoi che mi emoziona molto e da cui inevitabilmente scaturiscono poi le canzoni. Tutto qui.
5. Sfatiamo un mito che sta circolando in rete: c’è qualche legame tra “Lei, lui, Firenze” e “Silvia lo sai” di Luca Carboni? Io, francamente, non ne vedo.
Boh… sai, soprattutto con la musica pop, visti i limiti oggettivi della forma canzone, c’è sempre la corsa al plagio, lo facevo anch’io quando ero più giovine… è un modo come un altro per ridimensionare un fenomeno che ti sembra sopravvalutato e per sottolineare la tua competenza musicale e la non appartenenza al gregge. A volte, devo ammettere, mi capita di accorgermi che un passaggio di una mia canzone ricorda altro…in questo caso a parte la progressione che precede i ritornelli, ci vedo poco e mi dispiace perché avrei potuto spacciarlo tranquillamente come omaggio…ma se continua così non è detto che non lo faccia in futuro, soprattutto se intervengono gli avvocati.
6. Chiamare un pezzo “Animal Colletti” è una mossa geniale. Come diavolo ti è venuta?
In quei giorni leggevo spesso alcune cose in rete sulla faccenda del referendum a Mirafiori e sul ruolo dei colletti bianchi nel risultato finale. Poi le immagini degli operai sulle gru in tutta Italia e la gente intorno a te che si lamenta del precariato. Ho pensato, non so bene perché, ai polli stipati come sardine nei pollai industriali e di seguito ad un video degli Animal collective in cui si vedono degli animali domestici: il gioco di parole è venuto fuori naturale.
E poi con un titolo così mi accaparro anche le simpatie del pubblico indie più snob: quelle venti copie in più che mi fanno sentire a posto con la mia coscienza artistica.
7. Tra poco parte il tuo tour. Che sorprese dobbiamo aspettarci? Vista la recente collaborazione con Dente sia live che su disco, avete mai pensato di organizzare un tour insieme? Sarebbe il Banana Republic del nuovo cantautorato italiano!
Beh diciamo che non sarebbe male, ma al momento siamo entrambi impegnati con le nostre rispettive cose: lui esce ad ottobre col nuovo album e io ancora sarò in giro a promuovere questo. Però… però… come dice anche il buon Capovilla, mai dire mai.