A dare un’occhiata ai vecchi manifesti del PCI viene un po’ da sorridere. A tutti, bene o male, viene un pensiero del tipo “guardali come erano un po’ ingenui, un po’ antichi ma in fondo animati da una sana vena socialista” e poi via con la mente per svariati film di Marco Tullio Giordana. Siamo un po’ tutti come Lo Cascio quando ci dice che dovremmo smetterla con la lotta di classe, con le manifestazioni, con i paroloni e pensare di dover salvaguardare “la bellezza”. Onore al merito: è una bella scena.
Mi sono chiesto che cosa sia rimasto oggi di una certa retorica che poteva identificare il PCI come un partito che avesse una qualche radice socialista, doveva averla per forza in quanto “comunista”. Quest’ultima è un’altra parola che sembra, anch’essa, aver assunto il carattere dell’ingenuità e dell’adolescenza. Uno oggi quando vede un ragazzo con la maglietta del Che pensa che è uno che ha appena perso la verginità, il quale si starà facendo le prime canne e che un giorno si iscriverà al PD. Forse. Oppure al Meetup. Peggio.
Nel PCI prima ci stavano tutti. Prima di Renzi e del “nuovo liberismo” che avanza, c’erano esattamente gli stessi grigi burocrati di oggi. Forse prima erano un po’ meno grigi, come questo giovane quanto mai noioso D’Alema che esorta gli studenti al voto. Rimane il fatto che c’erano più o meno tutti da Bersani a Veltroni, da Fassino a Napolitano. Tutti quelli che oggi hanno osato firmare il Fiscal Compact, ma su questo ci arrivo tra poco.
Improvvisamente crolla il muro di Berlino, si scopre che Stalin era un dittatore – come se non lo si sapesse e soprattutto come se c’entrasse qualcosa con la lotta operaia in Italia – si viene a sapere delle nefandezze dell’Unione Sovietica. Occhetto prende il partito che fu di Gramsci e decide di distruggerlo. Così dall’oggi al domani. Il “risveglio dal sonno” lo chiamano alcuni.
Improvvisamente, attraverso l’esperienza dei DS, dell’annessione dell’area radicale di Rutelli e dall’inspiegabile fusione con la DC ad opera anche dell’ipercattolica Rosy Bindi – che non dimentichiamolo è stata vicepresidente nazionale dell’associazione “Azione Cattolica” dal 1984 al 1989 – tutto il socialismo è scomparso. Romano Prodi vince con il suo Ulivo e distrugge i DS e con quella piattaforma scompare completamente il discorso operaio, quel poco che era rimasto: nasce l’Europeismo. In sostanza le vertenze dell’UE prendono il posto di qualunque dialettica reale sul welfare. “Chissenefrega degli operai, dobbiamo rientrare nel bilancio per l’euro”.
Ho riassunto in un paragrafo l’operato dei DS e dell’Ulivo, so che non andrà giù a molti e sono consapevole del fatto che i realtà ci vorrebbero trattati politici enormi per capire veramente le transizioni che sono susseguite. Ma il punto che mi preme è arrivare velocemente alla carta d’intenti firmata unitariamente da Renzi (dichiaratamente di area liberista), Bersani (dichiaratamente di area…?), Vendola (dichiaratamente di area antiliberista, anche se sta cosa passa in secondo piano rispetto al matrimonio omosessuale) e per quel che importa Tabacci e Puppato.
Riporto una parte della Carta di Intenti che si trova sul sito Italia Bene Comune – che devo dire è un’operazione di marketing becera che fa leva sul referendum per l’acqua, referendum che ha vinto grazie all’impegno gratuito di militanti di varie aree antagoniste – volendo evidenziare la totale assenza di socialismo degli “ei fu” PCI e DS in relazione alla firma del Fiscal Compact (detta Patto di Stabilità) con il beneplacito di Silvio Berlusconi che ora canta elettoralisticamente “che ci frega dello spread”:
«Salvare l’Europa nel pieno della crisi significa condividere il governo dell’emergenza finanziaria secondo proposte concrete che abbiamo da tempo avanzato assieme ai progressisti europei. Tali proposte determinano una prospettiva di coordinamento delle politiche economiche e fiscali. […]Qui vive la ragione più profonda che ci spinge a cercare un terreno di collaborazione con le forze del centro liberale. Per questo i democratici e i progressisti s’impegnano a promuovere un accordo di legislatura con queste forze, sulla base della loro ispirazione costituzionale ed europeista e di una responsabilità comune di fronte al passaggio storico, unico ed eccezionale, che l’Italia e l’Europa dovranno affrontare nei prossimi anni.»
Queste parole non sono tanto per dirle, ma si instaurano proprio in un’ottica che dice “prima l’Europa e poi le chiappe dei precari”, tant’è che il patto di stabilità è passato. Questo viene chiamato, a livello internazionale, “Fiscal Compact” che è ben descritto in un articolo di Treccani Magazine:
«Il fiscal compact vincolerà il nostro Paese alla riduzione del debito pubblico per una cifra di 45 miliardi di euro l’anno per vent’anni, con variazioni possibili a seconda che si inneschi o meno la crescita economica vaticinata dal Governo Monti. Colpiscono due fatti. Il primo: la portata anche giuridica e simbolica dell’atto, poiché il dispositivo entra a far parte della Costituzione italiana, sancendo una cessione di prerogative giurisdizionali nazionali alla Ue. […] Il secondo fatto: rinchiuso nel recinto presuntivamente asettico dell’impegno “tecnico” governativo ad allineare costantemente l’Italia all’Europa, il grave passo è stato, nella maggior parte dei casi, presentato dai media e, attraverso i media, ritrasmesso dai politici ai cittadini, come un matrimonio che s’ha da fare, tra alzate di spalle, “purtroppo” e genericissimi e paludati “l’Europa ci chiede”. Anche chi si è opposto, in politica, l’ha fatto con una certa strumentalità, usando il no al fiscal compact soltanto come arma di polemica immediata»
Al di là della magistralità con cui è scritto l’articolo – lo è davvero, specie la parte in cui si parla della percezione linguistica del lemma “compact” – questo ci fa riflettere su cosa sia l’opposizione europeista. Abbiamo buttato nel cesso quella che una volta era la piattaforma popolare dello zoccolo duro della rappresentanza del Welfare State (anche europea) e l’abbiamo trasformata in un cavallo da guerra per una corsa all’Europa.
Oggi si sta tornando a parlare del reddito minimo di inserimento e della precarietà come “classe esplosiva” del dissenso italiano e europeo. Ma quale piattaforma popolare oggi la rappresenta se quella storica è venuta meno? In un momento tale, a chi si rivolge la gente che vuole votare? Ci facciamo prendere in giro da un comico che ha fatto un blog con un comunicatore gigantesco dietro, da un partito europeista e da un Berlusconi da trombetta. I danni del bipolarismo sono qui davanti a noi e li ignoriamo.
P.S.: chiedo scusa per la pochezza, le imprecisioni, le inesattezze e anche le eventuali cazzate. Ma è una sorta di sfogo e contemporaneamente uno stimolo al voler ricevere una risposta da una classe politica che non è muta, ma che dice il falso.