Voto: 7/10
C’era una volta l’America. Non quella della pubblicità e dei grattacieli, delle multinazionali, dell’economia forte, ma quella dei ranch, delle praterie, dei vecchi cowboys. In ogni epoca, quest’America ha avuto i suoi cantori e nella nostra, Bill Callahan è certamente uno di loro. Basterebbe ascoltare Droven, col suo passo sincopato, la voce cavernosa e quella storia di gente che va via, che lascia il wild country per avvicinarsi a qualcos’altro. Folk d’autore, come non se ne fa più. Nelle sette storie che compongono Apocalypse, c’è un ansia di raccontarla quell’America, di riscoprirla, di riagganciare la tradizione facendola sposare con l’attualità, come col blues roboante di America!, che mette insieme il David Letterman Show con la guerra in Afghanistan e con il Vietnam, ripescando nell’ombra dell’attualità il peso sempiterno della storia. Non è un disco per tutti questo. Non si può far scorrere addosso senza impegnarsi, senza leggerne i testi, approfondire, apprezzarne gli arrangiamenti a prima vista semplici, ma ricchi di intarsi. E’ un album ricco di chiaroscuri, di giochi di luci da cui farsi coinvolgere. C’è il delta blues, il jazz, il folk e il country nel song-writering callahaniano, c’è la sua voce monotona, eppure così espressiva che riesce a sussurrarti all’orecchio storie dimenticate, facendoti sentire l’odore della polvere che le ricopre. Ti fa soffiare su quella polvere, per farti investire dalla vita, quella vera: degli addii, delle partenze, dei ritorni (Riding for the feeling). Ti gonfia l’anima come una vela, ti regala saggezza e un pizzico di malinconia. “In conclusion, leaving is easy, when you’ve got some place you need to be”, parafrasando il saggio Bill, il mondo potrà apparirci, per una quarantina di minuti, un posto davvero migliore. Illuminante.
Tracklist:
- Drover
- Baby’s Breath
- America!
- Universal Applicant
- Riding For The Feeling
- Free’s
- One Fine Morning
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