L’eleganza non è cosa da poco, è intrigante per chi la sfoggia e per chi ne riesce godere le sfumature. A volte se ne sta nascosta sotto il procedere routinario delle nostre azioni e allora ti tocca andarla a cercare, scavare un po’ tra il caos quotidiano della nostra esistenza. Un mio amico, tempo fa, mi ha fatto ascoltare un singolo. La mia prima reazione al pezzo fu abbastanza normale, in fondo un brano fresco ma niente di particolare. A volte invece ci sono attimi destinati a ritornare in forma più profonda e con una tempistica completamente diversa. Questo è stato il mio primo approccio ai Glass Animals.
La band di Oxford ha iniziato a farsi conoscere dal 2012 con la pubblicazione di due EP, Leaflings e Glass Animals per poi fare il passo decisivo col disco Zaba uscito a giugno 2014. La musica dei Glass Animals è seducente, fisica, esotica. I suoni profondi e i bassi giocano un ruolo prominente, più o meno come le percussioni e le incursioni massicce di elettronica. A fare da contraltare a questa impalcatura sonora c’è la voce di Dave Bayley che fa leva su di un falsetto ammiccante, quasi mai sopra le righe. Il risultato è un calderone di riferimenti che impreziosiscono l’estro e l’eleganza del sound della band. Se Flip è avvolgente come un pezzo dei Massive Attack, Black Mambo si spinge fino all’hip-hop caro a Dave, che ha affermato a Nothing But Hope And Passion di aver passato anni ad ascoltare Tupac e Dr. Dre in una delle radio della sua cittadina. Pools è stato invece il primo singolo di Zaba e infatti racchiude in sé i tratti somatici del disco d’esordio dei Glass Animals. Una strofa ricca di suoni folk, percussioni esotiche, echi di note riverberate sullo sfondo e un ritornello pop, massiccio, un inciso che rimane. I testi, al limite del nonsense in alcuni punti, rivestono al meglio i brani con un perfetto equilibrio di rimandi a tribù ancestrali, leggende o semplici giochi della mente. Si perché Dave ha lavorato in un centro di cura per malati psichiatrici e questo lo ha ovviamente segnato per quanto riguarda la sua scrittura, tanto da affermare che non gli interessa spiegare il senso dei suoi testi perché non vorrebbe rovinare le idee che le persone si sono fatte di ogni singolo brano. E’ il caso di Walla Walla che probabilmente si rifà alle leggende dell’omonima tribù indiana. La canzone parte con una ritmica eccentrica e si riversa sul ritornello in maniera accattivante, poi una variazione prepara la strada sul secondo inciso che sta volta diventa più corposo. Dopo una lotta tra un riff basso e una batteria irrefrenabile arriva l’ultimo ritornello, un pugno allo stomaco, e via fino al ‘take my hand’ ripetuto all’infinito.
E’ vero che in alcuni punti si sente l’eco degli Alt-j (Toes), ma la bravura di Paul Epworth (già produttore di Bloc Party, Florence, Adele e via dicendo) è stata proprio quella di mettere un freno al barocco, di ridurre all’essenziale ogni singola parte di ogni canzone. Si può apprezzare il miglioramento se si ascoltano prima i due precedenti EP, che inciampano un po’ su se stessi, e poi Zaba. La maestosità di Wyrd ad esempio non stanca, la delicatezza di Hazey invece sorprende. Uno dei traguardi dei Glass Animals è stato quello di suonare al Jericho Tavern, reso famoso dai concittadini Radiohead. E’ proprio con Thom Yorke e soci che si potrebbe fare un rimando significativo ma non tanto per il sound quanto per l’imprevedibilità di Zaba, un disco che, come la stessa band ha affermato, ha la presunzione di essere ascoltato dall’inizio alla fine, un po’ alla vecchia maniera insomma.
Zaba è una foresta di suoni dove questi animali di vetro si muovono con delicatezza sorprendente e forza esuberante, atmosfere di velluto su cui serpeggia un gusto e un’eleganza fuori dal comune.