Christian Rocca, direttore dell’inserto de il Sole 24 ore IL, ci fa il punto della situazione su Guantanamo, la guerra dei droni di Obama e la crisi siriana.
Dalla lettera del detenuto di Guantanamo pubblicata sul NYTimes si è tornato a parlare della questione, tu sei stato uno dei pochi a riportare la notizia della chiusura dell’ufficio per lo smantellamento di Guantanamo da parte di Obama: qual è quindi la reale posizione dell’amministrazione Obama sulla faccenda?
La reale posizione è quella di voler chiudere il carcere, ed è una posizione che peraltro condivideva il primo avversario di Obama, John McCain – candidato repubblicano, e che condivideva (sembrerà paradossale) anche il predecessore di Obama, George W. Bush, cioè la persona che ha aperto Guantanamo. Il problema è che poi è praticamente impossibile da chiudere: non tanto perché è difficile chiudere un carcere, ma perché qualsiasi altra posizione alternativa a Guantanamo non risolve il problema dello status giuridico dei prigionieri catturati in battaglia nelle ore successive all’invasione dell’Afghanistan, e soprattutto peggiorerebbe la situazione di questi detenuti perché in nessun altro posto del mondo, degli Stati Uniti certamente, per non parlare dei paesi di provenienza di questi prigionieri, le condizioni carcerarie sono migliori di quelle di Guantanamo. Quindi le condizioni di vita per i detenuti, qualora dovessero chiudere Guantanamo, sarebbero certamente peggiori.
Si è molto parlato di torture a Guantanamo, per esempio di waterboarding: tu hai sottolineato come a Bagram sia peggio.
A Guantanamo, che si sappia, non c’è stata alcun tipo di tortura, perché il waterboarding è stato applicato soltanto su tre detenuti, in epoca Bush: i primissimi momenti dell’epoca Bush, perché poi già dal 2003 in poi non è mai stato più utilizzato. Di tutti e tre i casi il più famoso è quello di Khalid Shaykh Muhammad (l’architetto e ideatore dell’11 Settembre per conto di Bin Laden), ed è stato fatto quando è stato catturato in Pakistan, e probabilmente lì è stato portato a Bagram. Cioè, il waterboarding che è sì una forma di tortura, ma non quella forma di tortura che lascia danni permanenti nel prigioniero, comunque non è mai stata fatta a Guantanamo, ma a Bagram, e probabilmente nelle carceri segrete della Cia.
Il problema grosso di Guantanamo è quello dello status giuridico dei prigionieri, che non avevano nessun diritto processuale e nessun diritto all’habeas corpus come in tutti i paesi civili, quindi la gran parte di questi è stata definita formalmente e ufficialmente da Obama (non da Bush) come detenuti che rimarranno in carcere a vita e senza alcun processo. Questa è la forma di aberrazione che è avvenuta a Guantanamo, che è una aberrazione di tipo giuridico e psicologico: tu sai che stai lì e starai sempre in galera, non avrai neanche un processo, ed è una forma di tortura. Però si è confuso nell’opinione pubblica, per colpa dei giornalisti che si sono trasformati in propagandisti del sentimento anti-Bush, tra i casi di tortura ad Abu Ghraib (che non era un’indicazione del comando americano), con molte altre cose che sono avvenute probabilmente nelle carceri segrete, e a Bagram, cioè la base militare in Afghanistan dove portavano i talebani che catturavano in battaglia, con Guantanamo, dove in realtà sono arrivate 500 persone (di cui nessuno dall’Iraq). Il tutto iconograficamente sottolineato attraverso alcune fotografie che continuiamo a vedere ancora oggi sui giornali quando fanno un pezzo su Guantanamo, gabbie all’aperto con prigionieri con la tuta arancione e incappucciati, ed è una cosa che è successa soltanto per qualche mese, perché a Guantanamo non c’era un carcere dopo l’11 Settembre, ma quando si è deciso cosa farne di questi prigionieri hanno deciso di portarti lì, in territorio extraterritoriale, quindi hanno cominciato a costruire una struttura carceraria. All’inizio hanno fatto questa specie di gabbie, che servivano non per dormire ma durante il giorno, e dopo qualche mese questo Camp X è stato sostituito dalle strutture normali. Però persino adesso, dopo 10 anni, si continua a far vedere quella cosa lì per sottolineare ‘’vedete, li tengono nelle gabbie come fossero animali’’. Questo non vuol che lì ovviamente li trattavano con rose e fiori, comunque è sempre un carcere di massima sicurezza dove hanno applicato queste tecniche di interrogatorio avanzato per cercare di far parlare i detenuti, molto forti e molto dure, nessuna delle quali, a eccezion fatta del waterboarding di cui si parlava (che però lì non è stato fatto), costituisse tortura.
