Su Interstellar si son dette tante cose nelle ultime settimane: potremmo, a questo punto, impantanarci in una approssimativo sciorinamento di quanto avanzato, in termini argomentativi, dai più consistenti gruppi omogenei emersi dal sentire comune. Una successione di Fibonacci in grado di snodarsi verso l’infinito e oltre, che voglio risparmiare tanto a voi quanto al sottoscritto.
Leggendo qua e là, il problema sembra essere legato al metodo di analisi filmica prima ancora che al merito della stessa: svuotandola sul piano del contenuto, infatti, la riflessione è sempre uguale.
Il film è considerato come un feticcio per l’auto-comparazione, o al massimo tende a dover fare i conti con le aspettative in termini di coerenza scientifica, narrativa, insomma tende a cozzare con quanto avrebbe dovuto essere.
Per istanze di semplificazione, paradossalmente, andiamo a mischiare le carte, migrando verso un analisi del prodotto filmico in armonia con la sequenza storica nella quale pretenderebbe di collocarsi.
Alla fine degli anni ’70, Jean-Luc Godard si cimentò in un’opera di rimodulazione dei canoni diffusi nella critica cinematografica. Si cercò, per la prima volta, di leggere un film tramite un altro, di comporre un quadro organico che fungesse da ragnatela per una corretta messa a fuoco dell’opera.
L’obiettivo era quello di esaltare il momento genetico delle figure stilistiche tramite un’indagine, una caccia alla flagranza allo stato puro (chi ha inventato il primo piano? O meglio: chi se n’è servito per primo in maniera connotante? Possiamo attribuire ad Ėjzenštejn tutto ciò?).
Gli strumenti si sostanziavano nella ricerca, nel metodo e nei mezzi (noi non pretendiamo di utilizzare nessuno di questi elementi: tenteremo di comparare, in maniera esaurientemente ma pur sempre sommaria, diversi sforzi cinematografici.
La fantascienza è spesso stata concepita come una proiezione caricaturale del complesso sociale, nonché un non-genere, spesso innestato incidentalmente nel percorso filmografico di diversi grandi del cinema.
Due titoli che possono venirci in mente sono Videodrome di Cronenberg e Agente Lemmy Caution: missione Alphaville dello stesso Godard.
Ecco due approcci molto differenti (anche tra loro, per carità), che per me dovrebbero costituire le due declinazioni classiche della stessa (il cyberpunk e lo spionaggio fantascientifico), al fianco dell’inimitabile monolite 2001: Odissea nello spazio, che andrebbe a costituire un ceppo a parte (dal quale dovrebbe, teoricamente, discendere lo stesso Interstellar).
Personalmente, mi sembra che Interstellar costituisca l’ennesimo capitolo della saga “stupriamo il budget e il resto andrà da sé” (non che film come Blade Runner non vantino produzioni esagerate, ma con risultati e obiettivi molto differenti).
Tralasciando i riferimenti superficiali in forma di tributo, l’irripetibilità dell’opera di Kubrick, talmente lontana da sembrare un miraggio, svela la necessità di muoversi su altre soluzioni all’interno del genere, al momento, almeno per Nolan.
Insomma: era il caso di mettere da parte la fantascienza sullo spazio e di accontentarsi dello spazio fantascientifico.
L’arte di arrangiarsi
Non parlo di soldi: parlo di gestire con intelligenza le proprie possibilità, perché dalla necessità emerge il genio, dalla calma piatta di una produzione faraonica, spesso, vengono fuori cose del genere.
Ambientazione
Cronenberg ha sempre costruito spazi distopici in realtà, magari lontane, ma pur sempre esistenti. Godard, in lcalphavile, sfrutta una parigi in versione cantiere per rendere l’atmosfera della ultra-galattica Alphaville.
Riprese
Un ulteriore spazio di ricamo, uno spunto finale in grado di offrire perfezionamento. Nolan non tralascia questo passaggio, ma lascia lo spettatore immemore dinnanzi al lavoro svolto, che risulta invisibile.
In sintesi
Tutti questi momenti strutturali sembrano indissolubilmente inviluppati nei meandri di una struttura narrativa fatta di esplosioni e silenzi in ossequio ai grandi del cinema, ma che lascia ai margini la traccia di un regista che diventa coordinatore e non più padrone della propria creatura.
Ergo: Interstellar è un film interessante, ma che non funziona.
Detto ciò, non appare deontologicamente corretto giudicare il tutto partendo da una valutazione totalmente slegata dai canoni tradizionali all’interno dei quali la pellicola va collocandosi. Interstellar è un film che non va perché si inserisce male in un sistema complesso, fatto di capolavori indimenticati non disposti a lasciare spazio all’approssimazione, alla dogmaticità, all’ingiustificata complessità. La fantascienza nasce (e morirà) come un genere popolare.
A Nolan, a cui sta a cuore il tema dell’ecosostenibilità, consigliamo di spluciare tra i vari Herzog e di buttarsi, perché no, sul documentario.
Anche se tre ore di circumnavigazione del wormhole, al bottegnino, forse fanno quei due, tre spicci in più.