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Dentro Spotify: come ha cambiato la musica e perchè Yorke e Byrne sono contrari

Comments (5)
  1. mozart ha detto:

    premessa: non ho letto il pezzo e non so niente di spotify, a parte il fatto che la gente ne parla. qualcuno mi potrebbe gentilmente spiegare perché uno dovrebbe perdere tempo a capire cos’è spotify e successivamente usarlo se ha concluso che a qualcosa serve quando

    a) posso comprare un disco a scatola chiusa come si faceva una volta, nei negozi o farmelo spedire da portland
    b) la musica gratis si trova in abbondanza
    c) quella che decido di comprare dopo averla ascoltata la compro
    d) quella che mi piace ma non posso più permettermi perché ho finito il budget non la compro

    grazie

    1. Riccardo Di Leo ha detto:

      Sono d’accordo con te sul fatto che ci sia una grande ipocrisia quando
      si parla di come possiamo fruire della musica, come se dovessimo far
      finta che i vecchi metodi di distribuzione non esistessero più e che la
      pirateria non sia di fatto considerata legittima dagli ascoltatori. Di
      fatto è proprio questo lo scopo dell’articolo: chiedersi se lo streaming
      (e quindi Spotify) che ci viene presentato come “il futuro della
      musica”, non sia altro che l’ennesima operazione di marketing per far
      sopravvivere il vecchio sistema discografico, che ormai non genera
      abbastanza profitti. Insomma, se non si spacci per rivoluzione quella
      che è la semplice apertura di un nuovo canale di vendita all’interno
      dello stesso sistema.

      Se poi vogliamo parlare delle implicazioni che questi servizi hanno
      sulla qualità dell’ascolto e del livello di attenzione e partecipazione
      che richiedono rispetto all’ordinare personalmente un disco da portland,
      questa è sicuramente una tematica che merita di essere approfondita.

      1. mozart ha detto:

        ciao riccardo, grazie per la risposta. io considero la pirateria legittima in quanto mi sono sempre posto di fronte alla questione nel modo che ho tentato di descrivere nel mio commento precedente. ho un budget annuale che dedico all’acquisto di dischi che varia di anno in anno ed è indipendente dai fattori musicali. nello scenario pre pirateria e pre banda larga compravo meno dischi (parlo soprattutto di nuove uscite) in quanto la pratica portava con sé un rischio maggiore di beccarsi una fregatura. mi è successo spesso e così mi buttavo spesso sui classici. nello scenario post tutto si è ribaltato, come potrai ben capire.

        il problema della pirateria è un altro e riguarda gli ascoltatori. l’industria discografica ha certamente perso quote a causa e per colpa della pirateria selvaggia ma questo è successo in quei settori dell’industria sorretti prevalentemente da ascoltatori deboli, assolutamente non collezioniste e del tutto integrate in un habitus culturale dove l’acquisto di un disco equivale(va) a quello di un hamburger. aspetti portanti che indirizzano le scelte di questo tipo di ascoltatori-fruitori sono essenzialmente le radio, la televisione e la stampa generalista. quando costoro hanno scoperto che potevano scaricare il disco invece di comprarlo hanno fatto l’esatto opposto di quello che è successo ai veri appassionati: hanno smesso di comprare quei pochi dischi l’anno dei soliti autori e buonanotte al secchio.

        spotify prevede, a quanto ho capito, che si debba pagare per ascoltare. quindi sì, pur non conoscendolo nei dettagli, stando a quanto ho intuito, mi pare un’ “ennesima operazione di marketing per far sopravvivere il vecchio sistema discografico, che ormai non genera abbastanza profitti” e il cui target vero è palesemente il pubblico non specialistico a cui facevo riferimento poco sopra.

        1. mozart ha detto:

          * collezionisti e del tutto integrati.

          1. Riccardo Di Leo ha detto:

            Che tu abbia ragione secondo me è confermato da un altro fatto, che citano tutti quando si parla di questo argomento… mi scuso in anticipo per la banalità.

            la fruizione della musica dal vivo, anche quella di piccole dimensioni in cui l'”ascoltatore” mainstream è sempre venuto a mancare, resta in aumento costante (anche se il fatto che spesso sia il sostituto low cost della vacanza non va sottovalutato).

            Un ascoltatore consapevole continua a generare ricavi oltre all’album, che si tratti di live, merchandising e indotto vario come possono esserlo le riviste specializzate. Le case discografiche lo hanno sempre saputo ma, come dicevi tu, finora il ricavo dalla quantità degli ascolti superava quello dalla qualità, dell’ascolto ripetuto: per questo non è convenuto a nessuno creare clienti preparati.
            meglio fargli ascoltare tutto, almeno un cd per band lo compreranno e non faranno troppo gli snob…
            Con napster ecc. tutto è cambiato, e infatti ora l’obiettivo è schematizzare, differenziare i generi e i rispettivi ascoltatori.

            tutto questo per dire che, quando si parla di pirateria, bisognerebbe tenere conto di quanto chi scarica abbia effettivamente contribuito al fantomatico “sistema culturale”. non è facile. credo che la pirateria presenti un’ingiustizia di fondo, contro chi il contenuto l’ha creato, ma trovo ugualmente ingiusto mettere sullo stesso piano chi scarica il film pur andando al cinema una volta a settimana e chi lo fa giusto per provare la nuova tv al plasma.

            Se, come sembra, è proprio necessario mercificare l’esperienza culturale, almeno cerchiamo di ottenerne qualcosa, pretendendo, per chi da di più, qualcosa in più.

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