Rari momenti di “cinema” visti alla nona edizione del festival di Roma, tra questi i due spiragli di luce sono stati Andrea Tonacci e Raúl Perrone. “Jà visto jamais visto” di Andrea Tonacci è una riflessione sulle immagini, sul “rischio di perderle” per sempre. Il regista marginal italo-brasiliano assembla frammenti di vita e frammenti di cinema in un archivio di immagini/vissuti. Il cinema è memoria, è memoria del mondo, ricorderemo il mondo attraverso il cinema (Lav Diaz). Tonacci crea un archivio di immagini-ricordo, di filmati mai montati, mai (ri)visti: “Nel 1994 stavo in una casa di campagna e ho scoperto che negli anni Trenta in quegli stessi luoghi c’erano moltissimi immigrati italiani, impegnati nella lavorazione del caffè. Ho pensato di raccontare quella storia come se fosse la mia. Rovistando in un vecchio baule, ho trovato la divisa dell’esercito italiano di mio padre e l’ho indossata. Abbiamo cominciato a filmare…” Pezzi di cinema e della propria esistenza si incastrano seguendo una “sceneggiatura” già scritta/ mai scritta. Tonacci rivendica la libertà dell’atto di creazione, dell’essere cinema, mostrandoci e mostrandosi fino alla sequenza finale: una camera con luce fioca in cui legge a voce alta Il disprezzo di Moravia… “La maniera meccanica e abitudinaria con la quale si fabbrica una sceneggiatura rassomiglia forte a una specie di stupro dell’ingegno; originato piuttosto dalla volontà e dall’interesse che da qualsivoglia ispirazione o simpatia”.
Ragazzi, di Raúl Perrone, è cinema scomposto in fotogrammi d’acqua che confluiscono nell’oceano-schermo per poi ricomporsi in tutte le possibili vite passate e future. Un’esperienza filmica abissale, siamo nelle profondità del cinema, in una dimensione liquida fatta di immagini fluttuanti. La visione genera altre visioni sommerse in rallenti, si amplifica la percezione, si fa interiore a ciò che vediamo, fino a raggiungere l’invisibile del visibile. Raúl Perrone è un filmmaker di Buenos Aires, il suo “Ragazzi” è un’esperienza di immagine viva, tattile e sonora, pulsante come il cerchio immagine che avvolge il fotogramma. Il regista argentino è l’uomo solo con la macchina da presa davanti all’universo delle immagini. Ragazzi è una pellicola suddivisa in due movimenti: il primo è una visione dell’ultimo giorno di Pier Paolo Pasolini attraverso lo sguardo lacrimoso del suo aggressore, il secondo è ambientato lungo un fiume sotto un ponte frequentato da un gruppo di giovani, esseri (in)corporei che vivono nei bassifondi dell’universo. Fumano e recitano in reverse versi di Pasolini, vagano in una Córdoba spettrale e i loro volti sono rivelati dalle acque, come quello di Marie in Coeur fidèle (Jean Epstein, 1923). Ragazzi ai margini, lontani dalle loro famiglie, dal mondo, ultimi superstiti di un’umanità sommersa, corpi danzanti e dissolti. Strati infinitesimali di immagini si sovrappongono: il fiume, un cavallo bianco, il seno materno di una donna. Si tuffano i ragazzi per poi rinascere dall’acqua mentre riecheggia il suono dei Led Zeppelin rivisitati da Dj Negro Dub e Che Cumbe. L’immagine si moltiplica all’interno di una vignettatura oscillante da cinema muto e che muta fino a riimmergere lo sguardo nei fondali di Epstein e Vigo. Gli adolescenti giocano lungo il fiume, sono lontani da casa e “le loro camere sono ormai vuote”.
Un film dovrebbe interpellarci – guardarci – provocarci – farci sentire a disagio – schiaffeggiarci –ipnotizzarci – illuderci – Farci piangere senza motivo – Ridere – Al momento sbagliato – Soffrire – Portarci via – Come una magia di un illusionista – Emozionale e sensoriale – Senza tentare di capire cosa? Solo pensare – sentire – guardare qualcosa come se fosse la prima volta – Non è nient’altro che un desiderio. (Note di regia, Raúl Perrone)