Ci puoi spiegare più nel dettaglio cosa accadrà col White Paper e la Kill list?
Se ti riferisci alla Kill List, cioè a quell’elenco di terroristi che Obama assieme al suo capo dell’anti-terrorismo John Brennan spuntava per autorizzare delle operazioni anti-terrorismo e ucciderli, è una cosa più brutale di quanto possa essere il waterboarding: perché ovviamente se eviti di catturare le persone per toglierti il problema di dove metterli, in quale carcere, sganciando un missile da un drone telecomandato da una base americana con un joystick, ovviamente non è molto rispettoso dei diritti umani. E’ brutale, duro, e se vogliamo giocare nella contraddizione, molto più di destra rispetto a provare a prenderselo e metterlo a Guantanamo. In più, a Guantanamo ci sono andati solo i presunti terroristi, all’inizio presi un po’ anche alla carlona, perché dopo l’11 Settembre erano terrorizzati che potesse esserci un nuovo attacco e quindi hanno fatto molti errori, però si sono limitati all’Afghanistan per quanto riguarda l’estensione territoriale e geografica del teatro di guerra; con i droni e questa lista di obiettivi da eliminare di Obama, invece, sono andati anche fino in Somalia, in Yemen, o in Pakistan, paesi formalmente alleati, senza nessuna dichiarazione di guerra, e soltanto sulla base dei poteri di guerra che il Congresso aveva affidato a Bush. In più questa Kill List è estesa anche a cittadini americani, che è la più grande delle violazioni del diritto che possa esistere, perché un Presidente che decide non solo rispetto a presunti terroristi stranieri, ma anche a cittadini del suo paese crea una specie di pena di morte ad hoc senza nessun tribunale. Immaginati se il Presidente Enrico Letta, o in passato Berlusconi o Prodi, avessero deciso che c’è un italiano che sta in Yemen che è nostro nemico, gli lanciamo un missile e lo uccidiamo: una cosa pazzesca.
Che clima si respira in America rispetto a questa cosa dei droni?
Se ne è parlato pochissimo. Fino a qualche tempo fa, e in realtà ancora adesso, questa cosa dei droni era ed è tutta segreta. Noi sappiamo che ci sono attacchi dei droni dalle notizie dei giornali locali, in Pakistan, o da giornalisti occidentali che stanno in Pakistan o Yemen, che vedono l’effetto dell’attacco. Mentre quando c’erano le guerre in Afghanistan o Iraq c’era ogni giorno la conferenza stampa del portavoce del Pentagono o del capo militare, che riportavano le operazioni fatte quotidianamente, qui non c’è niente, niente si sa, perché sono attacchi operati dalla Cia, in una commistione tra Cia e militari che si è molto intrecciata negli anni di Obama, ma non c’è mai stata una dichiarazione di Obama sui droni, o sul loro uso. I giornali ne parlano apertamente ma senza mai avere fonti ufficiali: lì c’è un po’ di bravura di Obama nelle pubbliche relazioni, nel fare delle cose molto più di destra di Bush sulla guerra al terrorismo, ma per il solo fatto di non essere Bush riesce a nasconderlo; e dall’altro c’è un po’ di compiacenza del mondo giornalistico, che se una cosa la fa Obama tanto sbagliata non è, mentre era diverso con Bush che li andava a prendere rischiando tra l’altro la morte dei soldati americani. In questo forse c’è il fatto che la guerra dei droni fatta da Obama è una guerra senza vittime americane: oggi leggevo che gli attacchi coi droni sono stati con Obama circa 300 soltanto in Pakistan, ma è una guerra senza vittime americane. Ufficialmente non viene raccontata, è tutta segreta, e non ci sono vittime americane, a differenza dell’approccio precedente.
Volevamo anche chiederti della Siria, dove si stanno probabilmente utilizzando armi chimiche per cui ai tempi dell’Iraq fu combattuta una guerra preventiva: perché stavolta gli Usa sono così pigri invece?
