Era il 1985, Giancarlo aveva 26 anni e “lavorava” a Il Mattino; più che giornalista era un abusivo (come lui si definiva), senza contratto ma con tanta passione e voglia di fare; corrispondente da Torre Annunziata doveva occuparsi di scippi, rapine, omicidi, ma in quegli anni nella cittadina vesuviana, che lui raggiungeva ogni mattina dal Vomero, imperversava la camorra con il clan Gionta a dettare legge, con le spartizioni di territorio imposte dai Nuvoletta e le guerre con i Bardellino e gli Alfieri.
C’era la connivenza dei politici che truccavano gli appalti ultramilionari del post terremoto per favorire imprese di amici e parenti dei malavitosi, e puntualmente, una volta vinte le gare, i lavori della ricostruzione si bloccavano, spesso non cominciavano nemmeno.
Giancarlo, con alle spalle la collaborazione all’Osservatorio sulla Camorra di Amato Lamberti, inizia ad indagare e ad informarsi su questa losca situazione e comincia a trattare l’argomento nelle sue corrispondenze da quello che lui stesso ha definito “Fortapasc”, un territorio assediato dalla malavita.
A 26 anni, oltre al desiderio di diventare giornalista, c’è una vita fatta di gioia, sogni e passioni, amicizie problematiche, amori e liti, gelosie e riappacificazioni: Giancarlo è un ragazzo e come i suoi coetanei ama la musica e il divertimento, ma crede anche nella verità e nella giustizia e attraverso il suo lavoro vuole raccontare e denunciare i misfatti che hanno reso la sua città il regno della criminalità organizzata.
All’indomani dell’arresto del boss Valentino Gionta, Giancarlo scrive un articolo in cui spiega le manovre che i Nuvoletta, di concerto con i Corleonesi di Totò Riina, stanno attuando in Campania per ristabilire ordine dopo la guerra scoppiata nei territori vesuviani, ossia la volontà di sacrificare il capofamiglia di Torre Annunziata non uccidendo ma consegnandolo di fatto alle forze dell’ordine.
Stranamente dopo la pubblicazione di questo articolo arriva per Giancarlo una sorta di promozione, viene chiamato alla redazione di Napoli con la promessa di avere finalmente un contratto con Il Mattino, ma non per continuare ad occuparsi di criminalità e portare avanti la sua inchiesta sulla camorra, deve cominciare a scrivere di sindacati, disoccupazione e manifestazioni.
Proprio quando pare che siano riusciti in questo modo a tenerlo a bada lui si convince a proseguire le sue indagini, a raccogliere informazioni, a scoprire gli intrecci tra malavita e politica campana…ma qualcuno ha già deciso il suo destino che verrà segnato definitivamente il 23 settembre 1985.
Marco Risi ha fatto un film che, come lui non si è mai stancato di dire, era necessario: la storia di Giancarlo Siani è stata trattata più volte dalla stampa in questi anni e una volta anche dal cinema con il piccolo film indipendente E io ti seguo di Maurizio Fiume che in pochi hanno potuto vedere, purtroppo, per colpa della distribuzione malata del nostro paese.
Dodici anni dopo l’omicidio Siani la vicenda giudiziaria è stata portata a conclusione anche grazie alla collaborazione di tre pentiti, e alla fine della pellicola i responsabili della famiglia Nuvoletta vengono menzionati insieme a Valentino Gionta che invece è stato scagionato dall’accusa per questo omicidio ma sconta diversi ergastoli in galera per altre accuse di stampo mafioso.
La sceneggiatura scritta dai giornalisti Andrea Purgatori e Jim Carrington evidenzia l’umanità di un ragazzo alle prese con il suo sogno da realizzarsi in una condizione di terrore che lui decide di raccontare, con coraggio istintivo contornato da una paura naturale; la narrazione scelta da Risi è emblematica perché alleggerisce in alcuni momenti la storia mostrando la quotidianità di Giancarlo, l’amore per la sua ragazza, la sofferenza per un amico con problemi di droga, la passione per la musica, il tutto non tralasciando i morti ammazzati, la guerra di camorra, la ferocia e il cinico macchiettismo dei boss degli anni ’80; non vengono risparmiate immagini sanguinolente e sarebbe stato deleterio alla storia evocare solamente queste atrocità senza mostrarle, ed è da sottolineare la capacità di simboleggiare la condizione che in quegli anni viveva la città di Napoli con particolari minuziosi caratteristici di quel momento storico.
Tra il cinema d’inchiesta e la commedia drammatica, Fortapasc è da considerarsi un film d’impegno civile che per costruzione e scelta narrativa può piacere alla maggioranza del pubblico cinematografico, a quello più legato alla concezione d’autore così come a quello abituato al racconto classico e di facile apprendimento, ed è grazie alla tenacia di un produttore come Angelo Barbagallo se Marco Risi è riuscito a portare a termine quest’opera dedicata alla memoria del padre Dino, morto durante le riprese.
Cast di eccezionale intensità con un Libero De Rienzo davvero molto bravo; napoletano di nascita e romano di adozione, l’attore mostra con naturalezza la condizione emotiva che in quei mesi ha vissuto Giancarlo Siani, senza eccedere nei momenti di sbalzo umorale ma con una impressionante capacità esplicativa nelle espressioni e nel linguaggio, mai sopra le righe.
Tutti gli attori napoletani sono da lodare, da Gianfelice Imparato a Salvatore Cantalupo (entrambi visti in Gomorra), da Ernesto Mahieux a Renato Carpentieri, da Gigio Morra ad Antonio Buonuomo; ma tra loro vanno menzionati senz’altro i fratelli Massimiliano e Gianfranco Gallo che, nei ruoli di Valentino Gionta e Donnarumma, offrono una interpretazione di efficace teatralità.
Brava Valentina Lodovini nella parte della fidanzata di Giancarlo, così come Michele Riondino in quella dell’amico Rico; per il ruolo minore, ma non meno importante, del Sindaco Cassano si è andati sul sicuro con l’impeccabile Ennio Fantastichini.
A 28 anni di distanza da quell’omicidio il ricordo di Giancarlo Siani è vivo nella città di Napoli; ma il paradosso vuole che la concezione di omertà e di sottomissione a determinati poteri forti continuino ad essere il maggiore combustibile per la malavita in doppiopetto, quella che insinuatasi nelle istituzioni non ne esce più condizionando il vivere civile di una popolazione, quella che Siani da giornalista aveva scoperchiato e raccontato, quella che col passare degli anni ha imparato a uccidere lentamente piuttosto che a giustiziare, quella che grazie alla politica e all’alta finanza si è conquistata un potere e un tesoro che paiono non avere mai fine…e a parte sporadiche mosche bianche sia il giornalismo che la società civile si sono adagiate in un limbo che non va oltre la denuncia e la protesta ad effetto, una tantum, per sentirsi con la coscienza pulita.
Nella “Fortapasc” raccontata allora da Siani oggi si spara di meno ma si muore di più perché la camorra è divenuta più ricca e ancora più potente lucrando sulla salute e sui risparmi della gente: se le commemorazioni e i ricordi delle vittime della malavita servissero a tenere alta l’attenzione e a non abbassare mai la guardia nei riguardi della presenza e dei traffici della criminalità organizzata andrebbero fatte quotidianamente…la sensazione è che, come al solito, l’opinione pubblica si aggrappi alle celebrazioni per darsi fiducia mollando la presa e aspettando che sia qualcun altro ad occuparsi del problema…esattamente il contrario di quello che pensava e faceva Giancarlo Siani.
estratto dal documentario Giancarlo Siani – per amore di verità di Sandro Di Domenico