In my own little corner of the world, which is to say American fiction, Jeff Bezos of Amazon may not be the antichrist, but he surely looks like one of the four horsemen.
L’estratto viene dall’anteprima di un saggio di Jonathan Franzen pubblicato sul Guardian, che ha aperto un insano dibattito su Amazon, i social network, e il mondo moderno in generale: il titolo è The Kraus Project e uscirà per intero il primo di Ottobre, ma già fa discutere. Il pretesto da cui parte lo scrittore americano è la figura di Kark Kraus, scrittore e saggista austriaco che scriveva in tedesco, lingua cara a Franzen. Definito come ”The Great Hater”, il grande odiatore della Vienna d’inizio Novecento, Franzen azzarda un parallelismo tra la rabbia dell’austriaco e quella che prova anche lui oggi nei confronti del nuovo mondo dominato dalla Apple e da Twitter: è così arrabbiato che ci racconta un suo viaggio in Germania dove c’è una tipa bellissima che non gliela dà. Forse è per questa ragione di costume che inizia a menarla giù dura contro gli scrittori che twittano tipo Salman Rushdie, che prontamente nei giorni successivi ha risposto al saggio dell’americano su twitter.
Dear #Franzen: @MargaretAtwood @JoyceCarolOates @nycnovel @NathanEnglander @Shteyngart and I are fine with Twitter. Enjoy your ivory tower.
— Salman Rushdie (@SalmanRushdie) September 16, 2013
Uno dei punti d’attacco su cui si concentra Franzen è se la letteratura oggi possa essere la stessa, o se i nuovi metodi di distribuzione come Amazon ne abbiano profondamente mutato le corde. Jeff Bezos (il fondatore di Amazon che ultimamente ha comprato il Washington Post) diventa uno dei quattro cavalieri dell’Apocalisse nell’immaginario della perdizione dello scrittore americano: ”Amazon vuole un mondo dove chi pubblica è anche il responsabile della sua promozione”. In realtà questo oggi capita spesso nel nuovo modus di organizzare il mondo, tutto si è de-responsabilizzato, e se tu hai da vendere qualcosa (che sia un prodotto o del fumo, un libro o un articolo di giornale) quello che ti chiedono di fare è auto-promuoverti sui tuoi profili social, così da calcolare il tuo livello di influencer: più sei influencer più vali in questo mondo di merda. Il problema è che mancano due cose in un sistema del genere, uno è il rischio d’impresa che dovrebbe assumersi chi si prende l’onere di pubblicarti, l’altro è la perdita delle figure di mediazione che questo lavoro di promozione dovrebbero fare per te. In questo modo, continua JF, tutto sulla scena è dominato da chiaccheroni, sbruffoni e twittatori della buon’ora. Ovviamente continua andandoci giù pesante, e prevedendo che da un sistema del genere in cui le persone cercano di leggere gratis il più possibile, il libro fisico scomparirà e i piccoli venditori di libri falliranno: l’Apocalisse che parte da Amazon, in un certo senso. Perciò si dice contrario ai social, e al ”sistema”, assumendosi il ruolo di nuovo Grande Odiatore della modernità, cosa che ovviamente lo ha esposto a critiche furiose e sfottò pubblici.
Prendo un esempio a caso. ”If the concept of coolness had existed in Kraus’s time, he might have said that Germany is uncool”, cool è una parola che torna spesso nel vocabolario di Franzen, e adesso ritorna in negativo per rappresentare lo spirito della Germania di Kraus, ma anche la Berlino moderna rispetto a città come Parigi o quelle italiane, che hanno uno spirito romantico, creativo ed appassionato. Sul NewYorker un commento al pezzo invita Franzen a farsi un giro nella Berlino del 2013, ”he doesn’t seem to know that every hipster kid halfway worthy of the name is in Berlin right now, not Paris”. Il problema è che Franzen è rimasto ancorato a una parola piuttosto vecchia come cool, evitando accuratamente di approfondire cosa sia un hipster. Come on, join us, gridano dalle pagine del New Yorker: vieni anche tu nel grande gioco dei social di internet Franzen o ti perdi un pezzo di società per i tuoi romanzi e le tue battaglie quotidiane. Ma entriamo a fondo nella questione.
Questa è una foto di gruppo tra scrittori durante una rassegna a Capri che si chiamava Le Conversazioni, nel lontano 2006: ci sono sia David Foster Wallace che Jonathan Franzen, e Jonathan aveva i suoi buoni motivi per essere frustrato dalla presenza ingombrante dell’uomo con la bandana alla sua sinistra. Franzen sapeva che quando fu scritto ”i migliori scrittori della propria generazione” in un certo senso lui veniva soltanto dopo la sigla DFW. Il fantasma di Wallace continua ad essere ingombrante accanto a lui, e anche la saggistica di Wallace, e tutto quel modo di mandare a puttane il secolo di Wallace. Non lo so se questo sia uno dei motivi per cui poi Franzen sia arrivato a fare un paragone tra Windows 8 e la Vienna del primissimo Novecento (?!), però sospetto che un po’ di frustrazione sia venuta anche da questo disagio da secondo in carica tra gli americani, e che la morte di DFW sia stata più una jattura che una bella manna dal cielo, e che non tutto lo spirito arrabbiato dei tempi venga fuori da una tedesca di Monaco che non gliel’ha data.
The real problem with the modern world? The veneration and promotion of tedious bores like Jonathan Franzen. The short conclusion is that Franzen hates technology and hates those of us who don’t. But then why would we take a man who compares Kraus’s Vienna with Windows Vista? (The Telegraph)
L’accusa di essere noioso se la prende da più parti, Franzen. ”Some of these women who Failed To Fuck Jonathan Franzen might now be on Twitter’‘, lo perculano dappertutto ormai. Del resto Franzen non ha salvato niente, anzi ha parlato di un passo indietro dallo charm di Vienna all’American coolness, e accusato i grandi mercanti come Bezos e Zuckerberg e Jobs di sfruttarci, e noi altri tutti di farci sfruttare per permettere a loro di far cassa. Non si può non essere d’accordo con questo, però non si può essere d’accordo fino in fondo perchè noi ci siamo dentro il grande bordello, e sarebbe un poco darci addosso da soli come grandi masochisti. Lui se ne tiene fuori, e ci ha spiegato il perchè partendo da Karl Kraus e vattelappesca.
Ma c’è una cosa veramente divertente di tutto questo paradossale dibattito, il saggio in uscita – The Kraus Project – è già su Amazon. What a fuck!