Si candida al titolo di una delle copertine più brutte dell’anno Chiaroscuro degli I Break Horses, nonostante la voce di Maria Lindén sia sempre quella intensa dell’esordio Hearts. Il minimalismo dei primi tempi si perde un po’ in questo lavoro che trasuda nostalgia anni Ottanta, così che quel nome tratto da un pezzo di Smog (I break horses / I don’t tend to them) perde il suo lato più shoegaze / lo-fi e sfocia in sound che ricordano quasi bruscamente gli M83 senza il genio degli M83, prova ne sia il secondo pezzo dell’album Faith (probabilmente il migliore). Se Hearts possedeva ancora un’elettronica oscura e frammentata, che faceva pendant con una certa algidità del duo svedese, questo nuovo album chiarisce la nuova vena sintetica. Il disco si chiama Chiaroscuro, nelle intenzioni vuol ricordare una tecnica di pittura che mette in risalto sia il chiaro che lo scuro: eppure l’effetto chiaro sembra essere piuttosto quello dominante per tutto l’album, e l’oscurità va a farsi fottere. Ascension inizia quasi oscura, fino a diventare anni Ottanta. Tra il 2013 e inizio 2014 pare che lo scenario sia dominato da un lungo revival sonoro, in cui le milioni di possibilità di fondere l’elettronica oggi sembrano trovare sfogo nei vecchi suoni degli anni di Madonna (ascoltare Denial per credere).
Un disco che vorrebbe diventare ballabile senza riuscirci, ma anche perversamente cupo a tratti, con suoni che sembrano perfettamente anti-contemporanei. Eppure Hearts si muoveva in una direzione diversa. Ma il problema principale di questo tipo di nostra contemporaneità è probabilmente il copia-incolla di suoni. Non stupisce il velato rifermento di tentativo di cambio di rotta di alcuni titoli come Disclousure. Forse, se parliamo di originalità, il brano più originale è quello che chiude il disco, Heart to know. Per il resto restano affreschi che non smuovono granché dentro, a meno che non stiamo sognando in cameretta di vincere a un qualche gioco di ruolo medioevale.