Voto: 7/10
Idee nuove, idee vecchie rimaneggiate, idee fortunate abbandonate. Il nuovo disco degli Hot Chip è un’opera su cui è difficile farsi un’opinione precisa. Cavalcando il fortunato filone dell’electropop, che negli ultimi tempi spopola con facilità e che da sempre li aveva contraddistinti, questo gruppo di agguerriti DJ aumenta le dosi di dance anni ’80 senza però abusarne, solo come piccolo tributo a quella retromania che ormai non risparmia nessuno. In Our Heads non di discosta troppo, a onor del vero, dalla strada intrapresa due anni or sono con One Life Stand; una strada segnata da toni smorzati e posati che, se da un lato risultano più fruibili, di certo fanno rimpiangere le ben più sferzanti movenze dei primi lavori. Le parti di elettronica, debitrici della fervente attività di DJ di buona parte della band, abbracciano qui più che mai quella che potremmo definire una nuova rivisitazione del pop moderno, fatta di sintetizzatori, di fortune dance ormai passate ma rispolverate per l’occasione, di velate atmosfere dreamy (utili per spezzare a tratti il corso di dischi molto lunghi), e di synth pop dei tempi che furono. Tutto ciò, abilmente mescolato, è lo stile che ormai contraddistingue alcune delle opere più apprezzate degli ultimi tempi, germi di un nuovo e più “sano” elettropop, nonché via per la genesi di stimolanti sperimentazioni musicali. Questa band inglese si fa araldo della nuova tendenza ed il risultato è di sicuro effetto.
La traccia di apertura, Motion Sickness, è una melodia che sa di Coldplay, ma posata su una base insistente per quanto non invadente; un costrutto popular che non dispiace affatto e che sarà poi ripreso anche in altri brani. Più vintage come impostazione è How do you do, in cui si sente l’eco di anni lontani. Sullo stesso filone, ma in modo più tenace, Don’t Deny Your Heart è uno squisito inno agli anni di incubazione della pre-dance; il brano agisce come una macchina del tempo e mi riporta a ballare con la mente in epoche che io nemmeno ho vissuto. Proseguendo si rileva che, per spezzare un ritmo rischiosamente a senso unico, ai brani più esplosivi si alternano languide ballate – Look at where we are, Now there is Nothing – che strizzano l’occhio al twee ma arricchendolo di una patina di erotismo elettronico decisamente apprezzabile. In These Chains, Ends of the Earth e, soprattutto, in Night and Day viene fuori l’anima strettamente techno di questo quintetto di disc jockey, fatta di basi electro eleganti ma a volte un po’ pompose. Flutes, con la sua durata espansa, è un pezzo completo che spazia melodicamente crescendo in un climax di voce e basi elettroniche molto ben fatto. Let me be him, sette minuti e non sentirli affatto, è senza dubbio la traccia più riuscita del disco; per il modo in cui mescola sapientemente synth pop e chillwave potrebbe essere il singolo della imminente stagione estiva. Infine la chiusura, Always Been Your Love, guarda a Bowie e gioca su variazioni tonali non del tutto efficaci; se le ultime due tracce fossero state scambiate si sarebbe potuto chiudere in gloria, ma tant’è.
In conclusione si potrebbe definire In Our Heads un’opera di maniera. Che sia frutto di un lavoro libero e personale è privo di dubbio ma il sospetto è che alla freschezza della composizione sia mancato un certo livello di impegno che avrebbe contribuito a rendere il tutto un lavoro più importante e, magari, meno legato al disco precedente. I progetti solisti dei vari membri sono un bene per il lavoro di gruppo fintanto che aiutano a confrontarsi con esperienze nuove e non limitano invece la cura che il singolo finisce poi per mettere nel suo contributo alla band cui appartiene. Restiamo dunque in attesa della vera rinascita degli Hot Chip beandoci nel frattempo di un disco affatto spiacevole.
Tracklist
- Motion Sickness
- How Do You Do
- Don’t Deny Your Heart
- Look At Where We Are
- These Chains
- Night And Day
- Flutes
- Now There Is Nothing
- Ends Of The Earth
- Let Me Be Him
- Always Been Your Love