All’incirca settanta anni fa in Germania regnava trionfalmente e senza vergogna il nazionalsocialismo di Hitler. Dalla seconda guerra mondiale in poi il popolo tedesco ne porta ancora il fardello attraverso uno dei sensi di colpa collettivi più profondi della storia recente. Come superare “il complesso del genocida”? E’ un interrogativo a cui Grass sembra poter dare una risposta, in particolare ne “Il Gatto e il Topo”.
Il protagonista, Mahlke, un ragazzo che ha il pomo di adamo gigantesco e un po’ deforme che ricorda vagamente un topo, viene, all’inizio della vicenda, attaccato da un gatto che gli vuole saltare alla gola proprio per strappargli via il topo che gli si è annidato nel collo. In questa metafora – che presenta varie possibili interpretazioni – ho visto una volontà di mettere in evidenza le difficoltà di un percorso di vita di una persona “diversa” (diversità espressa dal topo) messa a contrasto con la società (il gatto) pronta a strappare via quell’alterità per far ritornare tutto al suo posto. La singolarità – e l’implicita originalità – del personaggio è devastante e in alcuni passaggi addirittura scandalosa – come ad esempio la sua eccessiva passione per la Vergine Maria – e provoca scompiglio e incredulità a tutti gli altri personaggi e persino al narratore stesso, che in verità è un personaggio attivo all’interno della vicenda.
Il narratore addirittura si autoaccusa di aizzare il gatto contro Mahlke come se egli stesso, che in realtà è il primo ammiratore della singolarità del personaggio, potesse provare invidia verso quella personalità diversa e carismatica. In verità per tutti gli episodi che riguardano la vita, in particolare la parte in cui Mahlke è un ragazzino, tutti sono affascinati dalla diversità (dal topo) e al contempo ne fuggono aizzandone il gatto contro. Questa singolarità viene rimarcata in ogni episodio all’interno del romanzo, dalla bravura di Mahlke (Il Grande Mahlke verrà più volte chiamato) nelle immersioni, alla “fanatica” fede religiosa, dal cacciavite che si porta al collo come portafortuna, al suo pene enorme. Il “topo”, quindi, suscita ammirazioni e invidie.
Scavando nel contesto scopriamo però che, al di là di questa metafora, il vero protagonista è “lo sfondo” e l’accettazione attiva dello stesso. Mahlke si arruolerà, diverrà un sommergibilista (strana analogia con la vita di Grass che ha recentemente confessato di essersi arruolato volontariamente[1]) e parlerà entusiasticamente dei sommergibili, degli aerei, dei carro-armati, etc. Ciò che colpisce però è il tenere invisibili “gli orrori” della guerra nazista e far muovere i personaggi in quel contesto culturale con una rassegnazione profonda e dolorosa che ne rappresenta un effettivo superamento. Eccola la “Vergangenheitsbewältigung”[2] (dal tedesco Vergangenheit, passato, e Bewältigung, superamento e che quindi può essere interpretato come “superamento del passato”), il movimento culturale di cui Grass si è proclamato (involontariamente?) re e che mira a superare quel terribile complesso del genocida senza però dare il minimo credito a nessuna teoria negazionista.
In un romanzo in cui si condanna il rifiuto dell’alterità e ne si esaltano le fascinazioni, mettere da sfondo il clima culturale del nazismo bellico indica un momento di maturità intellettuale e superamento attivo, senza cadere nell’autoflagellazione collettiva di fronte ai crimini di guerra commessi, olocausto compreso. E stiamo parlando del 1961, appena vent’anni dopo l’orrore.