Qualcuno ha capito perché la legittima esigenza di esprimere un Presidente della Repubblica che sia benvoluto della più ampia maggioranza dei nostri concittadini non possa prescindere dal consenso dei berlusconiani, ma possa invece tranquillamente fare a meno di quello dei rappresentanti del secondo partito del Paese?
Qualcuno ha capito insomma perché in assenza di un voto unanime o superiore alla maggioranza dei due terzi necessaria nei primi tre scrutini il PD non ha scelto di sostenere la candidatura Rodotà, che seppur presentata da M5S, non si può certo dire espressione di quella sola parte?
Quello che si ipotizzava fino a ieri era così sintetizzabile: l’elettorato di sinistra ha rifiutato con forza ― nelle piazze, nel web e persino direttamente nei circoli ― l’ennesimo accordo coi berlusconiani, spingendo parti rilevanti dei grandi elettori di quell’area politica a bocciare Franco Marini, espressione di una trattativa che apriva anche a una sorta di Monti-bis, per il futuro governo; per sgombrare subito il campo da ogni ulteriore ipotesi di inciucio si punterà, quindi, compatti sul sostegno a Romano Prodi, candidato sul quale Berlusconi aveva inequivocabilmente posto un veto.
Per eleggere un PdR a maggioranza semplice, dal quarto scrutinio in poi, bastano 504 voti. La coalizione guidata da Bersani ne ha 496. Si conta, insomma, sul consenso di singoli esponenti montiani o di qualche 5 stelle per chiudere rapidamente. Un azzardo, certo; ma minimo, se ci fosse stata reale compattezza nei sostenitori dichiarati di Prodi.
E invece, alla fine dei conti, ci si ritrova con 101 voti mancanti, nonostante SEL avesse deciso di non votare più per Rodotà, arrivando addirittura a caratterizzare la propria modalità di voto (“R. Prodi“), per evitare di essere additati come probabili responsabili di una eventuale fronda (poi, puntualmente, realizzatasi).
Dunque, al momento, nel PD ci sono 101 persone che, nel segreto dell’urna, decidono di boicottare la candidatura a Presidente della Repubblica di un proprio leader storico, oltre che figura di prestigio internazionale indiscutibile.
Non importa, ora, capire chi sono esattamente questi signori e queste signore.
Importa invece quello che dice espressamente Giuseppe Civati nel suo blog, per provare a spiegare la strana dinamica di questa elezione presidenziale:
«(…) c’è una parte del Pd che non guarda al M5S ma a destra. Spero sia chiaro a tutti. Ed è questo il vero problema».
Con buona pace di tutti quelli che si erano illusi, nelle scorse settimane, che la strategia del segretario dimissionario puntasse realmente a un governo del cambiamento.