La scorsa estate l’etichetta Captured Tracks ha iniziato a diversificare il suo roster pubblicando l’esordio s/t degli Holograms, un giovane quartetto svedese che suona uno dei revival post-punk più cupi e depressi degli ultimi anni, a metà tra le derivazioni inglesi di Joy Division/Bauhaus e la scena punk di Copenaghen che gravita attorno ad Iceage e amici.
A poco più di un anno di distanza esce Forever, secondo lavoro della band, che non si discosta dalle linee generali sulle quali viaggiano i quattro, ma di certo testimonia vari aggiustamenti. Il sintetizzatore, che era in primo piano, secco e distinto dal background per disegnare il riff portante del pezzo, in questi nuovi brani ha più spesso un utilizzo atmosferico, una posizione di contorno, di contributo alla più caratteristica atmosfera dark che ha Forever rispetto al suo predecessore.
Gli Holograms sembrano riuscire in una più compiuta espressione del loro stile con una serie di brani più omogenei e, se ne risente il conto dei singoli di spicco rispetto all’esordio, a beneficiarne è la solidità complessiva del disco, espressione di un post-punk ancor più cupo e muscolare, trattato anche da una produzione più nitida e con più riverbero. La chiarezza sonora e la maggiore solidità compositiva non costano fortunatamente agli Holograms il tratto caotico e noisy che caratterizza il loro sound.
La coesione raggiunta rende Forever un unico flusso sonoro, certo composto da più di una manciata di ottime tracce, con un buon songwriting e un’ottima esecuzione, ma una tale omogeneità diffusa da far sembrare a volte monotono l’avvicendarsi delle canzoni. Ma dopotutto è un disco di classico, spartano post-punk, cosa c’era da aspettarsi.
Se la sezione ritmica è infaticabile, con la batteria che picchia decisa e il basso agile e melodico, la chitarra non entusiasma sempre, soprattutto quando dovrebbe andare per il graffio solista. Quello che conferisce carattere agli Holograms sono le allucinate e drammatiche liriche del cantante. Depresse, paranoiche, epiche, cozzano contro le ritmiche e gli accenti strumentali, declamate con marcato accento scandinavo, un bel po’ di riverbero e un pathos decisamente non da poco.
Il cantato risulta in una personalità di spicco, così ingombrante da precludere la godibilità del prodotto intero a chi non riesce a connettere con lo stile sopra le righe della più esasperata solennità post-punk. Eppure il mestiere c’è: nonostante tutto la voce non è mai stucchevole e non manca di produrre hook efficaci e diversi ritornelli memorabili, sui quali la band non esita ad insistere, anche scollinando nel superfluo in un paio di occasioni.
Sebbene gli assalti più furiosi siano intervallati da momenti vagamente più atmosferici, dinamiche meno esplosive o ritmiche meno frenetiche, il clima complessivo del disco rimane bellicoso, appassionato e particolarmente intenso, senza che ne risenta mai l’immediatezza di fondo.
Captured Tracks, 2013