Con Raymond Carver ho un rapporto personale e burrascoso: la prima volta che ho visto i suoi racconti in libreria mi hanno subito conquistato i titoli, e allora ho preso i libri in mano e ho iniziato a rubare le parole a terra, però non lo compravo mai, perché i prezzi di Carver sono violenti, e stiamo comunque combattendo quotidianamente una lotta contro il tempo e la vecchiaia, e per arrivare vecchi e felici dobbiamo rubarle le parole in giro, dunque non valeva la pena di pagare dazio agli editori che lo traducevano, o almeno così mi figuravo nel cervello, e allora mi sedevo, mi aggrappavo alla copertina di Principianti perché mi conquistava la sua faccia da stronzo, e scoprivo che aveva parole ancora più stronze da dirmi, e allora ogni tanto tornavo dentro una libreria a leggermelo. Poi rubai un suo libro di racconti più tardi insieme a una splendida persona, perché ho imparato da Roberto Bolaño che rubare libri è un’arte delle più perfette, come i delitti perfetti, però bisogna rubare alle catene non ai piccoli mendicanti di libri, anche se è difficile trovare uno come Carver dentro le catene della cultura; e insomma fu per caso e per gioco, e perché era una di quelle edizioni di case editrici che devono tirare sul prezzo alto, e il libro in questione si chiamava Per favore non facciamo gli eroi – e i titoli di Carver sono tanto splendidi quanto certi suoi concetti, o poesie. Il fatto, diceva uno scrittore ormai morto, è che il racconto è il romanzo di un pigro. E forse è vero: i pigri vorrebbero tanto avere questa gran cura di portare avanti un racconto fino a farlo diventare un romanzo, curarlo come fosse una vita intera, ma ci si scardina con la confusione occidentale oggigiorno, e dentro Carver c’è il caos, dentro Carver ci sono le ossa, il tabacco, il vino, l’amore. Di cosa parliamo quando parliamo d’amore? Di monografie non finite. Del resto, una delle poesie più belle di Raymond si chiama Voi non sapete che cos’è l’amore: Non ce n’è uno di voi in questa stanza / che potrebbe riconoscere l’amore neanche se si alzasse / e ve lo mettesse nel culo – scrive.
Mi piace il salto rapido di un buon racconto, l’emozione che spesso comincia già nella prima frase, il senso di bellezza e mistero che si riscontra nei migliori esemplari; e il fatto […] che un racconto può essere scritto e letto in una sola seduta (proprio come una poesia!)
Carver R. è anche un poeta, oltre che uno scrittore di racconti, perché un po’ è vero i poeti in genere flirtano col racconto più che col romanzo, anche se aspirano a diventare romanzieri, però sono troppo confusi, prendi il caso Cortázar , i cui romanzi sono lo stesso microracconti tenuti insieme da un qualche confuso filo logico: è tutta colpa di Arthur Rimbaud, e probabilmente della musica, perché c’è ritmo nella poesia, c’è ritmo nelle parole, c’è un ritmo che non si regge nel romanzo, perché il romanzo è lungo, psicologico, racconta un universo, è descrittivo, il dialogo s’interseca alle ragioni dei personaggi; il racconto è un pezzo di autobiografia ritmica, il racconto è un flash, una poesia.
E hai ottenuto quello che
volevi da questa vita, nonostante tutto?
Sì.
E cos’è che volevi?
Potermi dire amato, sentirmi
amato sulla terra. [Ultimo Frammento]
Questo è il problema quando abbiamo a che fare coi poeti, sono frammentari e si raccontano. Per esempio esce fuori il rapporto di Carver con Tess Gallagher, da qualche parte, di tanto in tanto. C’è per forza qualcosa della realtà che si prende gioco della prosa. Di cosa parliamo quando parliamo di Raymond Carver forse non lo sapremo mai.