Proprio per il precedente iracheno. Obama non vuole fare una scemenza, e comunque non vuole intervenire senza certezza che ci sia stato l’uso di armi chimiche. Tra l’altro, stabilito che se Assad li ammazza e ha ammazzato 60/70.000 cittadini con armi diciamo normali, tipo una pistola, non c’è problema; se invece li uccide col gas diventa più grave? Non si capisce qual è la differenza, anche se ovviamente è più brutale l’uso del gas. Comunque alla base c’è questa decisione di non voler affrettare in mancanza di prove certe. Anche in Siria si sa che sono state usate queste armi, anche se in maniera minore rispetto a Saddam negli anni successivi alla prima invasione irachena, che entrava ad esempio in un villaggio curdo e ne uccideva a migliaia; e non si sa neanche da chi siano state usate, ci sono anche dei report che sostengono siano stati i ribelli ad averle usate, ribelli che hanno conquistato settori in mano al regime dove c’erano queste armi, e loro le avrebbero usate contro i fedeli al regime. Quindi c’è un’incertezza generale e una volontà di non ripetere gli errori di Bush a impantanare di nuovo l’America in una guerra in un paese arabo sulla base di prove che non si sa se sono vere sulle armi di distruzioni di massa. Inoltre, dopo l’esperienza della Libia e di tutto ciò che è avvenuto dopo le primavere arabe, c’è anche il timore che l’alternativa dopo il regime di Assad rischi di non essere esattamente democratica o liberale. In questo momento gli americani si sono accorti che il mondo arabo post-tirannico non è lo stesso dell’Europa dell’Est dopo la caduta del Muro, che è stata attratta dal mondo occidentale invece. Nel mondo arabo il fenomeno è stato diverso: dopo la caduta dei regimi si sono divisi in tribù, etnie, e religioni.
Ma c’è stata anche un po’ di mano americana nella primavera araba?
Secondo me la primavera araba c’è stata grazie alla caduta del regime di Saddam, perché per la prima volta il popolo arabo ha visto cadere un proprio dittatore. Ci sono stati i primi movimenti di rivolta in Libano, e poi in Marocco, e ancora l’opposizione del movimento iraniano contro Ahmadinejad poi repressa nel sangue. Quindi alla base secondo me c’è stato questo tappo che è saltato con Saddam, con l’intervento di Bush in Iraq, che per la prima volta dopo 60 anni di sostegno a tutti i dittatori della regione ha deciso di cambiare strategia, di non sostenere i dittatori che tenevano a bada le forze islamiste e così via.
Obama si è trovato un po’ in difficoltà sia quando è scoppiata la rivolta del popolo verde iraniano, sia durante la primavera araba, proprio perché si presentava come l’anti-Bush, perché era andato a Il Cairo a fare un discorso, quello più mal interpretato nella storia dei discorsi politici, perché lui non era andato a dire ai popoli ribellatevi ai vostri despoti, ma era andato dai despoti del mondo arabo a dire guardate che non sono Bush, non voglio fare più il regime change, non voglio cambiare e abbattere le vostre dittature, veniamoci incontro: era un discorso rivolto non solo al popolo ma anche alle leadership di quei paesi. Quando è scoppiata la primavera araba, quindi, Obama si è trovato in difficoltà, da un lato avrebbe voluto sostenere l’impeto di libertà e di cambiamento che veniva dalla base, e dall’altro non voleva ripercorrere gli errori di Bush e mettere di nuovo l’America nella posizione di chi voleva sostenere il cambiamento dei regimi di quella regione. Quindi è stato l’ultimo in assoluto tra i leader occidentali, prima a riconoscere l’opposizione iraniana, poi a sostenere la voglia di libertà anti-regime di Piazza Tahrir e via dicendo; quando però l’ha fatto è stato decisivo, con l’Egitto, con la Libia, perché è vero che in prima fila ci sono stati la Francia e la Gran Bretagna, ma senza il supporto militare degli americani non sarebbero andati da nessuna parte. In quel caso, sempre per la questione interna di non passare per un secondo Bush, si è inventato questa strategia che un suo collaboratore ha definito leading from behind, cioè di guidare dal sedile posteriore, non mettendoci la faccia. Adesso ha il problema di decidere cosa fare sulla Siria, ed è un po’ difficile. Anche perché visto quanto successo in questi anni fa bene ad essere molto cauto, inoltre l’opposizione è super radicale, e la situazione non è nemmeno come quella irachena, dove tutto sommato ci sono dei leader etnici o di partito contrari a Saddam, c’è un sistema che in parte funziona, lì invece c’è una situazione molto più tribal-etnica, più vicina a quella della Libia, per cui anche l’idea di intervenire e poi lasciare un paese nel caos è difficile.
Probabilmente armeranno i ribelli alla fine, ma è dura. Anche gli attacchi israeliani di questi giorni in Siria sono effetto di tutto questo caos, perché gli iraniani, che hanno sempre utilizzato la Siria come territorio preferenziale (in quanto alleato) per passare le armi agli Hezbollah in Libano, ad Hamas e a tutti i gruppi anti Israele, terrorizzati dal fatto che gli americani possano intervenire stanno affrettando il trasferimento di armi verso gli Hezbollah, e gli attacchi israeliani erano indirizzati – o almeno questo ci dicono – a colpire proprio questo traffico di armi dall’Iran al Libano attraverso la Siria.