Che Quentin Tarantino fosse un fottuto genio lo sapevamo già da molto tempo e che il suo modo così sui generis di fare cinema, allo stesso tempo crudo e ironico, pagasse anche quando si affrontano argomenti storici, ce lo aveva già dimostrato tre anni fa. Se il precedente Inglorious Basterds stravolgeva gli eventi della Seconda Guerra Mondiale, il nuovo Django Unchained affronta lo spinoso tema della schiavitù dei neri d’America (a poche settimane dall’uscita del Lincoln di Spielberg, n.d.r.), e lo fa rendendo omaggio a uno dei generi più apprezzati dal regista del Tennessee: il western. Un cast stellare per un film di genere della spettacolare durata di quasi tre ore, in cui non non esiste nemmeno un momento morto, una scena riempitiva, ma tutto è essenziale, compiuto e stilisticamente perfetto. A partire da una storia ben strutturata e dai personaggi che, come sempre, nel cinema tarantiniano, risultano caratterizzati alla perfezione, con le loro peculiarità, i loro tic e la loro intrinseca teatralità.
Tarantino dimostra come il suo cinema di genere, con le sue estremizzazioni, i suoi schizzi di sangue e le sue irresistibili battute, le escalation emotive ed i silenzi pre-rissa, possa ancora essere letto a più strati e realizza un western che, con la scusa della storia con la S maiuscola, mette a nudo la vera e propria natura dell’uomo, partendo da un tema tarantiniano per eccellenza come la vendetta. E’ da questo sentimento che parte infatti l’epopea di Django, che sporcandosi le mani (perchè questa è l’unica possibilità di ottenere quello che si vuole) passerà da schiavo a uomo libero. Da vittima a carnefice, il dualismo della natura umana viene esternato in un percorso escatologico, in cui gli avvenimenti storici si piegano alla volontà del regista.
Il cinema, nella sua purezza, è ideale supremo a cui la Storia e gli eventi devono piegarsi e tutto viene plasmato per raccontare minuziosamente le ossessioni di Tarantino stesso. Quello che ne viene fuori è un film meraviglioso, eccessivo eppure perfettamente equilibrato, accompagnato da una fotografia e una regia maniacalmente perfette, da citazionismi che spaziano dai migliori western all’italiana fino ai leit-motiv perennemente presenti nei suoi film. I detrattori dell’ultim’ora hanno affermato che Quentin questa volta non ha poi osato così tanto, che ha affrontato l’opera in modo troppo classico perdendo quella sua sperimentalità così amata.
Nulla si può rimproverare alle magistrali interpretazioni dei tre attori protagonisti: il meraviglioso dottor Schultz (Christoph Waltz), il cattivissimo Calvin Candie (Leonardo di Caprio) e il coraggioso Django (Jamie Foxx).
Django Unchained, come tutto il cinema di Tarantino è assai difficile da spiegare, solo chi andrà a vederlo può capire quali sono le sensazioni che trasmette: quel sentirsi immobilizzati sulla poltrona e rialzarsi, dopo tre ore, con la tensione emotiva che ancora ti fa battere il petto e rende tutto quello che hai intorno completamente straniante e irreale. Come tutto il grande cinema, si sa, ha la forza di sostituire la realtà, facendoti immergere in un mondo e in un contesto che non sono esattamente dell’epoca e delle situazioni che stiamo vivendo e di questi tempi è francamente un gran lusso. Chapeau.
Un capitolo a parte merita la meravigliosa colonna sonora, che si può ascoltare qui: